Esiste indubbiamente una questione cannabis, di carattere normativo-giurisdizionale; non è certo questa una novità.
La negativa soluzione adottata con la sentenza della Sesta Sezione della Corte di Cassazione, n. 18804/13, pubblicata proprio in questi giorni e che dichiara manifestamente non infondata la duplice questione di legittimità costituzionale, denunziata sia in relazione all’iter di approvazione della L. 49/2006, sia riguardo allo specifico profilo dell’art. 73 dpr 309/90[1], esclude, irragionevolmente, la possibilità di adottare una soluzione giurisprudenziale e legislativa logica, uniforme, costante e coerente con l’evoluzione e le necessità del comune e del pubblico sentire sociale.
Essa si pone, altresì, in aperto ulteriore contrasto con l’indirizzo normativo europeo, già disapplicato ingiustificatamente dal legislatore italiano.
Con riserva di approfondire, in corso di trattazione, le specifiche critiche che devono essere mosse antagonisticamente alle giustificazioni contenute nella sentenza, giovi, comunque, sin d’ora precisare con franchezza (e senza ricorrere ad inutili perifrasi di circostanza) che la decisione della Corte non convince affatto.
Essa, infatti, mostra due importanti lacune di carattere sistematico.
Da un lato, i fondamentali temi del rispetto dei requisiti previsti dall’art. 77 co. 2 Cost. in ipotesi di ricorso ad attività di legislazione per decreto e del rapporto di omogeneità che, deve intercorrere fra decreto legge e legge di conversione, rimangono sostanzialmente elusi, siccome vengono affronti con una metodologia che, nella sua sinteticità, risulta approssimativa e per nulla esauriente.
Questo procedimento esegetico diviene presupposto sul quale si forma un complessivo errore ermeneutico in cui la Corte di Cassazione incorre su entrambi gli argomenti.
Dall’altro, i giudici di legittimità affrontano, infatti, l’importante tematica del rapporto di conformità costituzionale della norma ordinaria, omettendo di soffermarsi sul valore di fonte primaria del diritto della decisione UE 757/GAI/2004, cui – attraverso l’art. 117 Cost. – il diritto italiano deve uniformarsi.
La Corte si sofferma semplicemente ed esclusivamente sull’art. 4 dell’articolato complesso normativo europeo e circoscrivendo la propria attenzione a questa sola disposizione (della quale, peraltro, viene fornita un’interpretazione opinabile) omettendo in concreto, invece, di considerare le premesse (in special modo il punto 5 di tale paragrafo) che appaiono geneticamente risolutive.
L’interpretazione esegetica che deriva da tale processo di indagine del testo legislativo appare, dunque, affetta da vizio di parzialità, insufficienza e non correttezza.
A)
I DUE PROFILI DI COSTITUZIONALITA’ ECCEPITI
Nel caso di specie la questione di costituzionalità proposta investiva due aspetti tra loro formalmente e sostanzialmente autonomi.
In primo luogo, la difesa ha dedotto la lesione dei principi governati dall’art. 77 co. 2 Cost. sia per quanto attiene la ipotizzata assenza originaria dei requisiti (“necessità ed urgenza”) che la norma costituzionale prevede per l’adozione della procedura legiferativa per decreto, sia in relazione alla prospettata discrasia fra l’oggetto del decreto e quello della legge di conversione, con alterazione del cd. criterio di “omogeneità”.
Come si vede, già prima facie, si tratta di una fattispecie che suppone indubbiamente un accertamento di gran lunga più articolato e poliforme, sul piano squisitamente procedurale, rispetto a quelle premesse che, invece, risultano essere state la guida dell’intervento della Corte.
La tematica, dunque, investiva (ed investe) l’intera architettura del d.l. 272/2005 (e della L. 49/2006 di conversione).
I giudici di legittimità – e non pare certo per comodità di sintesi – si limitano ad indicare, quale primo aspetto dello scrutinio costituzionale proposto “..la violazione della procedura legislativa per la approvazione della modifica normativa”, locuzione che fotografa assai parzialmente i termini di correttezza del problema di formazione della legge sollevato.
In secondo luogo, con l’eccezione respinta, era stato introdotto un dubbio di incostituzionalità, rispetto all’art. 117 Cost., che, invece, involge la specificità dell’oggetto materiale dell’art. 73 comma 1, 1 bis e 5 dpr 309/90.
Si tratta, in concreto della analoga questione già sottoposta all’attenzione della Corte di Appello di Roma (e dai giudici distrettuali rimessa al vaglio della Consulta), con la quale si censura la previsione di un unico trattamento sanzionatorio di medesime condotte aventi, però, ad oggetto sostanze stupefacenti di tipo e natura differente, sul presupposto che la decisione 757/GAI/2004 UE impone indirizzi legislativi affatto differenti.
