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Discussione: novità giurisprudenziali

  1. #161
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    Grazie per la rassicurazione Avvocato, l'aveva già chiarito in un altro post, ma continuo a leggere testimonianze del contrario. Non ho NESSUN dubbio che lei dica il vero, ma ho ENORMI dubbi che FDO e giudici applichino SEMPRE quanto previsto per legge.
    L'erba del vicino è sempre più verde
    .
    Ma la mia è più buona perche faccio un buon flush Hidden Content

  2. #162
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    Una bellissima esperienza con gli amici della Camera Penale di Prato; un'occasione per discutere senza ipocrisie dell'attuale situazione determinata dalla pronunzia della Corte Costituzionale, che ha abrogato il D.L. 272/2005.
    Interessantissimi spunti di discussione e riflessione da parte del dott. DAVID MONTI.
    Un grazie di cuore agli avvocati COSTANZA MALERBA e FEDERICO FEBBO.
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  3. #163
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    Le conseguenze della pronunzia della Corte Costituzionale, che ha abrogato alcune significative ed importanti sezioni della L. 49 del 2006, meglio conosciuta come Fini-Giovanardi, si stanno continuando a manifestare in modo , sempre. più imprevisto ed imprevedibile .
    Al di la', infatti, di quegli effetti cd. evidenti e diretti, che hanno formato oggetto sia di dissertazioni dottrinali, che di prime caute applicazioni giurisprudenziali, emergono nuove tematiche destinate a suscitare obbligate prese di posizione a livello interpretativo .
    Desidero soffermarmi, in particolare, sul tema delle tabelle delle sostanze stupefacenti , allegate agli artt. 13 e 14 del DPR 309/90, caducate a propria volta, in forma indiretta, dalla pronunzia del giudice delle leggi, siccome esse costituiscono naturale emanazione di tali disposizioni, così come modificate dall'art. 4 vicina ter del Dl 272/2005.
    Or bene, il governo ha cercato di porre rimedio alla scabrosa situazione venutasi a creare - come detto l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 vicies ter ha comportato la riviviscenza in toto dell'ancien regime governato dalla legge JERVOLINO/VASSALLI e, quindi, anche delle 4 tabelle precedenti - con il DL 36 del 20 maggio 2014, il quale assolverebbe al dichiarato scopo di garantire una continuità rispetto ai decreti che si sono succeduti nel tempo e che hanno introdotto nel contesto tabellare nuove sostanze precedentemente non inserite.
    L'intervento normativo in questione, però, appare del tutto vano rispetto agli ambiziosi fini prefissati, in relazione al periodo temporale che decorre dal febbraio 2006 al 21 marzo 2014, potendo la disposizione di legge operare esclusivamente a far data dal 21 marzo 2014 e non potendo assumere vigenza di retroattività,giusta il disposto dell'art. 25 comma 2 Cost. .

    Come sostenuto, in modo assai puntuale da VIGANO' (Droga : il governo corre ai ripari con un d.l. sulle tabelle, ma la frittata e' fatta in wwww.dirittopenalecontemporaneo.it 24 marzo 2014), le tabelle esistenti precedentemente alla L. 49/2006 non sono state validamente abrogate dalla Fini-Giovanardi, sicché non potranno essere a loro volta "..considerati validi i successivi decreti ministeriali di aggiornamento delle tabelle emanati sulla base dell'art. 13 t.u. nella formulazione modificata dalla Fini-Giovanardi".
    Consegue, pertanto, che, ad esempio fra tutte, soprattutto quelle sostanze contenenti cannabinoidi sintetici (ad esempio tutta la famiglia dei JWH o degli AM) potrebbero non essere ritenuti fuori legge sino al 21 marzo 2014.
    Se - come pare - una simile conclusione si rivelasse fondata, si aprirebbero concrete possibilità di ricorso allo strumento dell'art. 673 CPP per tutti quei casi già definiti,con sentenza passata in giudicato. e di assoluzione per coloro tuttora imputati di reati concernenti la commercializzazione e di prodotti contenenti tali principi attivi (soprattutto i famigerati profumato di di ambiente).
    Ma vi è di più.
    L'abrogazione del comma 1 bis dell'art.73 DPR 309/90, che introduceva, seppure con una sintassi estremamente contorta, la condizione di non punibilità dell'uso esclusivamente personale e che modulava tale ipotesi anche attraverso il parametro della quantità massima detenibile, potrebbe comportare la disapplicazione di tale parametro proficuamente utilizzato ad oggi -sia in funzione dell'uso personale, sia per la determinazione dell'ingente quantità' (art. 80 co. 2) .
    E' noto che le SS.UU. con la sentenza 24 maggio 2012 sancirono quale canone valutativo e criterio soglia quello di 2.000 volte la Q.M.D.,al di sotto del quale non è ravvisabile la circostanza aggravante in questione.
    Poiché il Q.M.D. costituisce un canone interpretativo di natura politica, derivante dalla moltiplicazione della dose media giornaliera per un moltiplicatore stabilito per convenzione normativa (seppure basata su pareri scientifici) e diverso per ogni sostanza ed appare diretta emanazione del testo dell'art. 73 comma 1 bis(il quale introduceva espressamente paradigmi utili alla individuazione del consumo personale) l'abrogazione della norma di riferimento comporta, a cascata, l'inutilizzabilita di criteri essa strettamente collegati
    Dunque si paventa un gravissimo vuoto normativo, in relazione a due istituti (la detenzione e la ingente quantità) che quotidianamente sagomo materia centrale nei tribunali italiani.
    Ultima modifica di Avv. Zaina; 14-04-14 alle 13:17

