Citazione:
Nella nostra società, l’opera di desacralizzazione della cannabis è in atto da tempo.
Ciascun consumatore di marijuana ne è a suo modo responsabile, per lo più inconsapevole
Gli effetti psicoattivi della pianta sono ancora ben percepiti e vissuti dai
consumatori, ma il processo di “disattivazione” delle sue potenzialità enteogeniche
appare iniziato, o per lo meno, nulla fa ritenere il contrario.
Quanti fumatori di marijuana o di hashish ricordano i loro primi “jo/n!’ accompagnati
da esperienze di tipo “psichedelico”, e che solo di rado – fra i consumatori abituali – si
sono in seguito ripresentate. E quanti, sempre fra i consumatori abituali, riconoscono
gli effetti “più psichedelici” dei joint fumati dopo un lungo periodo di astinenza; sono
anche in molti a ricordare come i joint più “rivelatori”, nella loro esperienza con la
cannabis, quelli costruiti con potenti marijuane tropicali, fumati sul luogo di produzione,
lontani dalla propria routine quotidiana di approccio alla pianta. Ancora, i consumatori
quotidiani di cannabis e dei suoi derivati sono ben consapevoli, a proprie spese,
che nel rapporto personale con questa pianta non è tutto “rosa e fiori”.
È probabile che nell’individuale opera quotidiana di profanazione della cannabis,
attraverso il suo utilizzo nei più disparati contesti ariflessivi, si celi il primo germe di
quel processo culturale-fisiologico che trasforma una pianta sacramentale in una droga
sociale.
Non c’è uomo al mondo più profanato re di se stesso dell’uomo di cultura occidentale,
e il suo rapporto con i suoi sacramenti è da secoli disastroso.
Estrapolando la visione pessimista qui maturata, la fantasia porterebbe – in analogia con
quanto èaccaduto per il tabacco – a vedere in futuro applicato alla cannabis (sempre che,
appunto, non sia già iniziato) quel processo di “addomesticamento della molecola
selvaggia”, mediante il quale siamo soliti trasformare, nel giro di poche generazioni,
piante sacramentali in droghe sociali, socialmente (massivamente) “accettabili”, con gli
effetti originari in un qualche modo “disattivati”. Andando ancora più in là con la
fantasiosa analogia con il tabacco, con la definitiva accettazione (monopolizzazione)
della cannabis da parte dei governi occidentali, correremmo il rischio – e se non noi, le
future generazioni – di vedere un giorno la marijuana venduta in tabaccheria come una
inefficace droga cancerogena
È una visione indubbiamente pessimista quella qui presentata, e, fortunatamente, non
è la migliore di cui disponiamo. Tuttavia, ritengo opportuno sottolineare, la nocività di
qualunque tipo di monopolio governativo sulla cannabis, e che una vera liberalizzazione
dovrebbe permettere la libertà individuale di coltivare la pianta per uso personale Solo
con questa libertà, sarebbe forse possibile svincolare dal vizioso meccanismo dell’accettazione
governativa di una pianta sacramentale, mediante la sua monopolizzazione
e trasformazione in droga sociale.
Piuttosto che sognare Manifatture Stata Ii per la cannabis, in sostituzione delle attuai i vie
del narcotraffico, sarebbe meglio pensare questa pianta libera di crescere nei luoghi
dove verrebbe amata, presso le aree socio-culturali della consapevolezza e del godimento
dei suoi benefici, dove ben meriterebbe di esistere e di donarsi in santa pace·
Libera di scegliere e di venire liberamente scelta.
La “marijuana in tabaccheria” significherebbe una sconfitta del nostro rapporto con la
pianta di Shiva, e, in ultima analisi, con lo stesso Shiva.