Vi siete mai fatti una doccia in mutande? So che può apparire assurdo, ma in molti penitenziari italiani la regola è tuttora vigente, seppur con le debite eccezioni. Una regola non scritta e che penso affondi le sue radici nel comune senso del pudore di anni ormai distanti. Personalmente lo trovo davvero ridicolo, ma se mai vi capitasse di discuterne con un ergastolano o con un “calabrese” vecchio stampo, datemi pure torto ed io non me la prenderò. Quasi sempre vi sono degli orari prestabiliti per andare nelle docce ed a seconda delle dimensioni che ha il locale attrezzato alla bisogna, vi accede un numero di detenuti variabile; a volte il fattore “variabile” è determinato dall’umore della guardia di turno, che può anche aver ricevuto ordini inerenti la salvaguardia dei reclusi, quando v’è sentore di una “faida” in sezione; già, perchè le docce sono uno dei posti in cui si entra in contatto fisico con gli altri, ed il contatto fisico può avere risvolti traumatici.
Siccome a volte, per il quieto vivere le mutande è meglio tenerle davvero indosso, e questo non ha nulla a che vedere con i pruriti sessuali di cui questa rubrichetta ha trattato in passato, tanto che tutti approfittano per lavarsele, le mutande, poichè il capo intimo è agevolmente stendibile ad asciugare sia d’estate (sulla grata della finestra), che d’inverno (sul calorifero). Quello della biancheria bagnata è un altro problema non indifferente, soprattutto per i detenuti che non effettuano colloqui attraverso i quali possono ricevere indumenti di ricambio e sono costretti a lavarsi tutto da soli: immaginatevi che meraviglia dover stendere d’inverno in una cella 4×4 dove vivono altri 4 o 5 cristiani magari con lo stesso problema, e con i letti, il bagno e la cucina a tiro di minestrone e di scoreggia. Si creano tralicci e impalcature nei cessi, sulle finestre e davanti ai caloriferi degni del folle genio di qualche ardito architetto futurista.
Come il sistema proibizionista dimostra la propria dannosa inutilità, così il modo per emendare le nostre mancanze nei confronti del consorzio civile, poggia sugli stessi, arrugginiti cardini ormai condannati dalla loro stessa storia. Avrebbe paradossalmente senso punire duramente e barbaramente qualcuno che non si intende rieducare e recuperare, mentre per debellare il percorso deviante che sfocia in atti delinquenti, sarebbe forse più opportuno e radicale mostrare l’altra faccia della società; la faccia di cui ci si possa sentire orgogliosi e che dia ragione ad un senso di appartenenza. Sfida poco interessante per la logica del profitto, della vendetta e delle misere soddisfazioni quotidiane di cui si nutrono i burocrati. Naturalmente il detersivo con cui si lavano i vestiti è in vendita e non passato dall’amministrazione, anche se ad onor del vero il D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha tra i suoi strumenti rieducativi anche alcune lavanderie interne agli Istituti, che però non lavano la coscienza a nessuno.
Buona doccia a tutti Fratelli!!
Jazzon
Pubblicato su Dolce Vita n°13 – Novembre/Dicembre 2007