Non i sensi ingannano, bensí il giudizio.
Premessa: X seguire il filo
Nonostante il titolo, questa non è una vera storia della canapa indiana, ma piuttosto una rassegna delle idee che su di essa si è fatte il mondo occidentale negli ultimi duemilaquattrocento anni. Pertanto non parlerò, se non per inciso e quando il filo del discorso lo renderà necessario, della storia naturale e della farmacologia della cannabis, né del ruolo, pure importante, che questa ha avuto in Medio Oriente, in India e in Cina.
Cercherò invece di riordinare i termini di un problema: se è vero, come è vero, che fin dall'inizio della storia l'Europa ha fatto parte dell'areale geografico in cui la cannabis si distribuisce spontaneamente, e che per secoli gli europei sono stati a conoscenza dei suoi effetti psicotropi, come spiegare allora che essa non ha goduto da noi, almeno fino alla seconda metà del XX secolo, della popolarità e della considerazione di cui ha goduto invece in culture geograficamente limitrofe (come nel Medio Oriente), o presso altre popolazioni di origine indeuropea (come in India)?
Questo problema si collega a quello, piú generale, del ruolo complessivamente molto modesto che, in tempi storici, le piante psicotrope hanno avuto nella storia della cultura europea: in contrasto con quello assai piú importante svolto nel resto del mondo, dove piante attive sul sistema nervoso centrale, e in grado perciò di modificare le operazioni della mente, hanno fatto parte integrante della cultura e della religiosità. Il vino, che pure sembra costituire un'importante eccezione, si colloca però, sia dal punto di vista farmacologico che da quello culturale, su un piano già diverso da quello, per esempio, del soma indiano o dell'ayahuasca amazzonico. Per contribuire a rendere conto di quest'assenza, che è già stata l'oggetto dei lavori di Richard E. Schultes, ho cercato di seguire il filo conduttore della cannabis attraverso la storia della cultura occidentale, raccogliendo quelle credenze, opinioni e giudizi che mi è sembrato potessero aiutare a ricostruire la relazione esistente tra gli intellettuali europei e gli effetti psicotropi della pianta. Tale relazione, come si vedrà, è marcata da un profondo interesse; ma da un interesse che rimane tuttavia "esterno", oscillando tra l'etnografico e lo scientifico senza diventare uso popolare e parte integrante del costume, come è avvenuto invece per certe solanacee nostrane (nel caso un po' speciale della stregoneria tardo-medievale), per il tabacco o per il caffè. La situazione s'è capovolta solo di recente, cioè da quando, nonostante la generalizzata proibizione legislativa, la cannabis si è affermata come una tra le sostanze psicoattive piú comunemente usate sia nel nostro continente sia in quello americano.
Se uno che fa il neurofarmacologo di mestiere, come me, si decide a scrivere un libro di storia, vuol dire che ha ricevuto molto incoraggiamento: lo devo ai tanti colleghi e amici con cui ho condiviso discussioni sulle sostanze psicoattive e sui loro meccanismi d'azione. Ne ricordo qui solo alcuni: Jack A. Grebb e Andrew J. Czernik (della Rockefeller University, New York), Claas H. Lammers (del Max Planck Institut für Psychiatrie, Monaco di Baviera), Danilo Del Gaizo e Enzo Nucci. Un ringraziamento particolare va ad Antonino Pollio (dell'Università di Napoli), compagno di varie peregrinazioni etnofarmacologiche; a Giorgio Samorini, che ha avuto la gentilezza di anticiparmi le conclusioni del suo prossimo libro, sulla storia della cannabis in Italia; e a Roberto Longhi, che mi ha suggerito involontariamente il titolo di questa breve ma veridica storia.
Daniele Piomelli
(The Neurosciences Institute, La Jolla, marzo 1995)
LA STORIA COMINCIA CON ERODOTO (V SECOLO a.C.)
Nell'ottavo secolo prima di Cristo un gruppo di tribú nomadi indo-iraniche provenienti dalla Transoxiana penetrò in Europa orientale, stabilendosi a sud della Russia bianca, tra la catena montagnosa dei Carpazi e il fiume Boristene (Dnepr), e scacciandone le popolazioni indigene o sottomettendole. Abili cavalieri, guerrieri feroci e ricchi pastori, quegli emigranti non tardarono a entrare in contatto con gli avamposti commerciali fondati sulle coste del Mar Nero dalle città mercantili greche. Erodoto d'Alicarnasso, grande viaggiatore e storico delle guerre persiane, tramanda che il loro nome era scoloti, ma che i greci li chiamavano sciti.
