Respiriamo cocaina? Non è un interrogativo enfatico (per sottolineare quanto siamo “immersi” come città e come regione nel consumo sempre più massiccio di questo stupefacente), ma è diventato un vero e proprio quesito scientifico, al quale dovrebbe rispondere una ricerca altrettanto seria dal punto di vista scientifico, condotta dal CNR sull’aria di Bologna.
Lo ha rivelato oggi il quotidiano La Repubblica, accennando al fatto che simili test compiuti in altre grandi città italiane – Roma e Torino – hanno dato esiti positivi. Sì, nell’aria di quelle città sono state trovate tracce di cocaina. Suona un po’ come la scoperta dell’acqua fra le rocce lunari. Pare incredibile, ma c’è (fra l’altro anche nelle acque di Milano e della Lombardia sono state trovati altri residui di cocaina).
I risultati dei “carotaggi atmosferici” condotti su Bologna non sono ancora stati resi noti ufficialmente. Le mezze frasi e le mezze ammissioni apparse su Repubblica farebbero però pensare che qualche riscontro di “positività” ci sia stato anche dalle nostre parti. Riportando una nota del direttore dell’Istituto sull’Inquinamento del CNR, Angelo Cucinato, Repubblica sottolinea infatti alcuni passaggi: “Cocaina nell’aria può esserci per varie ragioni, bisogna studiarle. E occorre tempo per elaborare scientificamente i dati”. E poi ancora, in termini più rassicuranti, “Non basterebbe comunque una vita per respirare attraverso l’aria di città un’intera dose di cocaina”.
Ma da dove verrebbero tutte queste esalazioni di cocaina? Improbabile che appartengano solo ai 10mila consumatori abituali di cocaina che l’Osservatorio sulle Tossicodipendenze stima che vi siano in città (secondo altre valutazioni statistiche potrebbero essere 3-4 volte di più). Più probabilmente d’ora in poi bisognerà dare un senso diverso al tradizionale stereotipo metereologico “nebbia in Valpadana”.
Dunque abbiamo un’aria stupefacente?! E non si tratta nemmeno di una novità. Per decenni, infatti, nella pianura Ferrarese in particolare, si è respirata cannabis… per lo meno fino all’immediato dopoguerra. Risale infatti a quegli anni un’indagine svolta su una particolare evidenza demografica del Ferrarese, ai tempi del piano Marshall (quando si studiavano appunto i profili demografici ed economici delle varie aree nazionali per distribuire gli aiuti americani ed alleati alla popolazione stremata dalla guerra appena conclusa). Si notò allora che la provincia di Ferrara aveva il più alto indice di “nascite illegittime” (vale a dire fuori dal matrimonio) segno di una “vitalità sessuale” di uomini e donne del luogo particolarmente accentuata. Accentuata da cosa? La soluzione venne fornita agli esperti del piano Marshall che non se ne capacitavano, dal buon senso di un parroco della campagna ferrarese (tesi poi comprovata da ulteriori rilevazioni più accurate): “Sì, qui i ragazzi e le ragazze si danno da fare. Ma è colpa dell’aria che viene su dai maceri… Poi però, quando ci scappa “il guaio”, quasi sempre regolarizzano tutto con il matrimonio. Sono bravi ragazzi!”. Quei maceri erano di canapa. E tutta quella frenesia stagionale derivava proprio dalle polveri di cannabis che si diffondevano nell’aria di quella provincia quando la canapa giungeva a maturazione. E Ferrara era la più grande produttrice d’Italia e forse d’Europa. Bei tempi? (fonte: telesanterno.com)