B)
LA SOLUZIONE REIETTIVA ADOTTATA DALLA CORTE DI CASSAZIONE
B1)
LA VIOLAZIONE DELL’ART. 77 CO. 2° COST.
La sentenza della Sesta Sezione affronta, dapprima, il tema strutturale della corrispondenza della procedura adottata nel caso di specie, rispetto al nomotipo stabilito dall’art. 77 comma 2° della Costituzione.
Nulla da eccepire sulla circostanza che il riferimento di giurisprudenza costituzionale, cui si ispira la riflessione della Corte Suprema sia proprio quello della recente sentenza 22 resa dal Giudice delle leggi il 13-16 febbraio 2012.
Come affermato da autorevole dottrina costituzionale[2], tale pronunzia si pone nel solco delle precedenti sentenze 171/2007 e 128/2008, che già avevano esaminato l’ipotesi della possibile non omogeneità del contenuto del decreto-legge rispetto alla successiva legge di conversione, costituendo un momento evolutivo delle stesse, dal momento che “ritiene tout-court illegittimo il decreto-legge qualora il suo contenuto non rispetti il vincolo della omogeneità”[3].
Prima, però, di verificare se, realmente, nel caso di specie – come sostenuto dalla Corte – non emerga “con immediatezza la disomogeneità tra il contenuto del decreto legge e quello della legge di conversione che giustifichi il dubbio di costituzionalità”, ci si deve soffermare su di un ulteriore profilo del tutto assorbente e preliminare.
B2)
L’ASSENZA GENETICA NEL DECRETO LEGGE 272/2005
DEI REQUISITI COSTITUZIONALI
DI URGENZA E NECESSITA’
IN RELAZIONE ALL’ART. 4
Si deve, infatti, pregiudizialmente a qualsiasi altro scrutinio, verificare, davvero rigorosamente, se il d.l. 272/2005[4], in relazione alle tematiche di modifica del dpr 309/90, presenti, i caratteri di straordinaria necessità ed urgenza di adozione che sono scolpiti nel comma 2° dell’art. 77 Cost. .
Per meglio comprendere la problematica che si va approfondendo, va ricordato che le modifiche alla legge sugli stupefacenti vennero celate, dal legislatore dell’epoca, all’interno di un D.L. – il 272 del 30 dicembre 2005 – il cui oggetto essenziale e principale era quello di “garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno”.
Appare, quindi, indubbio che, proprio la sospetta singolarità della metodologia di formazione originaria del complesso normativo[5], attesa la eterogeneità ed autonomia degli argomenti sui quali esso interveniva, costituisca, di per sé, già significativo indice dell’”assenza evidente dei presupposti costituzionali della decretazione d’urgenza”[6].
Si deve, infatti, sottolineare come la presenza di norme estranee “…all’oggetto ed alla finalità del decreto-legge, si configura un vizio di omogeneità del contenuto normativo che provoca la mancanza dei presupposti costituzionali”.[7]
Nella fattispecie l’art. 4 si propone, all’interno del complessivo sistema sul quale si regge il D.L. 272/2005, come norma che appare priva di colleganza oggettiva e teleologica rispetto alla restante parte del provvedimento.
La stessa sentenza 22/2012 esclude tassativamente che la sola presenza di una norma nel corpo di un più complessivo decreto-legge valga “a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza propria delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità”.
Dunque, una previsione che si palesi come corpo estraneo alla trama normativa, in funzione della quale è stato previsto il ricorso all’uso del decreto-legge, non mutua (o non si giova di) quei requisiti costituzionali, che, invece, siano configurabili per altre disposizioni.
Nel caso di specie si coglie, quindi, un primo elemento di prova di quanto si va sostenendo.
Nonostante il ricorso ad unico decreto legge, l’intervento legislativo, contenuto nel D.L. 272/2005 non risulta affatto investire, come, invece, sarebbe stato logico attendersi, “una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate”.[8]
Esso, invece, abbraccia, aree tematiche del tutto autonome ed indipendenti tra loro.
Neppure appare ravvisabile, poi, nel caso specifico, “l’intento di fronteggiare situazione straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei…ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare”.[9]
Se tale scopo può, forse, apparire coerente rispetto alle esigenze finanziarie delle Olimpiadi invernali (che avrebbero avuto luogo di lì a pochissimi giorni) oppure ai bisogni del Ministero dell’Interno, non altrettanto può affermarsi riguardo al T.U.Stup. 309/90.