  4. #164
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    La giurisprudenza di merito dimostra di non condividere le posizioni assunte talora dalla Corte di Cassazione e di essere concreta espressione di un diritto vivente in linea con l'evoluzione della società ed anticipatore delle incertezze e dei tentennamenti della politica.
    Esempio in tal senso e' la pronunzia del Giudice Monocratico presso il tribunale di Monza, che ha appena assolto un mio assistito accusato di coltivazione e detenzione di marijuana.
    La coltivazione veniva contestata in relazione ad una pianta, mentre la detenzione concerne a 263 grammi di marijuana.
    La pianta presentava una percentuale di thc pari al 2,27%, cioè sufficiente secondo i parametri della Corte di Cassazione a configurare la coltivazione punibile.
    I reperti di sostanza detenuta, invece, avevano l'uno un tasso percentuale del 4,58% e l'altro del 5,18%, così che il principio attivo complessivo ammontava - stando alla consulenza - a gr. 10 circa (pari a quasi 20volte la quantità massima detenibile che è' di mg. 500).
    Il Tribunale monocratico di Monza ha ritenuto che il fatto non sussiste(per quanto attiene alla coltivazione) e che il fatto non e' previsto dalla legge come reato (riguardo la detenzione), a fronte di una richiesta di condanna a 2 anni ed 8 mesi di reclusione.
    In attesa delle motivazioni (depositate fra 90 giorni) si può ipotizzare che il giudicante abbia ritenuto, seppure, sotto differenti profili, operante la scriminante teleologica della destinazione dello stupefacente al consumo personale.
    E', altresì, ipotizzabile che rilevanti siano risultate le osservazioni concernenti l'assenza di beni o strumenti funzionali allo spaccio, la mancanza di elementi investigativi tali da attestare che il giovane avesse contatti con ambienti devianti, la sua incensuratezza, la prova che egli non aveva necessità alcuna (sul piano economico) di cedere a terzi e la produzione di alcune note sentenze in materia.
    Un altro passo avanti.

