Cari amici, come anticipato, fra un po lascerò la mia terra per andar via a cercare lavoro in un luogo dove forse vivrò meglio.
La Sardegna è bellissima, coste meravigliose, paesaggi da cartolina, insomma per i turisti è una meta da assaporare con tutte e dieci dita.
Io la lascio con un grosso nodo alla gola ed una cicatrice sul cuore.
Voglio però presentarvi una parte oscura della mia isola, quella parte che da turista non potrete mai conoscere, solo se vivete in alcuni paesi potrete sentire il vento che sento io.......vi presento il vento che soffia nel mio paese.
Il vento che soffia nel mio paese.
Il mio paese si trova su un altopiano, in mezzo alle montagne, per laprecisione in una delle barbagie del Nuorese,
ha una sola entrata, una volta al suo interno, se vuoi uscire devi passare per forza da dove sei entrato, non ci sono altre uscite. Come arrivi quì, tutti sanno che sei arrivato, sei monitorato, nel tuo percorso lasci il segno del tuo passaggio, dove vai, con chi stai e cosa fai....se qualcuno vuole farti del male, non puoi scappare, perchè hai una sola uscita, quella da dove sei
entrato, per forza da li devi passare, ed il tuo assassino e li che ti aspetta!E non hai via di uscita se non quella da dove sei entrato.
Qui ce gente comune, pastori, allevatori, massaie e casalinghe, carabinieri, tanti carabinieri.
Qui non portano la divisa, come dalle altre parti d'Italia, ma vestono sempre in tuta mimetica, giubbotti antiproiettile, e armamenti da far paura.
Qui la vita non è come dalle altre parti d'Italia, qui si muore di bar, quì si muore per una donna sbagliata, quì si muore per una parola detta male, quì si muore, si muore ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.Lo si vede dalle donne in nero, quante donne in nero ci sono nel mio paese, tante, troppe, avvolte nei loro scialli di lana (fresi), ne vedi solo gli occhi, sempre bagnati di amare lacrime, sempre fresche per non dimenticare il ricordo. I figli sono pochi, gli uomini sono troppo pochi, le donne sono tante, loro non muoiono di bar, loro devono rimanere, devono essere in tante per poter piangere in coro, nelle stanze della morte, e quasi un canto che richiama antiche melodie, che soffiano su questo altipiano, come il vento che lo batte 365 giorni all'anno.
Il vento....anche il vento quì è diverso, ha un suo suono, unico nel suo genere, sembra che voglia portare il pianto dei morti in giro per il paese, come se non fosse mai abbastanza questo pianto di morte.
Cento e più tombe, lapidi con brevi epigrafi, parole asciutte e secche come proiettili: se potessero dire di più, si saprebbe tutto dei morti ammazzati di una faida che si perde a memoria d' uomo. Ma il mio paese non è Spoon River, la gente non parla neanche da morta e la catena di vendette
andrà avanti per chissà quanti anni ancora. Nessuno sa come nasce una faida in Barbagia: il furto di un gregge, un testimone che ha visto ciò che non doveva, un bicchiere di troppo, vecchie ruggini fra lontani parenti, un insulto a denti stretti o semplicemente uno sguardo male interpretato. Un pretesto basta a far scattare un codice non scritto ma da millenni inciso nella coscienza della nostra comunità.
"Desamistade" tradotto letteralmente dal sardo, sembra meno sanguinoso di quanto non suoni nella
realtà. Non vuol dire nè faida nè vendetta. E' solo il contrario di "amistade", l' amicizia. Ma in Barbagia un' inimicizia può essere estremamente violenta e duratura, capace di trascinarsi per anni, decenni, generazioni, magari oltre la memoria dell' offesa che l' aveva scatenata.