Questa conclusione che pone l’accento sul profilo distintivo delle varie partizioni del decreto-legge, costituisce, quindi, un ulteriore elemento dimostrativo l’incongruenza dell’inserimento del citato art. 4 nel tessuto generale del D.L. 272/2005.
Come osservato da una dottrina coerente con l’approdo della sentenza 22 del 2012, il decreto-legge deve essere caratterizzato in ogni suo contenuto da una ratio unitaria di urgenza di intervento; tale denominatore comune viene meno (e priva di legittimità lo strumento normativo in parola) ove alcune materie rimangano estranee a tale comune incipit, oppure – come nella fattispecie – difettino totalmente di tale connotato.
Ed anche a tutto volere concedere, appare, pacifico che la parte del d.l. concernente “Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi”, vale a dire la previsione normativa sussunta nell’art. 4 del D.L. 272/2005[10], non presentasse – già in origine e valutata in sé – i caratteri della “straordinaria necessità ed urgenza“, che il comma 2° dell’art. 77 Cost. tassativamente prevede strutturalmente per permettere al Governo l’adozione di provvedimenti legislativi di carattere provvisorio.
Va ricordato, infatti, che il primo comma dell’art. 4, infatti, revocava l’art. 94-bis (introdotto con l’art. 8 L. 251/2005 – exCirielli), norma che regolava la “Concessione dei benefici ai recidivi”[11].
L’abrogazione costituiva, in realtà null’altro che di un’operazione di formale restyling legislativo, la cui essenziale ragione di essere (in relazione alla pretesa urgenza addotta) non si comprende affatto.
Anzi, osservando che la norma in questione (l’art. 94-bis) è rimasta in vigore per non più di una ventina di giorni[12], emerge evidente una sorta di schizofrenia normativa, che consta – dapprima – della promulgazione di una norma di chiaro contenuto restrittivo, e si risolve, poi, illico et immediate, nella sua abrogazione.
L’eventuale soppressione di limitazioni all’accesso a benefici diretti, concepiti in favore di condannati tossicodipendenti, costituisce scelta discrezionale che si traduce in una disposizione normativa, di ordinaria (e non certo straordinaria) necessità.
Essa, pur in un’ottica garantista di reformatio in melius, rivolgendosi ad una platea di destinatari assai circoscritta, non pare, quindi, costituire questione che meritasse di dovere venire affrontata con il requisito dell’urgenza, legittimando l’emissione di un decreto legge.
A tacere, inoltre, della ulteriore considerazione del fatto che – nel testo dell’art. 77 comma 2° Cost. – il sostantivo “casi” (cui si abbinano le più volte richiamate parole “necessità” e “urgenza”) appare intimamente ed indissolubilmente connesso con l’aggettivo “straordinari”, che a tale sostantivo si coniuga qualificandolo in modo specifico.
Non è, infatti, casuale l’aggettivazione indicata, perchè essa appare sintomatica di una precisa intenzione del legislatore costituente di limitare al massimo il ricorso alla decretazione di urgenza, rendendola espressione di una deroga episodica ad un regime usuale e normale di legiferazione, che poggia su presupposti e procedure del tutto differenti (è, infatti, straordinario, per definizione qualsiasi comportamento “fuori dalla normalità”, oppure “eccezionale”).
A considerazioni analoghe a quelle che precedono si presta anche il secondo comma dell’art. 4 del D.L. 272/2005, che interviene – temperandone l’esecuzione – sulla disposizione contenuta nel comma 9 lett. c) dell’art. 656 c.p.p. .
Anche in questo caso, la apparente volontà di mitigare, in epoca successiva, l’asprezza del testo originariamente licenziato – oltre a tradire l’approssimazione e superficialità con cui opera il Parlamento – non risponde affatto, all’esito di un esame obbiettivo, a concrete esigenze che si informino ai criteri di “straordinaria necessità ed urgenza” evocati dalla norma costituzionale.
La obbiettiva distinguibilità ed indipendenza delle varie aree tematiche ed argomentative affrontate dal D.L. 272/2005, permette di escludere che esistesse realmente un denominatore comune alle stesse e che questa trama connettiva potesse riposare nel sopra indicato unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare.
B3)
LA CARENZA DI OMOGENEITA’ FRA L’OGGETTO DEL DECRETO – LEGGE E LA LEGGE DI CONVERSIONE
Sostiene il S.C. – a motivazione del proprio rigetto – che, nella fattispecie esaminata, sia ravvisabile il requisito indefettibile della omogeneità (rectius “non emerge con immediatezza la disomogeneità”) tra il contenuto del decreto legge e la legge di conversione, in quanto entrambi i provvedimenti in oggetto avrebbero affrontato il tema della tossicodipendenza.