  5. #165
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    Temo che politica e giurisprudenza, in un'ottica che affronta il tema della cannabis, solo sotto il profilo della punizione e criminalizzazione di condotte che, probabilmente - senza la lente del pregiudizio ideologico -, non costituirebbero alcun tipo di illecito (ne' penale, ne' amministrativo), abbiano perso di vista il problema sociale della lotta al dolore.
    Soffermandosi, infatti, solo sull'indirizzo, impropriamente definito come ludico (quasi che chi usa marijuana od hashish lo faccia esclusivamente per divertirsi) ci si è - volutamente - dimenticato di approfondire la questione della tutela di coloro che detengano o coltivino per potere costituire una piccola scorta di carattere medicamentoso, siccome colpiti da gravi e disparate patologie.
    Considerato che l'accesso dei malati ai farmaci a base di cannabis (e soprattutto ad esempio al Bedocan- cannabis flos) appare sempre più difficile per i costi elevati di queste medicine, e per la indisponibilità del SSN - assai rigoroso quando non di tratti di scialare - la soluzione ottimale deve essere concepita nel senso di aprire forme di procedere alla sperimentazione di coltivazione destinata ad uso personale.
    Credo che simili iniziative permetterebbero di sottrarre risorse finanziarie al mercato illecito, di evitare la commistione di tante persone per bene con gli ambienti criminali dello spaccio organizzato, perseguendo uno degli scopi fondamentali del DPR 309/90 e cioè quello di evitare la immissione ex novo, la diffusione e la proliferazione della presenza di sostanze droganti sul mercato.
    E' evidente che questa serie di argomenti potrebbe costituire un denominatore comune sia per la ipotesi della coltivazione ad uso privato non terapeutico che ad uso privato terapeutico.
    Nell'attesa che chi sarà discutendo in Parlamento di questi temi capisca che non è' accettabile un approccio superficiale e fortemente disinformato (come ho dovuto purtroppo constatare da parte ci numerosi parlamentari) forse sarà opportuno pensare ad una serie di azioni civili, in special modo, a tutela dei malati.
    Le regioni, inoltre, alla luce delle modifiche introdotte dalla sentenza 32 della Consulta, dovranno rivedere taluni passaggi dei loro resti,giacché il riferimento al tabella II B (introdotta quale allegato dall'abrogato art. 4 vicies ter DL 272/2005) non è più fondato e vs modificato alla luce del DL 36/2014 e delle tabelle reintrodotte.
    Consegue ed e' consigliabile, comunque, a mio avviso, in attesa di un futuro chiarimento legislativo, la esperibilita' di ricorsi ex art. 700 CPC dinanzi al giudice del lavoro, per ottenere un'ingiunzione a carico dell'AUSL di competenza.
    Sto valutando, infatti, sia l'opzione di ricorsi individuali, che di un eventuale class-action, anche se ritengo che le specifiche peculiarità di ogni malattia, risultino di ostacolo all'azione di carattere comune.
    Ritengo, infatti, che la tutela della salute propria dell'art. 32 Cost. non possa essere messa da parte.
    Ultima modifica di Avv. Zaina; 16-04-14 alle 22:10

  6. #166
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    Desidero segnalare un'interessante pronunzia della Corte di Cassazione in materia di di coltivazione, che si pone in controtendenza rispetto all'orientamento che parrebbe vigente.
    La Sez. II ha, infatti, confermato l'assoluzione dell'imputato dal reato di coltivazione di 15 piante, sul presupposto sia dell'esiguità del numero delle piante in questione, ma anche in funzione della minimalità del principio attivo contenuto.
    Si tratta di un passo avanti nella direzione giusta, cioè nel senso di procedere alla valorizzazione del principio dell'offensività, si da permettere di ritenere che il reato di coltivazione non costituisca più un illecito penale di pericolo astratto, bensì di pericolo concreto.
    L'approdo a questo tipo di categoria concettuale (e l'inserimento della fattispecie in tale classificazione) permetterebbe, poi, di procedere sul cammino di un sempre maggiore apprezzamento dell'offensività della condotta, sino a pervenire al traguardo dell'esclusione del carattere di offensività, anche in forza di una analisi teleologicamente orientata della condotta.
    Si può, comunque, già affermare che la sentenza recide definitivamente qualsiasi vincolo con quell'indirizzo ermeneutico (seguito dalla Corte di Cassazione in passato), in base al quale la sola semina già, di per sè sola costituiva condotta facente parte del concetto di coltivazione, prescindendo dall'attecchimento del seme, dalla verifica in ordine al sesso della pianta, alla capacità di sviluppo effettivo della stessa.
    La Corte, infatti, esaltava esclusivamente - con questa impostazione - la potenzialità della coltivazione, sulla base di un presupposto valutativo del tutto errato (V. SS.UU. 28 aprile 2008) che sarebbe consistito nella convinzione che il solo predisporre una coltivazione - ancorchè domestica - era sicuramente funzionale all'immissione sul mercato dello spaccio di nuova sostanza.
    Dimenticava il giudice di legittimità un'elementare verità e cioè che chi coltiva per uso personale, lo fa proprio per evitare di sostenere - con l'apporto finanziario dell'acquisto - il mercato e per fare cadere la richiesta di sostanza stupefacente.
    Proprio l'esatto opposto di quanto sostenuto dai supremi Giudici.
    Ed adesso attendiamo l'ulteriore passo avanti giurisprudenziale

    Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 dicembre 2013 – 3 aprile 2014, n. 15191
    Presidente Gallo – Relatore Cervadoro
    Svolgimento del processo

    Con sentenza del 21 novembre 2003, il Gip del Tribunale di Vallo della Lucania dichiarò B.C. responsabile del reato previsto dall'art. 73 dpr 309/90 e lo condannò alla pena di mesi sei di reclusione ed € 4000,00 di multa.
    Avverso tale pronunzia propose gravame l'imputato, e la Corte d'Appello di Salerno, in accoglimento dell'appello, assolveva il C. perché il fatto non è più preveduto dalla legge come reato. Proposto ricorso per cassazione da parte del Procuratore Generale, questa Corte, sezione VI, con sentenza in data 9.12.2009, annullava la sentenza della Corte d'Appello, rilevando un vizio di motivazione in ordine alla non offensività della condotta (coltivazione di 15 piante di marjuana).
    La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 18.10.2012, pronunciando in sede di rinvio, assolveva il C. dal reato ascrittogli perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
    Ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Napoli, deducendo l'erronea applicazione dell'art. 73 d.p.r. 309/90 e la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell'art. 606, co. 1, lett. b) ed e) c.p.p. rilevando che ogni riferimento alla offensività della condotta, pur legittimo in via di principio, appare del tutto inconferente e che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale.
    Chiede pertanto l'annullamento della sentenza.

    Motivi della decisione

    Il ricorso è infondato, e va rigettato.
    E' principio pacificamente affermato da questa Corte (v. Cass. Sez. VI, sent. n. 22110/2013 Rv. 255773; S.U. sent. n. 28605/2008 Rv. 239921) che, ai fini della punibilità della coltivazione, non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile.
    Nel caso di specie, la Corte d'Appello ha ritenuto non dimostrata l'offensività della condotta, né l'idoneità della stessa a porre in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, in considerazione non solo del numero esiguo delle piantine di marijuana, ma anche del quantitativo minimo di sostanza dalle stesse estraibile. E pertanto, la sentenza non appare censurabile in quanto rispettosa dei principi di diritto in materia affermati da questa Corte e non illogicamente motivata.

    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso.

