Gherardo Colombo presenta il suo libro: “Il carcere non serve a nulla”
Condivido questo interessante articolo, un nuovo Beccaria?!?
.......da leggere ascoltando questa:
https://www.youtube.com/watch?v=1zgja26eNeY
Citazione:
San Quentin, what good do you think you do?
Do you think I'll be different when you're through?
You bend my heart and mind and you warp my soul
Your stone walls turn my blood a little cold
San Quentin, may you rot and burn in hell
Gherardo Colombo presenta il suo libro: “Il carcere non serve a nulla”
Citazione:
Di ALBERTO PIRAS
Il titolo del suo ultimo libro ‘Il perdono responsabile. Perchè il carcere non serve a nulla’ potrebbe alimentare chissà quante polemiche. Un tema spinoso, quello dei reati e delle pene. Nell’aula dei Filosofi dell’Università, nella serata di martedì, Gherardo Colombo ha raccontato la sua esperienza di magistrato e le convinzioni che in lui si sono radicate nel corso del tempo. Un evento organizzato grazie all’Udu, che assieme alla Sirio coordina le attività di alcuni studenti universitari detenuti; l’associazione inoltre, con la fondazione Mario Tommasini, in mattinata ha permesso all’ex custode della legge di visitare i detenuti del carcere di via Burla e di confrontarsi con loro.
“Ho fatto il magistrato per 33 anni – ha affermato Colombo – volevo farlo e pensavo che, una volta applicata la pena, il carcere sarebbe stato una pena giusta e curativa. Questa convinzione è mutata nel corso del tempo e uno dei motivi è che la giustizia, in Italia, ha sempre funzionato malissimo. La rieducazione del condannato è praticamente inesistente nel nostro sistema. Per la cura psicologica non viene speso nulla e nemmeno per la riabilitazione”.
“Nella società – continua Colombo – emerge la paura. La pancia prevale e si difende dalle aggressioni mettendo il lupo in gabbia. Succede che le madri abbiano l’istinto omicida verso i propri figli, specie se sono piccoli. Distinguere i buoni dai cattivi è molto difficile“. Il ragionamento dell’ex magistrato verte su un punto: umanizzare chi ha sbagliato e operare uno sforzo intellettuale affinché si ragioni assieme sul ruolo di vittime e carnefici. I reati vengono commessi (spesso, non sempre) in un attimo di follia “ed è un rischio che in molti corrono”. Quindi Colombo ci avverte che la distanza e il confine tra buoni e cattivi è molto labile.
“Dovremmo passare dall’emozione della pancia alla ragione. Si può arrivare al bene attraverso il male? Si può rieducare lasciando le persone in carcere?” La domanda rimane nell’aria, per qualche secondo, poi la risposta: “Se così fosse non esisterebbe il male”. Mette soprattutto in discussione il codice penale, e la certezza della pena. Proprio quella certezza della pena che intende rassicurare l’opinione pubblica ma che, a suo giudizio, “non risolve nulla”. Il ragionamento è che chi sta in carcere (e non viene recuperato) ha maggiori possibilità di delinquere, perché ha a che fare con persone che non gli potranno far capire i danni, e i disagi, che quella sua azione ha comportato.
COS’E’ LA GIUSTIZIA RIPARATIVA ? – “La giustizia riparativa è un sistema di mediazione penale – prosegue Colombo – che dovrebbe essere adottato nel nostro ordinamento, addirittura l’Europa ce lo impone. Quello più noto consiste in un percorso, condotto da esperti della mediazione, in cui si porta la vittima e il responsabile a un incontro. Solo così il responsabile può rendersi conto del male causato e poterne, così, prenderne coscienza. Dall’altra, la vittima si fa due domande: perché? e perché a me? E a questa domanda può rispondere soltanto il carnefice. La pena punitiva non dovrebbe rimanere; siccome io soffro significa che voglio smettere di soffrire e si dovrebbe cercare di arrivare a questo”.