Da tale premessa ricostruttiva, i giudici di legittimità ricavano, pertanto, la conclusione che l’oggetto di ciascuno dei due momenti normativi apparirebbe coincidente con l’altro (precedente o seguente che sia). Così, però, non è.
Afferma la costante giurisprudenza costituzionale (V. anche sent. 171/2007) che la legge di conversione “può modificare il contenuto del decreto-legge, sopprimendo, modificando o aggiungendo disposizioni, ma a condizione di rimanere all’interno di quel contenuto originario”[13].
Tale principio sta a significare, testualmente ed inequivocabilmente, che l’oggetto, che il decreto-legge è chiamato a regolare, deve presentare geneticamente dei confini molto precisi entro i quali esso dispiega efficacia.
Per oggetto (coincidente) del decreto-legge e della legge di conversione, pertanto, non si può intendere (come, invece, diversamente si legge in sentenza) la medesimezza o l’identità del solo argomento di carattere generale che si intende disciplinare con lo strumento normativo.
Nella fattispecie in disamina, non pare affatto rispondente alla reale consistenza della situazione che si è venuta a creare, (né pare, tanto meno, sufficiente sul piano motivo), la addotta debole tesi che sia il decreto, che la legge affrontavano il tema (generale) della tossicodipendenza.
Come detto sino a questo punto, il confine entro il quale opera il concetto di omogeneità dell’oggetto disciplinato, impedisce che quest’ultimo possa venire ampliato in deroga alla ratio originaria.
Nel caso che ci occupa, l’input normativo, che si traduce nell’oggetto della legislazione, era, in realtà, identificato in uno specifico e settoriale intervento che concerneva un contenuto determinato: “l’esecuzione delle pene detentive per tossicodipendenti in programmi di recupero”.
Siamo dinanzi, dunque, ad un corpus originario di attività legislativa, rigorosamente e tassativamente precisato, munito, inoltre, di caratteri argomentativi individualizzanti e altamente tipicizzanti.
Nella susseguente legge di conversione vengono, invece, inseriti, improvvisamente e surrettiziamente, in eccedenza (e deroga) al disposto originario, tutta una serie di nuovi articoli, che modificano, e di commi, che integrano, altre disposizioni, contenute nel dpr 309/90.
Né gli uni, né gli altri, però, presentano alcuna connessione finalistica, teleologica o funzionale con il contenuto originario.
In buona sostanza, tutti gli interventi contenuti nella legge di conversione[14] (L. 49 del 21 febbraio 2006), fatta eccezione per l’art. 4, appaiono del tutti inediti o inopinati ed intervengono a regolamentare i più disparati ambiti del dpr 309/90 (dalla ristrutturazione delle previsioni di pena – art. 73 – alla nuova configurazione dell’art. 89 in materia di misure cautelari, dalle modifiche al regime di tutte le misure alternative al carcere, per i detenuti, alle norme procedure che governano gli interventi di polizia giudiziaria sotto copertura ex art. 97 , etc.).
Un caleidoscopico insieme, quindi, di argomenti, dotati di peculiarità assolutamente individualizzanti, pertanto, assolutamente indipendenti tra loro (taluni di diritto sostanziale, altri di diritto processuale) e del tutto eterogenei in relazione agli scopi perseguiti.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, ritiene chi scrive che la generica e asseritamente comune matrice tematica (il tema della tossicodipendenza) che vincolerebbe – ad avviso della Corte di Cassazione – le due fasi legislative, e che, quindi, costituirebbe parametro che escluderebbe la denunziata disomogeneità delle stesse, non può affatto (o minimamente) configurare tecnicamente il concetto di oggetto.
L’esame comparativo fra il testo del D.L. 272/2005 e della L. 49/2006 costituisce, quindi, tranquillizzante conferma dell’assunto.
La legge di conversione (L. 49/2006), che surrettiziamente introduce, in questa forma discutibilmente variegata, un complesso ed articolato dettato normativo, concernente la disciplina delle sostanze stupefacenti, [che risulta del tutto originale, siccome non anticipato, neppure per relationem, da alcuna disposizione (fatta eccezione per il solo art. 4)], costituisce esempio lampante di sviamento del procedimento di formazione della legge dalla causa tipica.