  7. #167
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    Succede, talora, di imbattersi in pronunzie giurisprudenziali che suscitano non poche perplessità, atteso che risultano contraddire – inspiegabilmente – orientamenti ed insegnamenti, non solo pacifici, ma, indubbiamente muniti di caratteri di logicità.
    E' il caso della sentenza n. 17008/14 resa lo scorso 25 febbraio 2014 (ma depositata il 17 aprile 2014) dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, la quale, dichiarando inammissibile un ricorso avverso una decisione della Corte di Appello di Napoli, in materia di applicazione dell’istituto della lieve entità, ai sensi del comma 5° dell'art. 73, (concernente un fatto commesso nel marzo 2013), non tiene, però, in debito conto i reali effetti quoad poenam prodotti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32.
    In buona sostanza, il Collegio di legittimità, per individuare quale possa essere la norma da applicare alla fattispecie, pone in comparazione la L. 49/2006 – abrogata – solamente con il DL. 146/2013 (che ha innovato radicalmente il regime dell'istituto della lieve entità portandolo da circostanza aggravante ad effetto speciale a reato autonomo), omettendo, invece, di considerare che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 4 bis DL 272/2005 - che coinvolge direttamente l'art. 73 (e, quindi, anche il comma 5°) - determina l’effetto della riviviscenza del testo vigente anteriormente alla data del 28 febbraio 2006 (data di entrata in vigore della L. FINI-GIOVANARDI).
    Dunque, il giudizio di valenza, che avrebbe dovuto essere, comunque, svolto dal giudice di legittimità anche in presenza di un ricorso per cassazione che si potesse rivelare inammissibile [Cfr. Prime riflessioni sulle possibili ricadute della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale sul trattamento sanzionatorio in materia di sostanze stupefacenti (a cura di: Matilde Brancaccio, Giorgio Fidelbo, Raffaele Piccirillo, Roberta Zizanovich)] avrebbe dovuto utilizzare, quali fondamentali termini di paragone, da un lato, l’aart. 73 come modificato dalla L. 49/2006 – disposizione in base alla quale era stata emessa la sentenza soggetta ad impugnazione – e, dall'altro, l'art. 73 nella formulazione JERVOLINO-VASSALLI, costituendo quest'ultima edizione della norma la lex mitior da prendere in esame (prevedendo al comma 5° una pena per gli stupefacenti di cui alle tabelle II e IV della reclusione da 6 mesi a 4 anni, oltre alla multa).
    Incomprensibilmente, quindi, il Supremo Collegio – pur sollevando opportunamente l’argomento della determinazione in concreto di quale avrebbe potuto essere la legge da applicare effettivamente al caso concreto – non considerano la retroattività dell’intervento demolitorio del giudice delle leggi, che permette di ritenere come sempre vigente la norma che era stata sostituita dalla disposizione dichiarata incostituzionale.
    La sentenza non considera, inoltre, che le SS.UU. (con la sentenza 22 marzo 2005 n. 232428 Bracale) ebbero ad affermare che l'inammissibilità di un'impugnazione, pur precludendo la possibilità di fare valere specifiche cause estintive del reato (quale la la prescrizione), ammettono, però, la cognizione del giudice dell'impugnazione in relazione “all'accertamento dell'abolitio criminis o della dichiarazione di costituzionalità della norma incriminatrice formante oggetto dell'imputazione”.
    In aderenza a tale principio proprio la Sez. VI (16 maggio 2013, n. 21982, Ingordini), in una situazione analoga a quella in esame, pur rilevando l'inammissibilità del ricorso, ha annullato la sentenza impugnata, in quanto nella more del giudizio di cassazione era stata dichiarata la incostituzionalità del divieto di prevalenza dell'allora circostanza attenuante della lieve entità (art. 73 co. 5) sulla recidiva ex art. 99 co. 4 cp .
    Ritiene, pertanto, chi scrive che, in relazione alla questione risolta con la sentenza in commento, la Corte Suprema avrebbe dovuto
    1) procedere alla preliminare comparazione fra il DPR 309/90, il DL 272/2005 conv. in L. 49/2006 ed il DL. 146/2013 conv. in L. 10/2014, onde inferire tra i tre testi richiamati la legge più favorevole;
    2) individuare, quindi, nel testo originario del comma 5° dell'art. 73, la norma da applicare al caso concreto, in virtù del ripristino – nel lasso di tempo che va dal 28 febbraio 2006 al 24 dicembre 2013 – della JERVOLINO-VASSALLI, vale a dire la lex mitior, atteso il trattamento sanzionatorio di maggiore favore.
    Come osservato dallo studio sopra richiamato (Prime riflessioni sulle possibili ricadute cit.) se il divieto di irretrotattività della legge penale sfavorevole deriva dall’art. 25/2° Cost. , il principio di retroattività della lex mitior, a propria volta, “è insediato nel principio di uguaglianza, che……impone di equiparare il trattamento dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice”
    Sia consentito osservare che la circostanza che alla data dell'udienza (25 febbraio 2014) non fosse stata pubblicata espressamente la sentenza n. 32 (o meglio fosse conosciuta informalmente ed ufficiosamente, con il deposito in Cancelleria), avrebbe dovuto indurre tutte le parti (Corte in primis) ad un prudente differimento dell'udienza.

    ** ** **

    1 7 0 0 8 /14

    REPUBBLICA ITALIANA
    In nome del Popolo italiano
    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    TERZA SEZIONE PENALE

    Sent. n. sez. 583
    UP - 25/02/ 2014
    R.G.N. 49682/ 2013

    Composta dai Sigg.ri Magistrati Dott. Alfredo Teresi - Presidente
    Dott. Mario Gentile - Consigliere
    Dott. Aldo Aceto
    Dott. Vincenzo Pezzella
    Dott. Alessio Scarcella

    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    sul ricorso proposto da:
    s e n. a NAPOLI

    avverso la sentenza della Corte d'Appello di NAPOLI in data 4/03/ 2013;
    visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

    udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
    udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; udite per il ricorrente le conclusioni dell'Avv. M. Bru no, non comparso;

    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza della Corte d'Appello di NAPOLI, pronunciata in data 4/03/2013, depositata in data 16/07/ 2013, è stata confermata la sentenza del tribunale di NAPOLI, con cui, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309/1990, il ricorrente veniva condannato, in esito al giudizio abbreviato richiesto ed esclusa la recidiva contestata, alla pena di un anno di reclusione ed € 2 .000,00 di multa, per aver detenuto, al fine di cederla a terzi, sostanza stupefacente del tipo hashish, del peso complessivo di gr. 22,70 lordi; fatto commesso in Napoli il 12/03/2013.