Insieme con il pesce salato, il miele e le pellicce, gli sciti esportavano nel Ponto ellenizzato, e da lí nel resto del mondo greco, gli echi di costumi religiosi inconsueti e ancestrali, che Erodoto ha osservato e registrato con avida curiosità di etnologo. Il passo che proponiamo, preso dal quarto libro delle Storie, descrive appunto uno di quei riti, fornendoci cosí la piú antica testimonianza europea sull'uso psicotropo della canapa indiana.
Erodoto, Le storie, IV (73-75)
Dopo un funerale, gli sciti si purificano in questo modo. Si spalmano il capo con un unguento, che poi lavano via. Per il corpo invece fanno cosí. Innalzano tre pali, inclinati l'uno verso l'altro, e vi stendono sopra delle coperte di feltro, che uniscono l'una all'altra il piú strettamente possibile. Poi, in un vaso posto al centro dei pali e delle coperte, pongono delle pietre arroventate al fuoco.
Cresce nelle loro terre una canapa ["kannabis"] che assomiglia in tutto al lino, salvo per altezza e larghezza, che sono molto maggiori. Questa canapa cresce sia spontaneamente che coltivata. Anche i traci ne fanno dei vestiti simili ai vestiti di lino, e chi non l'ha mai vista non sarebbe capace di dire se sono fatti di lino o di canapa; e chi non conosce la tela di canapa crederebbe che si tratti di lino.
Di questa canapa, dunque, gli sciti prendono il seme e, entrati sotto le coperte, lo gettano sulle pietre arroventate al fuoco; allora il seme libera un fumo odoroso e produce un vapore tale che nessuna stufa greca potrebbe farne altrettanto; inebriati da questa sauna, gli sciti lanciano urla di gioia ...
Il passo è celebre, la sua veridicità è confermata dai ritrovamenti archeologici, e la sua interpretazione generalmente accettata spiega che il rito funebre raccontato da Erodoto è una variazione su un tema religioso antichissimo, quello del viaggio estatico nel mondo dei morti. Inalando il fumo di cannabis, i parenti del defunto convenuti al suo funerale credono che le loro anime si stacchino dal proprio involucro corporeo e accompagnino il morto alla sua nuova dimora. Altrove, come nelle steppe siberiane, è il succo del fungo Amanita muscaria che svolge una funzione simile: se ne serve lo sciamano guaritore o psicopompo per accompagnare le anime perdute dalla malattia o dalla morte. Altrove ancora, dove tali vie farmacologiche all'estasi sono neglette, altre possono supplirvi - digiuno rituale, musica, danza, meditazione - producendo, con meccanismi fisiologici ancora ignoti, effetti non dissimili. Ma che per un popolo d'origine probabilmente iranica come gli sciti lo strumento (principale?) del viaggio estatico nel regno dei morti fosse proprio la cannabis, non è cosa che debba troppo sorprenderci, come vedremo nel capitolo che segue.
Il lettore curioso di rituali estatici avrà di che saziare le sue attese in quel "cunto de li cunti" del folclore a sfondo sciamanico che è Storia notturna: Una decifrazione del sabba, di Carlo Ginzburg (Torino, Einaudi, 1989). Il passo di Erodoto vi è citato alla pagina 188 ed è corredato di una portentosa bibliografia a cui volentieri rimando.
Pur non toccando direttamente il ruolo della cannabis, la lettura di Giorgio Colli (La sapienza greca, vol. I, Milano, Adelphi, 1990) e di Giuliana Lanata (Medicina magica e religione popolare in Grecia, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1967) aiuta a inquadrare l'atteggiamento dei greci verso l'estasi religiosa e a comprendere quindi l'interesse di Erodoto per il rito scita. I ritrovamenti archeologici a cui accenno sopra sono descritti da M.I. Armatov in "Frozen Tombs of the Scythians", Scientific American n. 212 (1965), p. 101-109, dove sono riprodotti alcuni oggetti provenienti da un tumulo funerario scita trovato al confine tra Mongolia e Siberia, e quasi certamente adoperati per il consumo di cannabis.
Il passo di Erodoto è tradotto qui dall'edizione critica di Ph. E. Legrand (Parigi, Les Belles Lettres, 1985).