Nel caso che ci occupa, vengono, infatti, introdotti elementi di assoluta novità rispetto al testo del decreto-legge (creando, così, una deroga al regime del comma 2° dell’art. 77 Cost.), perché questa introduzione ex novo provoca la conseguenza “di spezzare il legame essenziale tra decretazione di urgenza e potere di conversione”.[15]
La scelta di inserire nella L. 49/2006 (conversione del D.L. 272/2005) repentinamente ed improvvisamente, ben 17 articoli, che modificano radicalmente – in tutto od in parte – differenti e plurimi profili della materia degli stupefacenti, senza che alcuno di questi si potesse porre, logicamente o strutturalmente, in relazione di conferma o modifica con disposizioni contenute nel decreto-legge, impedisce, inoltre, di potere valutare la sussistenza originaria dei requisiti di “straordinaria necessità e urgenza”, condizione essenziale prevista dall’art. 77/2° Cost. .
Le norme che arricchiscono, pertanto, inopinatamente la legge di conversione per quanto riguarda la disciplina degli stupefacenti, risultano illegittime, perché appaiono prive di un vincolo connettivo rispetto all’originario indirizzo del decreto-legge.
Ci si deve domandare, dunque, come si potrebbe, infatti, solo in virtù dell’esame maieutico del contenuto finale della L. 49 del 21 febbraio 2006 (con riferimento agli artt. da 4 bis a 4 duodevicies) desumere la configurabilità delle disposizioni in esse ex novo contenute rispetto ai predetti canoni di “straordinaria necessità e urgenza”, in assenza di quelle specifiche indicazioni legislative contenute nel d.l. .
In altre parole, se nel decreto-legge il tema della tossicodipendenza è illustrato e trattato dal solo art. 4 (che riguarda esclusivamente la esecuzione delle pene detentive per tossicodipendenti in programmi di recupero) in base a quale elementi si potrà operare la stima (con un giudizio ex ante) se il contenuto della legge di conversione rispetti (sin dall’origine) dei dettami più volte richiamati?
Il caso che ci occupa, quindi, ricade in pieno nel vizio di <<“uso improprio” da parte del Parlamento, dello strumento della legge di conversione, concepito come procedura speciale di approvazione di una legge e utilizzata, invece, consapevolmente al fine di introdurre norme che ben potrebbero essere oggetto di una procedura ordinaria (o di un’altra autonoma procedura d’urgenza, se sussistenti i presupposti fattuali)”.[16]
B4)
LA VIOLAZIONE DELL’ART. 117 COST.
E DELLA DECISIONE UE 757/GAI/2004
Analoga sorpresa amara suscitano le giustificazioni addotte per il secondo profilo di costituzionalità dedotto.
Anche in questo caso vengono utilizzate poche e lapidiarie espressioni che, però, a parere di chi scrive, che per il loro ermetismo, non colgono affatto nel segno e suscitano, invece, il sospetto che la Corte si sia pronunziata, senza procedere ad un doveroso approfondimento della specifica questione.
Dal contenuto motivo della sentenza, in ordine al profilo del contrasto fra art. 73 dpr 309/90 ed artt. 117 Cost. e 4 dec. UE 757/GAI/2004, si percepisce la precisa e netta sensazione che i giudici di legittimità fondino il proprio giudizio solamente su di un’interpretazione esasperatamente sillogistica del solo art. 4 (senza considerare le premesse contenute nella decisione ed in special modo la n. 5).
La Corte Suprema, con una valutazione insufficientemente parziale della normativa di riferimento, finisce, quindi, per travisare il senso del complesso della normativa europea.
Il giudice di legittimità, dunque, mostra di non identificare, pertanto, gli elementi essenziali e determinanti della decisione UE 757/GAI/2004.
Chi scrive, ha già avuto modo di soffermarsi, in altre precedenti occasioni sull’effettiva portata della norma comunitaria, sulla sua capacità di incidenza, quale fonte di diritto primaria, sul diritto interno e, soprattutto sulla circostanza che l’ordinamento italiano sia tenuto, in presenza di una norma quale è l’art. 117 Cost., a dare ingresso nel proprio tessuto connettivo ai precetti ed agli indirizzi che la stessa contiene.
Appare, pertanto, opportuno il rinvio agli specifici commenti ed approfondimenti già pubblicati nei mesi scorsi[17], i quali concernono la disamina approfondita e dettagliata delle motivazioni e delle ragioni, che ad avviso di chi scrive, possono legittimano la fondatezza della eccezione di costituzionalità di cui si discute.
In questa sede, vanno confutate sia la metodologia adottata dalla Corte al fine di addivenire al rigetto della eccezione, sia le deduzioni dalla stessa svolte a spiegazione della propria opinione.
In sintesi.
Non pare corretta, sul piano sistematico, l’interpretazione – contenuta in sentenza – che sia il solo art. 4 della decisione UE 757/GAI/2004 a raccomandare e prevedere “un trattamento sanzionatorio differenziato per i vari tipi di droga”.