    2. Con tempestivo ricorso, proposto personalmente dal ricorrente, viene dedotto un unico motivo di ricorso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

    2.1. Deduce, con tale motivo, la violazione dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen.; in sintesi1 , si duole il ricorrente poiché dagli atti processuali non sarebbe emerso alcun elemento tale da giustificare una sentenza di condanna; in particolare, la mancanza di gravi elementi indiziari avrebbe dovuto indurre il giudice a pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p..
    La motivazione, poi, sarebbe ad avviso del ricorrente mancante o insufficiente, in ordine alle ragioni di fatto e di diritto su cui è basata la condanna.

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per genericità e, comunque, per manifesta infondatezza .
    4. E', anzitutto, generico, in quanto il ricorrente si limita ad una affermazione sostanzialmente negatoria, asserendo che "dagli atti processuali" non sarebbe emerso alcun elemento atto a giustificare la condanna e che la sentenza sarebbe priva di motivazione o insufficientemente motivata in ordine alle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la condanna.
    E' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, in particolare quando - come nel caso in esame - risultano sia intrinsecamente indeterminati (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 - dep. 26/06/2013, Sammarco, 2 Rv. 255568), che carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
    E, comunque, manifestamente infondato, in quanto la Corte d'appello da specificamente conto degli elementi di prova su cui è stato fondato il giudizio di responsabilità, essendo stato colto il ricorrente in possesso di un pezzo di hashish e di quattro dosi nonché nella disponibilità di un bilancino di precisione; in sentenza si da, altresì, atto che egli ha ammesso di vendere droga, giustificandosi con la sua di1sagiata condizione economica e la necessità di provvedere al sostentamento del nucleo fam iliare.

    6. Non è ravvisabile, peraltro, alcuna violazione del principio di legalità della pena (motivo per il quale è consentito a questa Corte decidere sulle questioni rilevabili d'ufficio ex art. 609, comma secondo, cod. proc. pen.), alla luce del recente intervento legislativo modificativo della fattispecie di cui al comma quinto dell'art. 73 T.U. Stup. (D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 10), né l'intervenuta declaratoria di incost ituzionalità della disciplina contenuta nella c.d. legge Fini - Giovanardi, che ha dichiarato illegittima la equiparazione del trattamento sanzionatorio tra droghe c.d. leggere e droghe c.d . pesanti (Corte cost., sentenza 25 febbraio 2014, n. 32), della quale, osserva il Collegio, questa Corte deve tener conto d'ufficio anche ove la sentenza medesima non sia ancora stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, ma soltanto preannunciata da un comunicato stampa o comunque pubblicata mediante il mero deposito in cancelleria, avvenuto in data odierna, giorno di decisione della presente sentenza.
    Ed invero, rispetto ai fatti di lieve entità commessi dopo il 28 febbraio 2006 e prima del 24 dicembre 2013 (data di entrata in vigore del d.I. n. 146/2013, convert ito in I. n. 10/2014), e dunque sotto il vigore della legge dichiarata illegittima, è necessario determinare in concreto quale sia la norma più favorevole tra quella incostituzionale e quella successiva, in ragione del carattere inderogabile del principio della irretroattività della norma penale ( rectius, della tutela dell'affidamento del singolo sulla norma penale apparentemente vigente al momento del fatto, principio a sua volta deducibile da quello di prevedibilità della sanzione penale che si deduce dall'art. 25, comma secondo, Cost., interpretato alla luce dell'art. 7 CEDU e dalla pertinente giurisprudenza di Strasburgo). Nel caso di specie, la soluzione è peraltro abbastanza agevole.
    L'imputato ha commesso, nel marzo 2013, un fatto di lieve entità concernente una droga "leggera" (hashish); l'attenuante di cui al quinto comma nella versione allora vigente (che prevedeva la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000) era stata riconosciuta dal giudice di merito escludendo la recidiva contestata, sottraendola dunque al giudizio di bilanciamento. Il giudice ha assunto pertanto a base del calcolo la pena di anni uno e mesi sei di reclusione e della multa di € 3.000,00, sulla quale aveva applicato la diminuzione per il rito determinando la pena finale di un anno di reclusione ed € 2.000,00 di multa.
    Tale base di calcolo deve anche oggi ritenersi legittima, dal momento che la /ex mitior sopravvenuta (il nuovo quinto comma dell'art. 73, T.U. Stup. così come modificato dal d.I. 146/ 2013), prevede oggi una pena da uno a cinque anni di reclusione e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
    7. Il ricorso dev'essere, dunque , dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

