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Il pregiudizio in audizione alla Camera (parte 1)

Personale replica alle più assurde “fantasie” narrate in audizione lo scorso 26 maggio, presso le commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali.

Diversi gli interventi, quasi tutti favorevoli all’ormai necessaria legalizzazione.

Pochi i contrari, e con pessime argomentazioni a sostegno delle loro idee proibizioniste.

Non commenterò i pensieri condivisi, limitandomi invece a smascherare tutti i “luoghi comuni” e le forzature a favore del proibizionismo.

Detto questo, sento il dovere di esprimere sostegno all’associazione LaPiantiamo e ai suoi rappresentanti. La cannabis per uso terapeutico è un diritto che dovrebbe essere garantito, senza SE e senza MA. Un farmaco dagli innocui effetti collaterali e dai mille benefici non può e non deve essere vietato, ne’ si deve ostacolare in alcun modo l’approvvigionamento. Nessuna legge dovrebbe ostacolare un malato di Sclerosi Multipla, o Cancro, o Epilessia, se questo vuole assumere cannabis per curarsi.
Se qualcuno teme per i malati stessi, ricercando una garanzia sulla qualità della cannabis che serve loro, allora bisogna spingere sul Centro Farmaceutico Militare di Firenze affinché lavori meglio e più in fretta, e su altre valide alternative.

In molti hanno dissentito con le dure parole del tesoriere di “La Piantiamo” William Verardi, che ha reclamato a gran voce quello che è di fatto un “diritto vitale”. La loro è una battaglia per la Vita. Possiamo continuare a discutere di legalizzare, liberalizzare o proibire ancora, ma senza mai dimenticare che una persona malata non ha tempo da sprecare in chiacchiere e, quello che gli rimane, deve passarlo per cercare di guarire o almeno stare meglio, e non per continuare una stupida battaglia ideologica su un argomento che non dovrebbe neppure essere discusso: il diritto alla cura.

Se il nostro fosse davvero un Paese civile, chi si batte per i diritti dei malati, ed i malati stessi, non dovrebbero abbassarsi a partecipare a queste audizioni per far cessare le ingiustizie subite. Dovrebbero già stare davanti un tribunale che faccia valere i diritti dei malati, e mi rammarico che non ci siano associazioni di giudici o magistrati che si interessino al caso.

Tornando a discutere di legalizzazione invece, sono rimasto sconcertato dall’intervento di Elisabetta Bertol (professoressa di tossicologia forense dell’Univ. di Firenze). La professoressa ha iniziato il suo “viaggio” (vi prego di non definirlo semplicemente discorso), dal racconto delle sue competenze: lei studia le “droghe”. Continua sottolineando che la cannabis non va demonizzata, e per dimostrare quanto è favorevole all’uso terapeutico, racconta di aver visitato il Centro Farmacologico Militare di Firenze. Ammette che i lavori potevano andar meglio. Spiega, o almeno così mi è sembrato di capire, che non si può attualmente creare un farmaco che dia certezza di cura, perché non possono garantire una percentuale di principio attivo stabile. Il loro problema è quello di non aver trovato costantemente una soluzione alla degradazione del THC (circa 5% al mese), e stanno cercando uno stabilizzatore.

Inconsapevolmente la professoressa dà motivazione a ciò che i malati chiedono da tempo: la possibilità di coltivare la propria medicina, in modo da avere costantemente cannabis raccolta per un determinato tempo prima dell’assunzione; coltivata ed essiccata sempre nello stesso modo.

Logicamente è impossibile far comprendere certi pensieri a chi prende l’aspirina ma non masticherebbe mai un po’ di corteccia di salice. Se tale concetto è troppo “estremo” (in tanti sono contro la medicina naturale per via di quella mancanza di “precisione” e “sterilità” che invece ci danno le “pillole”) è decisamente più semplice comprendere che, se la cannabis decade ogni mese del 5%, quando sarà trascorso un mese dalla consegna, il paziente dovrà usare il 5% in più di cannabis.

In realtà stiamo parlando di nulla: essendo la cannabis tra le sostanze meno tossiche al mondo e con effetti collaterali tanto blandi da poter essere somministrata praticamente a tutti, viene usata dai malati ogni volta che ne sentono l’esigenza, senza neppure “pesare” la quantità usata in un giorno.