E’, invece, necessario, tecnicamente, come – peraltro – più volte affermato, procedere in via pregiudiziale all’esame del punto n. 5 delle considerazioni preliminari della decisione 2004/757/GAI.
Tale norma – vero fulcro legislativo – costituisce, infatti, passo di carattere generale e, comunque, necessariamente ed ineludibilmente propedeutico alla disamina dell’impianto normativo propriamente detto, il quale, al successivo art. 4, traduce in termini specifici l’indicazione generale.
Il punto n. 5) delle premesse della decisione del Consiglio della UE, in parola afferma, infatti, che la sanzioni concernenti le condotte illecite in materia di stupefacenti, devono ispirarsi ai principi della “efficacia”, “proporzionalità” e “dissuasività”.
Tra questi tre canoni fondamentali, quello che più significativamente si pone in correlazione con le sanzioni previste dall’art. 73 co. 1 e 5 dpr 309/90, appare quello della “proporzionalità” della pena.
Il criterio in parola, risulta di specifica importanza tanto a livello di legislazione comunitaria, quanto sul piano del diritto interno italiano, posto che non è, affatto, revocabile in dubbio il suo rango di natura costituzionale, desumibile dal combinato disposto dagli artt. 3 e 27 commi 1 e 3 Cost.[18]
Denominatore comune della legislazione interna, oltre che di quella europea è, dunque, l’intenzione di dare corso ad una effettiva diversificazione di singole situazioni, agendo in tal senso sulla base di paradigmi di carattere eminentemente oggettivo (quale può essere, ad esempio, il quantitativo di sostanza stupefacente).
Affinché il criterio della “proporzionalità” non rimanga, però, confinato al livello di una semplice e mera petizione di principio, di natura generica ed astratta, il punto n. 5) della decisione del Consiglio dell’Unione Europea offre specifici e concreti canoni ermeneutici tendenzialmente fattuali.
Questi parametri devono, quindi, essere destinati a favorire l’individuazione dei limiti di pena: tra essi, riveste una peculiare importanza “la natura degli stupefacenti oggetto di traffico”[19].
Appare, dunque, evidente che, in base ad una simile caratterizzazione dello scopo da raggiungere, il principio della “proporzionalità” della pena, si debba necessariamente coniugare con quelli della “offensività” e della “tassatività”.
La rilevanza del principio di “offensività”, allo scopo di identificare, in modo corretto e rispettoso dell’equazione fra fatto e sanzione concreta, la pena da prevedere in relazione ad una specifica ipotesi di reato, appare fuor di dubbio assoluta.
Il principio di “offensività” diviene, quindi, al contempo, presidio di “controllo delle scelta di politica criminale” e “criterio ermeneutico indirizzato al giudice”[20].
Il concetto di “offensività”, dunque, come termometro del grado di antigiuridicità di un fatto o di un comportamento, ma – in pari tempo – anche quale parametro del tipo di riprovazione sociale di una condotta, od ancora, del livello di protezione e di tutela di un preciso bene giuridico.
Se, dunque, il legame fra proporzionalità ed offensività, appare, alla luce della considerazioni che precedono, simbiotico e diretto, esso, una volta calato nella realtà affrontata dalla decisione 2004/757/GAI, non pare, però, affatto rispettato e declinato dalla struttura dell’art. 73 commi 1, 1 bis e 5 dpr 309/90, così venutasi a delineare a seguito della novella del 2006.
Come si è già avuto modo di affermare, uno dei profili salienti e di decisiva discontinuità introdotto dalla L. 49/2006, rispetto ai testi previgenti (L. 685/75 e lo stesso dpr 309/90) è consistito nella piena e completa equiparazione del trattamento sanzionatorio di sostanze stupefacenti e psicotrope, tra loro, affatto differenti.
Il generale giudizio di nocività che, naturalmente, connota l’assunzione di tutte le sostanze stupefacenti, oltre che il carattere di presidio alla tutela collettiva ed individuale della salute (sia sotto il profilo repressivo, che sotto quello preventivo) ha costituito, ad avviso del legislatore italiano, il fondamento di una scelta, per vero, assolutamente opinabile sul piano logico ed in netto contrasto con una fonte di diritto sovranazionale.
L’omologazione sanzionatoria tra sostanze che già, a costante parere della stessa comunità scientifica internazionale, vengono individuate come, indubbiamente, differenti tra loro, non solo per specifiche caratteristiche organolettiche, ma, soprattutto, in relazione al tipo di conseguenze (psico-fisiche) che la loro assunzione produce, ha, dunque, determinato, in forza della sua disapplicazione, un notevole vulnus del ricordato principio di offensività .
