Pubblichiamo di seguito la notizia e il relativo commento del nostro legale di fiducia, l’avv. Carlo Alberto Zaina, in merito a una sentenza sull’uso di gruppo di sostanze stupefacenti (sentenza QUI DISPONIBILE).
Droga. Uso di gruppo. Cassazione: è un crimine
Per effetto della legge Fini-Giovanardi, che nel 2006 ha inasprito le pene per il commercio di stupefacenti abolendo anche la distinzione tra droghe pesanti e leggere, deve considerarsi di rilevanza penale e, non piu’ passibile di sola multa amministrativa, la detenzione di hashish, oltre che di qualunque altro tipo di sostanza stupefacente, acquistato con i soldi e su mandato degli amici per farne uso di gruppo. Lo sottolinea la Cassazione con una ulteriore sentenza che torna a criminalizzare questo tipo di condotta che godeva di franchigia con la normativa previgente, dopo l’intervento delle Sezioni Unite che – nel 1997 – avevano depenalizzato l’acquisto di ‘fumo’ per uso collettivo.Sull’argomento la Suprema Corte, ultimamente, ha manifestato due indirizzi: uno, con pronunce della Sesta penale, orientato a considerare l’uso di gruppo passibile solo di multa anche dopo il giro di vite della Fini-Giovanardi. L’altro, sostenuto dalla Terza e Quarta sezione penale, tra i quali questo ultimo, nei quali si afferma che ‘e’ penalmente rilevante, e quindi punibile, la detenzione di sostanza stupefacente destinata al cosiddetto uso di gruppo, perche’ l’irrilevanza penale, dopo l’intervento normativo della legge n.49 del 2006, attiene soltanto alla detenzione per uso esclusivamente personale’.
In base all’orientamento piu’ tollerante, ‘la omogeneita’ ideologica della condotta del procacciatore, rispetto allo scopo degli altri componenti del gruppo, caratterizzava la detenzione quale codetenzione ed impediva che il primo si ponesse in rapporto di estraneita’ rispetto ai secondi, con conseguente impossibilita’ di connotazione della sua condotta quale cessione’. Invece, seguendo l’indirizzo piu’ severo nell’applicazione della Fini-Giovanardi, ‘non puo’ piu’ farsi rientrare nella ipotesi di uso esclusivamente personale la fattispecie del cosiddetto uso di gruppo, all’interno della quale e’ inclusa sia l’ipotesi di un gruppo di persone che da’ mandato ad una di esse di acquistare dello stupefacente, sia l’altra ipotesi in cui l’intero gruppo procede all’acquisto della droga, destinata ad essere consumata collettivamente’.
Non e’ escluso che le Sezioni Unite tornino ad occuparsi della questione.
(fonte: Notiziario Aduc)
Commento Legale
Appare sorprendente la pronunzia della Quarta Sezione della Corte di Cassazione, n. 2006/2011, pronunziata all’udienza del 6 Dicembre 2011 e pubblicata in questi giorni, in materia di uso di gruppo di sostanze stupefacenti.
Con tale sentenza, infatti, viene sancito il principio che la modifica normativa, introdotte con la L. 49 del 2006, in tema di detenzione di stupefacenti (art. 73 co. 1 bis) e, di fatto, consistenti nell’inserimento dell’avverbio “esclusivamente”, inteso quale paradigma necessario al fine di escludere la rilevanza penale di tale condotta, riverberebbero effetti – ovviamente negativi – anche per quanto concerne la collocazione, nell’alveo illecito, dell’uso e detenzione di gruppo.
Il un durissimo contrasto giurisprudenziale, in corso, da tempo, con l’indirizzo opposto propugnato dalla Sesta Sezione (e di cui chi scrive ha dato conto il 21 Ottobre scorso su www.altalex.com con il commento Stupefacenti, uso di gruppo: nuovo duello interpretativo – nota a Cassazione penale , sez. III, sentenza 07.07.2011 n° 26697 -) si arricchisce, quindi, di un nuovo capitolo, nel quale viene, purtroppo, ribadita la decisività di strettamente elementi lessicali, ai fini della configurabilità del reato di detenzione illecita di stupefacenti, in situazioni di uso di gruppo.