E’ vero che col tempo arriva una sorta di assuefazione, ma va bene fumare anche 20 grammi di cannabis al giorno se questo permette di stare meglio e vivere dignitosamente la propria vita. Qualsiasi “farmaco” è almeno 1.000 volte più tossico della cannabis. Persino l’acqua è potenzialmente più pericolosa della cannabis.

Conosco persone affette da svariate patologie, che consumano 10g di cannabis al giorno. Ogni volta che le rivedo stanno meglio. Quelli che vedo in condizioni “stazionarie”, sono quelli che si nutrono male e consumano meno cannabis rispetto a quanta ne avrebbero bisogno.
Lo Stato non si preoccupa della salute dei malati se impedisce loro di usare una pianta che, anche se presa in eccesso, non può far male.

Se lo Stato avesse davvero a cuore la salute dei cittadini, dovrebbe varare immediatamente delle leggi per vietare gli ingredienti ormai riconosciuti tossici, usati per produrre e conservare il cibo e non accanirsi contro una pianta benefica.

La professoressa, dopo aver parlato del fallimento nel produrre un “farmaco” con percentuale di principio attivo costante nel tempo, torna al problema degli arresti: lei afferma che nessun semplice consumatore è mai finito in galera.

La professoressa è consapevole del fatto che in Italia la coltivazione è, per legge, ai fini di spaccio; però è convinta che tutti i giudici siano di “buon senso” e che non condannino nessuno per due o tre piantine; quando sono per scopo terapeutico!
La professoressa è davvero ignara di quanti processi siano in corso in Italia per la coltivazione di poche piante. Migliaia di persone vengono fermate, denunciate, processate e condanante per aver coltivato qualche pianta di cannabis e ci sono cittadini che devono arrivare in cassazione per essere giudicati non colpevoli.
E le spese legali?

Eppure la professoressa pensa che sia normale, come se la cannabis fosse chissà quanto più pericolosa dell’alcol; quando invece è esattamente il contrario. La Bertol pensa che la legalizzazione, e la conseguente abrogazione delle sanzioni, siano il principale pericolo, come se consumare cannabis per scopo “ludico”, renda gli individui pericolosi. Sicuramente la professoressa non ha mai passeggiato per Amsterdam. Non contano eventuali dati di ricerche pilotate, basta fare un giro in Olanda.

La professoressa riprende lanciandosi in argomenti decisamente più tecnici e difficili. Inizia a spiegare che la cannabis di oggi è una “super cannabis” che ha avuto un incremento di THC rispetto a quella degli anni ’90 (non specifica quanto), perché “viene coltivata in serre”. Secondo la professoressa, la produzione di THC è una “semplice risposta fenotipica, cioè risposta dall’ambiente, e non geneticamente differenziato dalle 25, 30 specie di cannabis che derivano dall’ambiente. Le piante di cannabis di oggi sono geneticamente selezionate”. (sono pressapoco queste le parole che usa)

La professoressa completa il difficile discorso facendo però un esempio giusto: gli incroci di cannabis diverse sono come l’incrocio tra piante di viti per ottenere vini migliori.
In realtà, la produzione di cannabinoidi, THC compreso, è “scritto” nella genetica della pianta, ed è anche influenzato dall’ambiente in cui essa cresce, dal terreno, dall’umidità, dalla luce.

Selezionatori di genetiche particolarmente terapeutiche hanno prodotto infiorescenze con livelli che hanno superato ormai il 28%. Queste varietà derivano da incroci naturali che, oltretutto, nella pianta di canapa sono semplicissimi da effettuare: è una pianta dioica, con maschio e femmina separati.

Le varietà che producono resine ricche di THC si sono evolute parallelamente a quelle da “fibra”, durante migliaia di anni. Nessuna novità. Abbiamo fatto con la cannabis la stessa cosa fatta con le rose, e persino con i cani e i gatti.
Ma cosa vuol dire aumento del THC?
Ipotizziamo che negli anni ’90 la cannabis avesse contenuti di THC del 14% (io negli anni 90 ero già un consumatore e confermo questo dato); oggi invece riusciamo a fare cannabis col 28% di THC. In realtà quanto ne viene assimilata in più oggi, con uno spinello?