La previsione normativa di una pena assolutamente identica (nel minimo come nel massimo edittale), in relazione a precisi e dettagliati comportamenti, aventi ad oggetto prodotti e sostanze, che, seppur tutte classificate come illecite, esprimono una diversa, quanto evidente, capacità di attentato alla salute di ne faccia uso, non appare affatto improntata a canoni di ragionevolezza o logicità.
La denunziata elusione del principio di “offensività” – nella fattispecie – si traduce ulteriormente nella lesione del principio di “proporzionalità”, inteso come “espressione di un equilibrio logico-etico-giuridico fra condotta illecita e relativa ricaduta sanzionatoria”. Non dimentica chi scrive, che costituisce chiara evidenza la considerazione che non si possa mai comprimere abnormemente la discrezionalità del legislatore, nella parte in cui essa concerne il “livello ed il modulo di anticipazione della tutela”[21].
Di tutto questa articolata disamina non vi è, purtroppo, traccia alcuna nella sentenza in commento e la conclusione cui essa perviene tradisce un approccio che, come detto, muove da premesse prospetticamente incomplete, che condizionano negativamente il giudizio.
Del tutto controversa appare, inoltre, la affermazione conclusiva della Corte di legittimità, secondo la quale “non si desume alcuna specifica previsione di necessaria differenziazione di pena fra tipi di droghe in quanto il predetto articolo 4 prevede un livello minimo di sanzioni per le droghe maggiormente dannose ma non impedisce che il medesimo trattamento venga riservato a qualsiasi sostanza catalogata come stupefacente”.
E’, infatti, agevole eccepire, a confutazione, che:
- Il comma 2 lett. b) dell’art. 4 – recependo l’incipit del punto 5) delle premesse – prevede un trattamento sanzionatorio aggravato (e derogatorio ai principi base di pena previsti dal comma 1), quando “il reato o implica la fornitura degli stupefacenti più dannosi per la salute oppure ha determinato gravi danni alla salute di più persone” .
Appare, quindi, pacifico e, soprattutto, confermato l’indirizzo proprio del legislatore comunitario nel senso di mantenere fermo il discrimine (a livello di pena) fra tipi di droghe, in relazione al grado di nocività delle stesse, operando un raccordando così, rispetto alle generale previsione del punto 5) delle premesse.
E’ indiscutibile scientificamente che la cannabis produca effetti psicotropi e sulla salute dell’assuntore, neppure comparabili con quelli derivati dall’assunzione di cocaina, eroina, exstasy o lsd, tanto per citarne alcune.
Siamo dinanzi a ipotesi di forme di danno differenti e non comparabili tra loro.
Nella mancata considerazione di questo decisivo passaggio logico-scientifico riposa l’errore interpretativo in cui è incorsa la Corte;
- appare, inoltre, infondata, nella sua sillogistica formulazione, la considerazione che la norma europea non impedirebbe affatto l’omologazione sanzionatoria di droghe diverse tra loro.
E’, a contrario, vero che proprio la struttura del complesso normativo si distingue, come sopra ricordato, orientandosi alla graduazione delle droghe, in funzione della loro capacità letifera.
Non sono necessari ulteriori richiami sul tema, essendo palese la questione.
** ** **
Ritiene, pertanto, chi scrive che debba farsi strada, senza compromessi, il convincimento della necessità di una profonda revisione critica della posizione assunta dal Supremo Collegio, sul tema[22].
Non è, infatti, ammissibile il permanere dell’irrisoluta distonia fra norma comunitaria e norma interna, che regolino la medesima materia.
Resta (e si rafforza) la necessità di pensare ad una nuova legge sugli stupefacenti.
Rimini, lì 7 maggio 2013
[1] Disattendendo così il recentissimo approdo giurisprudenziale della Corte di Appello di Roma del 28 gennaio 2013.
[2] S.M. CICCONETTI Obbligo di omogeneità del decreto-legge e della legge di conversione? Consultaonline, Studi e commenti, 2012.
[3] S.M. CICCONETTI Obbligo di omogeneità, cit.
[4] Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 2005.
[5] Quale connessione possa avere la abrogazione dell’art. 94 bis dpr 309/90 e la modifica della lett. c) dell’art. 656 comma 9 c.p.p. con le Olimpiadi invernali di Torino non è dato a sapersi.
[6] V. MARCENO’, L’eterogeneità delle disposizioni come male da elusione delle fonti sulla produzione del decreto-legge in FORUM di QUADERNI COSTITUZIONALI.
[7] V. MARCENO’ L’eterogeneità cit.