più di 100 morti in 40 anni, su un paese di 2800 abitanti.....Questo è il mio paese. Quasi tutti assassinati in un giorno di festa. Una catena di sangue iniziata un giovedì grasso e scandita via via da un venerdì santo alla vigilia di Natale, un primo maggio, una Pasqua... Gente massacrata mentre guadava un torrente, parlava con la fidanzata, curava le pecore... Davanti alla chiesa o accanto alla caserma dei carabinieri. Un giorno è toccato ad un ragazzino di quindici anni. La sua famiglia, per sottrarsi alla legge dei pallettoni, si era trasferita sulla costa, in un paese non definito. I killer, però, sono arrivati fin là. Hanno ferito due fratelli e ucciso Massimo, quasi un bambino. Ma quindici anni nella vita dei pastori è già una maggiore età. Per salvarsi, e a volte non basta, bisogna averne di meno. Undici, per esempio, come Costantino, figlio di Angelo. Tre sicari, vestiti con tute da meccanico e il fazzoletto sul volto, gli spararono dodici scariche di pallettoni sull' automobile del padre. Il piccolo si salvò perchè era seduto tra due bidoni di latte. Ci pensarono un attimo, poi lo lasciarono andare via, non senza avergli affidato un messaggio per il paese. "Narali chi ti lassamus andare, ma a babbu tuo non l' amus perdunau": racconta che ti abbiamo lasciato andare, ma che a tuo padre non l' abbiamo perdonato.
Come sia cominciata la faida è ancora un mistero. Secondo alcune versioni, all' origine di tanto uccidere ci sarebbero dei futili motivi: il furto di qualche agnello, una brutta parola. O forse uno "sgarrettamento", un' offesa tipica della civiltà barbaricina capace di ricostituire con una colletta in natura il gregge del pastore che per qualche sfortunata circostanza ne sia rimasto privo, ma anche, appunto, di punirlo con lo sfregio dell' azzoppamento di tutte le pecore lasciate in terra ad agonizzare. Secondo altre ipotesi la "desamistade" sarebbe partita dalla lite per la spartizione di un riscatto. Secondo altri ancora, la faida sarebbe stata importata da paesi vicini seguendo le tracce di alcune famiglie emigrate da un paese all' altro. Comunque sia: si muore, ma si ignora perchè. Inutile chiedere allo Stato che non sa (in due anni è stata arrestata una sola persona, un fratello di un ragazzo ucciso una domenica). Inutile chiedere al paese che, se qualcosa sa, certo non dice niente.
Comunque voglio uscire un po di casa. In giro poca gente: qualche donna frettolosa, un paio di automobilisti che ti squadrano dallo specchietto retrovisore, un gruppo di vecchi che prendono il sole. Non sembra il Far West, come qualcuno l' aveva dipinto. E anche l' avvertimento che raccomandano ai turisti - "non entrare al bar, se no rischi di farti mettere in mezzo" - si rivela quanto meno fuori tiro. "Buongiorno, un caffè per favore". Il barista, grande e grosso, ti guarda fisso negli occhi. I quattro o cinque avventori che stazionano attorno al banco pure: "No. La macchina non funziona". Inutile insistere, magari con una birra va meglio. Con stranieri e carabinieri la conversazione non brilla. Da quando c'è questa catena di morti, poi, pare che neppure i locali chiacchierino molto tra loro. La scia di sangue, direttamente o indirettamente, ha toccato ormai metà dei tremila abitanti del paese. E in giro c'è un certo nervosimo: non si sa mai, una parola fuori posto o una frequentazione sbagliata potrebbero rivelarsi fatali.
Ma questo e pur sempre il mio paese, fra qualche giorno andrò via, e sono sicuro che piangerò, piangerò perchè non potrò esserci a combattere come sempre ho fatto per l'amistade e non per la disamistade, piangerò perchè lascerò casa mia ed i miei cari, piangerò perchè sono sicuro chè lascerò il 95% di me...sulle strade, sui muri, sulle vallate, sui ruscelli, sulle sedie del bar, ma porterò con me le cose più belle che mi ha insegnato, e lascerò quelle più brutte sotto una lapide, dove non inviterò nessuna donna vestita di nero a piangere.