    P.Q. M .
    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

    Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2014

  8. #168
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    Una notizia molto interessante da Pisa, voglio proprio vedere se alla fine ci risarciranno... ho parecchi dubbi. @Avv. Zaina, sarà una conseguenza della conferenza che avete fatto poco fa a Prato, che è da quelle parti? Allora qualcuno ha ancora orecchie per intendere!

    http://www.lanazione.it/pisa/cronaca...types=og.likes

    Droghe leggere, prima revoca di una sentenza

    La decisione di un giudice pisano dopo che la Fini-Giovanardi è stata dichiarata illegittima
    - di Federico Cortesi

    Pisa, 18 aprile 2014 - MIGLIAIA di sentenze di processi, celebrati negli ultimi otto anni per le cosiddette droghe leggere, potrebbero essere ‘riviste’ dopo la decisione del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa Guido Bufardeci, che in queste ore ha accolto il ricorso dell’avvocato Alberto Marchesi che aveva presentato istanza di revoca parziale di una sentenza del 2012 in cui un tossicodipendente pontederese era stato condannato a due anni e otto mesi di reclusione per aver detenuto poco meno di mezzo chilo di hashish.

    Questo perché nel febbraio scorso la Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità della «legge Fini-Giovanardi» che equiparava le droghe leggere a quelle pesanti, ristabilendo la differenziazione. Queste le ricadute. Per i processi in corso nessun problema, il giudice applicherà la normativa più favorevole.

    IL PROBLEMA che si è posto il gip pisano è stato quello di trovare il rimedio per i processi già definiti con sentenza irrevocabile, in quanto il giudicato può essere modificato solo in conseguenza di abrogazione della norma incriminatrice, che è rimasta tale seppur punita con pene inferiori. Il giudice Bufardeci è stato di diverso avviso e ha provveduto al riconteggio della pena. Questa decisione “pilota” (è la prima in Italia) apre la strada alla parziale revisione di migliaia di processi, che potranno essere riaperti sia pure limitatamente al trattamento sanzionatorio.

    Ci sarà in seconda battuta da valutare l’impatto del provvedimento sulle persone che, per effetto di una legge incostituzionale, hanno subìto un’ingiusto periodo di detenzione (anche qui siamo nell’ordine delle migliaia, i quali potrebbero in teoria avviare un’azione risarcitoria contro lo Stato o riccorrere alla Corte di Giustizia europea per farsi indennizzare.



    ("riccorrere" mi fa immaginare un ricorso per indennizzo con il quale si potrebbe diventare ricchi )

  9. #169
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    Spero di fare cosa gradita condividendo con voi un paio di articoli:


    20 aprile 2014

    Assolto dal giudice. Un uomo di 42 anni, da 18 sulla sedia a rotelle a causa di una lesione alla spina dorsale, l’anno scorso era stato arrestato a Giarre, in provincia di Catania, perché in casa aveva una piccola serra di cannabis indica e mezzo chilo di marijuana. Secondo il giudice monocratico di Catania, Alessandro Centonze, “il fatto non costituisce reato”.

    In sede di giudizio abbreviato, dunque, è passata la linea difensiva: quella droga aveva scopo terapeutico. La pubblica accusa aveva chiesto una condanna a due anni e quattro mesi di reclusione. L’uomo, in attesa del processo, era ai domiciliari. “Il mio assistito è stato assolto ai sensi dell’articolo 530 Comma 1 perché il fatto non costituisce reato; in attesa del deposito della motivazione, ritengo che il giudice abbia preso nella dovuta considerazione la circostanza che la coltivazione e la detenzione della marijuana trovata presso l’abitazione dell’imputato fosse destinata, indipendentemente dal non lieve quantitativo, all’uso personale”. Così il difensore del disabile, l’avvocato Enzo Iofrida.
    Quest’ultimo, durante il dibattimento, aveva presentato al giudice una dettagliata certificazione medica dimostrando che il suo cliente, affetto da grave patologia, riuscisse solo attraverso la marijuana che produceva in casa ad alleviare i dolori lancinanti dei quali è vittima da anni, da quando un incidente stradale lo ha costretto sulla sedia a rotelle.