IL RANCORE – La prima obiezione che, istintivamente, viene mossa a questo tipo di ragionamenti, soprattutto riguardo alle pene e alle sanzioni da adottare nei confronti di chi commette un reato, è che c’è un rancore, una vendetta che va soddisfatta. “Il perdono non cancella il passato, comporta una relazione. Il rancore lo sente soltanto la vittima, ma la vendetta non libera, non fa star meglio. Bisogna quindi cercare il modo di far star meglio anche chi ha subito, e su questo molto spesso non si ragiona. “Bisogna fare un lavoro culturale, a partire proprio dalla scuole. E’ urgente – conclude Colombo – cercare di riformare gli adulti”.
http://www.ilmattinodiparma.it/?p=113226
Zappolini: «la galera non serve, occorre educare»
un altro articoletto sul tema carceri..........spero di riuscire a vedere un giorno l'abolizione di questi posti di perdizione.........magari non tornando alla pena di morte e alla tortura!
Citazione:
07/05/2014 «Non possiamo utilizzare la repressione e gli strumenti penali come risposta a problemi che hanno bisogno di risposte educative e sociali», afferma don Armando Zappolini, presidente del Cnca, Coordinamento nazionale comunità d'accoglienza, «in questi anni la legge Fini-Giovanardi ha avuto un approccio ideologico nei confronti della tossicodipendenza provocando danni enormi»
«Sia benedetto il ripristino della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti che prefigura un ritorno alla normalità ma la bocciatura della Fini-Giovanardi da parte della Corte Costituzionale è stata positiva perché si trattava di una legge espressione di un approccio solo punitivo verso il consumo delle sostanze che non ha portato nessun vantaggio dal punto di vista della prevenzione».
Don Armando Zappolini, presidente del Cnca, Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza, commenta così il dibattito al Senato sul decreto legge sulle tossicodipendenze dopo l’approvazione alla Camera il 29 aprile scorso. E sulla scelta del senatore Carlo Giovanardi come relatore a Palazzo madama sul provvedimento di conversione della legge ha commentato: «Siamo stupefatti. Al principale responsabile del fallimento italiano nel campo delle droghe, ispiratore tramite il Dipartimento politiche antidroga del blocco del sistema dei servizi per le tossicodipendenze, viene ora affidato un ruolo cruciale nella revisione della legge che porta il suo nome».
C’è chi dice che aver reintrodotto la distinzione tra leggere e pesanti è un segnale negativo per la lotta alla droga. Concorda?
«Con il proibizionismo non si risolve nulla. È inammissibile rispondere con il carcere al fallimento educativo dello Stato e degli adulti. Questo non vuol dire che vanno legalizzate le droghe leggere, si tratta di sostanze che fanno male. Né significa che drogarsi non è pericoloso ma i danni che ha fatto in questi anni quest’approccio fideistico, ideologico e punitivo nei confronti della tossicodipendenza sono pesanti e sarà difficile uscirne fuori in poco tempo. Ripeto: reprimere il consumo soltanto con l’azione penale non mi sembra efficace».
Quindi cosa bisogna fare?
«Affrontare il problema come è giusto affrontarlo, cioè dal punto di vista educativo e della prevenzione e tenendo conto della realtà concreta. C’è un’ipocrisia evidente da parte di uno Stato che promuove ad esempio il gioco d’azzardo e poi sbatte in carcere le persone che vivono il disagio di un rapporto sbagliato con una sostanza».
Secondo lei c’è bisogno di una nuova legge quadro?
«Intanto si dovrebbero ricreare le condizioni perché il sistema possa funzionare. Attivare il dipartimento antidroga, tornare alle politiche di prevenzione, vivacizzare il rapporto tra regioni e Stato su queste questioni che è stato messo in stand-by. Ritorniamo alla normalità, l’obiettivo è quello di sempre: affrontare il problema delle droghe con una visione più attenta alle persone e alla proposta educativa, a cominciare dalla scuole. Non usiamo il penale come risposta a problemi che hanno bisogno invece di risposte educative e sociali, questo è il punto. E poi guardiamoci cosa succede nel mondo: nei Paesi dove c’è stato meno proibizionismo non c’è stato un boom di consumo di sostanze né il cataclisma dipinto da questi profeti di sventura come il senatore Giovanardi. L’approccio ideologico non serve e peggiora il problema».
http://www.famigliacristiana.it/arti...e-educare.aspx