[8] Corte Cost. sent. 22/2012.
[9] R. DICKMANN nota a Corte Cost. 16 febbraio 2012, n. 22 in Federalismi.it n. 5/2012.
[10] Art. 4.Esecuzione delle pene detentive per tossicodipendenti in programmi di recupero
1. L’articolo 94-bis del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, introdotto dall’articolo 8 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, è soppresso.
2. La disposizione di cui alla lettera c) del comma 9 dell’articolo 656 del codice di procedura penale non si applica nei confronti di condannati, tossicodipendenti o alcooldipendenti, che abbiano in corso un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l’assistenza ai tossicodipendenti ovvero nell’ambito di una struttura autorizzata e l’interruzione del programma può pregiudicarne la disintossicazione. In tale caso il pubblico ministero stabilisce i controlli per accertare che il tossicodipendente o l’alcooldipendente prosegua il programma di recupero fino alla decisione del tribunale di sorveglianza e revoca la sospensione dell’esecuzione quando accerta che la persona lo ha interrotto.
[11] Art. 8 L. 251/2005.
1. Dopo l’articolo 94 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è inserito il seguente: “Art. 94-bis – (Concessione dei benefici ai recidivi). – 1. La sospensione dell’esecuzione della pena detentiva e l’affidamento in prova in casi particolari nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente, cui sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale, possono essere concessi se la pena detentiva inflitta o ancora da scontare non supera i tre anni. La sospensione dell’esecuzione della pena detentiva e l’affidamento in prova in casi particolari nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente, cui sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale, possono essere concessi una sola volta”.
[12] La L. 251/2005 è entrata in vigore l’8 dicembre 2005.
[13] S.M. CICCONETTI Obbligo di omogeneità, cit.
[14] Le previsioni che vanno dall’art. 4-bis, sino all’art. 4-duodevicies, (cioè ben 17 articoli!!!), risultano introdotte ex novo, in quanto assolutamente prive di un precedente previsione originaria all’interno del testo de D.L. 272/2005, che in materia di stupefacenti prevedeva il solo art. 4.
[15] Sent. 22/2012 Corte Cost.111.
[16] V. MARCENO’ L’eterogeneità cit. pg. 4.
[17] A proposito del rapporto fra decisione 2004/757/GAI della UE e dpr 309/90 in tema di stupefacenti, www.diritto.it Sez. Diritto penale, del 7 gennaio 2013;
Sulla possibile incostituzionalità dell’art. 73 co. 1 e co. 5 DPR 309/90 www.diritto.it Sez. Diritto penale, del 7 gennaio 2013;
Stupefacenti: sintesi giurisprudenziale in www.altalex.com, articolo dell’8 marzo 2013 ;
Detenzione di stupefacenti: la Corte di Appello di Roma rinvia alla Consulta Corte d’Appello Roma, sez. III penale, ordinanza 28.01.2013 in www.altalex.com.
[18] La tradizione e la cultura penalistica italiana, d’altro canto, già con giganti con Beccaria o Filangieri, ebbe a segnare ed indicare che senza il richiamo al criterio della proporzionalità, la pena rischia di essere null’altro che una pubblica vendetta dello Stato.
[19] Gli altri concernono i “quantitativi”, “la commissione di reati in un contesto organizzativo”.
[20] V. Manes “Principi costituzionali in materia penale” Atti della conferenza di Madrid 13-15 ott. 2011.
[21] V. Manes “Principi costituzionali…” cit. pg. 44.
[22] In attesa dell’auspicabile intervento della Consulta, potrebbe costituire provocatoria ipotesi di natura processuale, vale a dire quella di disapplicare – da parte del giudice penale – la norma di diritto interno, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia 16 giugno 2005, C-105/2003, la quale predica il principio che la decisione del Consiglio dell’Unione Europea costituisce, per definizione, fonte primaria di diritto, che vincola il giudice nazionale, il quale deve interpretarla in modo del tutto conforme, con la conseguenza che l’estensione della sfera di applicazione di detto principio anche alle vere e proprie fonti del diritto comunitario, determina “la non applicazione da parte del giudice nazionale e degli organi amministrativi (per questi ultimi V. sent. n. 389 del 1989) delle norme interne contrastanti con l’ordinamento comunitario”.
Una simile soluzione potrebbe trovare, però, concreta applicazione in relazione al solo tema della coltivazione ad uso personale, in quanto non potrebbe avere attuazione per quanto attiene al profilo sanzionatorio, poichè ci troveremmo con un gravissimo vuoto normativo, si che qualsiasi reato relativo alle droghe leggere, rimarrebbe senza sanzione.