Vorrei portare un contributo nell’analisi delle notizie diffuse dal Dipartimento Politiche Antidroga contro la cannabis, ultimamente un po’ diminuite (dott. Serpelloni, non avrà mica timore del sarcasmo di qualche cerebroleso psicotico fumatore di cannabis col cervello pieno di buchi?), andando a riprendere due news della scorsa estate, “Cannabis, alcool e tabacco spingono all’autolesionismo” del 14/08/2012 e “Il consumo di cannabis può portare a pensieri suicidi” del 27/09/2012, tratti da due ricerche australiane.
Nella prima si inizia: “L’autolesionismo comprende una vasta gamma di comportamenti, i più comuni sono: provocarsi lesioni tramite tagli, sbattere la testa e gli arti o prendere dosi eccessive di farmaci. Lo scopo dello studio è stato quello di analizzare quali fattori possono essere considerati come predittivi di tale comportamento, in particolare l’uso di sostanze stupefacenti.” E dopo la descrizione delle modalità della ricerca conclude: “In particolare, dai risultati dell’analisi multivariata si è evidenziato che tra i vari fattori predittivi di autolesionismo ci sono: il consumo abituale di fumo, quello di marijuana e bere alcoolici tanto da causare dipendenza”.
Gli autori concludono che i risultati di questo studio potrebbero essere considerati una valida guida per identificare tutte quelle persone a rischio di comportamento autolesionistico, attivando delle strategie di prevenzione mirate alla riduzione dei principali fattori di pericolo per la popolazione. In pratica significa che tabacco, alcoolismo (entrambi legali) e cannabis “possono” portare (e non allarmisticamente “spingono”) all’autolesionismo una percentuale di persone a rischio (mediamente l’8,2%, ripartito tra i 20 e i 24 anni di età al 12,3% e tra i 40 e i 44 anni di età al 4,6%).
La validità dei risultati di un singolo studio non è scientificamente assoluta, perchè può variare a seconda della composizione del campione umano studiato, della loro estrazione sociale, della religione di appartenenza, dell’istruzione ricevuta, della cultura, della ricchezza della nazione di appartenenza e numerose altre variabili, diciamo che però può dare un’idea di una certa tendenza generale.
Nelle loro conclusioni gli autori dello studio finalizzano i risultati per individuare i soggetti a rischio di autolesionismo e attivare delle strategie di prevenzione con l’obbiettivo di “proteggere” tali soggetti, non certo incarcerandoli, ma in Australia l’uso di cannabis è legalmente tollerato e i soggetti a rischio autolesionistico non vengono arrestati per la detenzione di un certo quantitativo, mentre in Italia ci si può finire in carcere, dove, pur non essendo possibile consumare alcoolici e cannabis, gli episodi di autolesionismo diventano molto più frequenti: tagli alle braccia e sulla pancia spruzzando sangue ovunque, sbattere la testa e gli arti su mura, porte blindate, finestre, letti e mobili, ingerire 7 o 8 pile del lettore CD.
La maggior parte dei detenuti richiede la somministrazione quotidiana di psicofarmaci per poter dormire la notte e spesso anche di giorno, dietro prescrizione medica, certamente e quando sono svegli appaiono storditi, barcollanti: si può considerare autolesionismo? Potremmo dire che in Italia la repressione della coltivazione e detenzione di cannabis e la carcerazione conseguente spingono all’autolesionismo molto di più dell’uso di cannabis e alcool in sé?
O vogliamo dare tutta la colpa al tabacco o magari anche al caffè, che scorre a fiumi nelle carceri?
Potremmo quindi sostenere che l’esperienza carceraria spinge all’autolesionismo anche i soggetti che normalmente non sarebbero a rischio?
E quelli a rischio chi li protegge? I compagni di cella?
Passiamo ora ai pensieri suicidi: “Il consumo di cannabis può portare a pensieri suicidi” del 27/09/2012.
Meglio sorvolare la frase di rito “Ci sono prove crescenti che l’uso precoce di cannabis aumenti il rischio di dipendenza, l’abbandono scolastico precoce e possa causare psicosi,” ma ancora non si vede l’ombra di queste “prove” e allora si continua: “mentre è meno chiaro il legame con il comportamento suicidiario“.
Ah! E’ pure meno chiaro! Invece è chiarissimo a tutti che, se questi giovani li mettiamo in carcere per un po’ di cannabis, i pensieri “suicidiari” gli vengono a tutti, eccome, al 100%, femmine e maschi, tanto che in carcere non ti fanno usare il filo interdentale perchè ti ci potresti suicidare, ti possono togliere i lacci delle scarpe o la cinta dell’accappatoio, piatti, bicchieri e posate sono di plastica, così non ti ci puoi tagliare le vene, però le lenzuola te le lasciano come pure i rasoi per radersi, così i pensieri “suicidiari” possono anche tradursi in tentativi di suicidio, e chi ti salva?
I compagni di cella! E ogni tanto qualcuno (troppi) ci riesce a suicidarsi, come tristemente tutti sappiamo, anzi, sappiamo che si può anche essere “suicidati” da qualcun’altro, ma l’importante è proteggerli dalla “temibile” pianta di cannabis.
E’ stupefacente che si cerchi di allarmarci sui pensieri suicidi dei nostri ragazzi solo in relazione all’uso di cannabis e non si tenga conto di quello che un’esperienza carceraria possa provocare nella mente e nel cuore di un giovane che si è solo coltivato delle piante o si è fatto una piccola scorta da fumare. Il problema dei suicidi giovanili è più marcato proprio nei paesi più sviluppati, le cause sono molteplici e ancora oggetto di studi, la psiche umana è ancora misteriosa e complessa, in essa sono ancora nascoste le nostre vere potenzialità, le nostre emozioni, le nostre psicosi, le nostre ossessioni, la schizofrenia misteriosa e chissà quanto altro (oltre agli ormai mitici “buchi nel cervello” dei consumatori di cannabis).
Chi può veramente arrogarsi il diritto di decidere per l’esistenza degli altri? Voler dare la colpa alla cannabis per tutto ciò che non riusciamo a dimostrare è diventata un’ossessione compulsiva, che potremmo chiamare proibizionismo cannafobico.
E alla luce delle innumerevoli proprietà medicinali scoperte nella canapa, è veramente disumano impedirne l’uso alla popolazione, processare i malati che se la autocoltivano, far dare la caccia dalle forze dell’ordine ai ragazzini che la usano .
Nei paesi dove la canapa è legalizzata le carceri le stanno chiudendo, per mancanza di criminali. Questi paesi funzionano meglio dell’Italia, la loro economia è migliore della nostra, gli incidenti stradali e sul lavoro non sono aumentati e ci sono meno consumatori di canapa che da noi.
In Italia le carceri le abbiamo riempite di gente innocua, che non è né criminale né tossicodipendente, è stato un ingiusto sopruso sul quale occorre fare giustizia vera.
Il proibizionismo cannafobico, la repressione e il carcere spingono all’autolesionismo e al suicidio, non l’uso di cannabis!
La canapa, in quanto pianta medicinale, appartiene di diritto a tutta l’umanità, è nostro patrimonio culturale, lasciatecela studiare, coltivare e usare, considerando oltretutto che guarisce le malattie anche ai proibizionisti!
Pierpaolo Grilli – ASCIA