Con 1 grammo di cannabis, negli anni novanta, potevi assimilare sino a 0,14g di THC.
Oggi, dopo20 anni, da 1 grammo di cannabis puoi riuscire ad assimilare 0,28g di THC.
La DL50 della cannabis, come è stato ricordato anche durante la conferenza, è 1:20.0000/1:40.0000.

L’unità di paragone è la dose minima usata per “confezionare” una sigaretta di cannabis, ossia 0,9grammi. Dobbiamo dunque moltiplicare 0,9g per 40.000 se consideriamo la cannabis “degli anni ’90”, e per 20.000 se prendiamo una buona cannabis. Sono praticamente due chili di cannabis in un unico “spinello”. Un consumatore medio usa, da solo, meno di 500g di cannabis all’anno, sempre che non fumi in compagnia, e che non usi neppure occasionalmente la cannabis per curarsi. Ancora una volta si parla di nulla per confondere le idee.

La professoressa conclude chiedendo di poter fare un minimo di discorso sulla pericolosità del consumo di cannabis. Essa dice ancora che la pericolosità dipende dal quantitativo di THC assunto e spiega che si può passare da una semplice e piacevole sensazione di euforia a psicosi. Parla di casi accertati in cui si sono manifestati disorganizzazione del pensiero e allucinazioni.

La Bertol incalza dicendo: “La struttura molecolare del tetraidrocannabinolo è paragonabile agli effetti allucinatori dell’LDS.”
Sinceramente nessuno poteva capire cosa volesse dire la professoressa: il Dott. Angelo Nicosia (Chimico) mi ha infatti spiegato che, in realtà, le due molecole hanno struttura totalmente differente, quindi svolgono azioni differenti all’interno dell’organismo. Presentano anche gruppi funzionali differenti (prevalentemente amminici nell’LSD; assenti nel THC) che ne rimarcano la differente azione. Inoltre, il THC risponde ai recettori presenti nel corpo umano CB1 e CB2 (specifici per i cannabinoidi) mentre l’LSD svolge un’azione ancora non del tutto chiara come agonista di recettori serotoninergici.

La professoressa Bertol, per chiudere in bellezza la sua propaganda terroristica, afferma che il 35% delle persone coinvolte in incidenti, è stata trovata positiva alla cannabis; e che la cannabis provoca danni ai neuroni del lobo frontale, se assunti in fase di sviluppo.
A quel punto molti partecipanti all’audizione hanno dissentito rumorosamente. Io non condivido queste forme di “protesta”: occorre ascoltare e dialogare. Sarebbe bastato comprendere e spiegare i dati riportati in audizione: dire che il 35% delle persone coinvolte in incidente è positiva alla cannabis, non vuol dire nulla. Qual’è la vera percentuale di individui, trovati positivi solo alla cannabis, che hanno PROVOCATO un incidente?

Paragonando tale percentuale con quella di coloro che hanno causato un incidente sotto effetto dell’alcol, che differenza si evince? Perché è ancora illegale la sostanza meno pericolosa di tutte?

Bellissimo ascoltare il presidente nazionale delle federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze Pietro Fausto D’Egidio: egli parla di dipendenza, tossicità di organismo e sistema provocati dal consumo di cannabis. Presenta dati importanti che dimostrano la bassissima tossicità della cannabis, ma completa la prima parte del suo intervento dicendo che la cannabis può provocare psicosi e ritardi nel nascituro.

Voglio immediatamente ribadire a queste ultime affermazioni, ricordando che le psicosi possono essere provocate da moltissime sostanze, ma anche da traumi fisici o psicologici. La cannabis, come qualsiasi altra sostanza psicoattiva, deve essere assunta responsabilmente, che sia per scopo terapeutico o ricreativo.

Le donne in gravidanza dovrebbero usare sostanze psicoattive, cannabis compresa, solo se hanno delle esigenze terapeutiche. In molti Paesi, dove l’uso terapeutico è legale, la nausea gravidica viene curata con la cannabis.

D’Egidio conclude parlando dei danni sociali e sulla salute dell’individuo rispetto le “polis” e afferma: i danni sono molto alti se c’è un mercato illegale non regolato. I danni sono ugualmente alti se c’è un mercato legale non regolato. I danni si minimizzano con una legalizzazione regolata da norme che impediscano gli abusi.