    Ancora Iofrida: “Con questa sentenza penso che il giudice, superando il limite quantitativo e qualitativo della sostanza sequestrata, abbia sostanzialmente anticipato il legislatore, che ormai a breve dovrebbe legiferare sull’uso terapeutico della cannabis. In tanti auspicano che questa norma arrivi presto”. E una volta tanto, la giustizia italiana non è stata pachidermica.
    http://cronacaeattualita.blogosfere....po-terapeutico

    ed un'altra.....


    A casa di Michele due agenti trovano due piante di marijuana che lui fuma "perché affetto da problemi psichiatrici". Accusato di spaccio, viene assolto in primo grado. E' la prima volta in Italia che un giudice riconosce la cannabis come "terapia"

    ROMA - Michele ha vinto la sua battaglia "per la libertà di cura". Rischiava fino a vent'anni di carcere per coltivazione e detenzione di marijuana a fini di spaccio. Ma in realtà lui, ragazzo di 25 anni, coltivava erba per poter curare i suoi problemi psichiatrici. Affetto da depressione, aveva anche tentato il suicidio più volte.

    Una sentenza storica perché è la prima volta che succede in Italia. Un risultato che sarà utile anche per coloro che si trovano nella stessa condizione di Michele. In ogni caso fino al 17 aprile, giorno in cui è uscita la sentenza del suo caso, la sua quotidianità non è stata semplice.

    Per tre anni Michele è stato in cura portando avanti una terapia farmacologia prescritta per la sua patologia. "Io sono, come si dice in gergo, pluritentato suicida. Gli psicofarmaci mi facevano diventare un vegetale e non mi è mai piaciuto perdere il controllo. Mi sentivo sedato da Valium, Seroquel, Tranquirit, Entact e altro ancora. Per questo ho deciso di curarmi così" ci spiega. Una decisione ponderata, dopo tanto tempo passato a informarsi e a parlare con esperti. Non a caso in casa sua c'era un tipo di marijuana specifica, la "cannabis indica", quella utilizzata proprio per lo scopo terapeutico.

    I miglioramenti di Michele sono sotto gli occhi di tutti finché il 5 gennaio, alle 9, la polizia irrompe in casa sua. La porta del suo appartamento era stata lasciata aperta e una vicina, convinta che fossero entrati dei ladri, aveva chiamato gli agenti. I due poliziotti trovano in un armadio un impianto artigianale per coltivare marijuana. In tutto ci sono due piante. Michele si sente in buona fede: "Fumo per rilassarmi, sono un malato psichico” e anche la sua cartella clinica conferma quello che dice.

    Ma i documenti non bastano: viene portato in questura e rimane in cella in stato di fermo per 48 ore. Con la notte arrivano anche i primi attacchi di panico. In quei momenti non ha con sé le medicine, non può chiamare lo psicologo. Poco dopo il giudice convalida l’arresto ma non dispone le misure cautelari. Così Michele torna libero ma deve affrontare un processo con l'accusa di coltivazione e detenzione a fini di spaccio, rischiando da 6 a 20 anni di carcere.

    Solo dopo più di quattro mesi la buona notizia: Michele è assolto in primo grado. La documentazione fornita ha mostrato come i suoi fini fossero l'uso personale e medico. La perizia tossicologica, richiesta dall'avvocato difensore, ha confermato quanto riportato dalla sua cartella clinica. "Spero che la mia esperienza possa essere d'aiuto. Il diritto alla salute non si può negare a nessuno, si avvicina al diritto alla vita. E' vero e proprio rispetto per l'essere umano. La libertà di scelta e di cura sono sacrosante. Lo dico per chi è affetto da patologie come sclerosi multipla o Sla e per chi, come me, è affetto da patologie psichiatriche". Tra novanta giorni verranno rese pubbliche le motivazioni della sentenza, una delle prime dopo che la Fini-Giovanardi è stata dichiarata incostituzionale dalla Cassazione.
    http://www.today.it/cronaca/fumare-m...a-assolto.html
    Ultima modifica di StRaM; 24-04-14 alle 13:43

  10. #170
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    Interessante soprattutto il riconoscimento dello scopo terapeutico per "problemi psichici"....
    "Se per vivere devi strisciare, alzati e muori."

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