La Corte, infatti, nel caso di specie, (come d’altronde già la Sez. Terza con la citata sentenza 7 Luglio n° 26697) valorizzando, a fini di interpretazione restrittiva, l’avverbio “esclusivamente”, pone, in realtà, l’accento su di un elemento di forte carattere metagiuridico, il quale – come si ricava attraverso la lettura del testo dell’art. 73 co. 1 bis dpr 309/90 – esplica una funzione puramente rafforzativa e pleonastica di un concetto (“l’uso personale”) che, già di per sé, appare esaustivo nel descrivere le peculiarità essenziali della condotta e, altresì, completo per stabilire il limite fra lecito ed illecito.
Non persuade, affatto, la differenziazione parallelistica operata fra “uso personale” ed “uso esclusivamente personale”, proprio per la sterile apoditticità dell’argomentazione addotta dal Collegio; non si comprende, infatti, (né si dice) quale sarebbe il reale discrimine fra le due situazioni e quale valore accrescitivo – si da legittimare “un’interpretazione più restrittiva” -.
Puramente assertivo appare, dunque, sostenere che “una cosa è l’uso personale di droga, altra e ben diversa cosa è l’uso esclusivamente personale”.
In realtà, proprio in questo passaggio si cela la assoluta impossibilità di dedurre un elemento di chiara differenziazione fra i due regimi e la palese inutilità della specificazione adoperata maldestramente dal legislatore, in materia.
Anche a volere circoscrivere la tematica al solo significato semantico da attribuire al termine in questione (che è, poi, null’altro che la questione posta riduttivamente dalla Corte), vi è, infatti, da domandarsi, ai fini che ci interessano (ma anche su di un piano esegetico di maggiore genericità) quale tangibile differenza possa comportare l’avverbio usato.
Vale a dire, che si deve chiedere la parola “esclusivamente” – intesa nella sua individualità ed autonomia – sia in grado di conferire un percepibile pregio od una differente accezione giuridica o fattuale alla espressione “uso personale” modificando e condizionando, quindi, nella sostanza il concetto di detenzione di stupefacenti, sì da renderlo di per sé lecito.
Pare di potere rispondere tranquillamente in termini di negatività.
L’avverbio “esclusivamente” presenta, nel contesto del testo normativo del comma 1 bis dell’art. 73 dpr 309/90, un profilo puramente ed eventualmente rafforzativo di un istituto (“l’uso personale”) già originariamente delineato in una forma precisa ed inequivoca, insuscettibile di equivoci.
Esso non incide sulla struttura della condotta, che risulta immodificabile ed impermeabile, giacchè non si comprende come potrebbero armonizzare con l’uso personale condotte incompatibili con tale espressione concettuale.
L’uso di gruppo, quindi, alle condizioni individuate dalla giurisprudenza1 deve mantenere il proprio carattere di assimilazione giuridica alla detenzione non punibile.
Per completezza, si osserva che le ragioni addotte dalla Corte, poi, non convincono ulteriormente, quando si evoca a riscontro il dettato dell’art. 75 dpr 309/90, norma che si assume applicabile solo ai soggetti che abbia detenuto propedeuticamente ad un “uso esclusivamente personale”.
Detta disposizione legislativa, infatti, non conferisce alcun valore aggiunto al preteso apodittico significato attribuito dal giudice di legittimità all’avverbio in questione, limitandosi a recepirlo acriticamente, per armonizzare sul piano puramente formale le due norme ed evitare fraintendimenti di sorta.
Perplessità suscita, pure, il successivo passaggio con il quale il Collegio tenta di conferire spessore al proprio orientamento, cercando aliunde giustificazioni e, a tal fine, evoca – tra l’altro – quale elemento di conferma della scelta normativa repressiva all’interno della quale si inserirebbe ‘indirizzo adottato, l’unificazione delle tabelle delle sostanze droganti.
Ritiene chi scrive, quindi, di dovere dissentire da questo arresto giurisprudenziale, che appare più ispirato ad opinabili ed astratti profili semantici, più che a concreti parametri interpretativi.
Carlo Alberto Zaina