C’è un pezzo di mondo che sicuramente possiamo migliorare: noi stessi. Se tutti gli esseri umani decidessero di migliorarsi – per esempio rinunciando a coltivare sentimenti di invidia e di rancore in favore di quelli di benevolenza e generosità – non avremmo bisogno né della politica né della polizia, e tutti vivrebbero meglio. Tuttavia, è necessario che questo cambiamento sia spontaneo e soggettivo. Non posso decidere per gli altri (e tantomeno imporre la virtù per decreto), ma posso, e in una certa misura anche devo, lavorare sulla porzione di universo che mi appartiene: me stesso.
L’errore che la politica ha sempre compiuto e continua a compiere è pensare il contrario: immaginare cioè una società perfetta che renda perfetto l’uomo. L’unica teoria politica che si occupa dell’uomo così com’è, e non come dovrebbe essere, è il pensiero libertario. I libertari non si preoccupano di costruire né un “uomo nuovo” né tantomeno un “mondo nuovo”, perché sanno che è impossibile. Il futuro non ci appartiene se non come orizzonte di possibilità. Ostruire il futuro con l’idea e il progetto di una società perfetta significa prima di tutto ostruire il presente: cioè costringerlo entro i limiti di una sola possibilità. Ogni modello di società futura – compresa la società libertaria perfetta – è una violenza intollerabile per almeno due motivi. Il primo è che il futuro non ci appartiene, ma appartiene a chi lo vivrà. Il secondo è che la società perfetta per tutti non può esistere, perché non tutti sono uguali: al contrario, ciascuno è diverso. Per quanto perfetta sia la società proposta o realizzata, e almeno fino a che la ragione abiterà l’uomo, ci sarà almeno una persona che vi si opporrà con tutti i mezzi a sua disposizione, inclusa la violenza. Costui ha il diritto di ribellarsi, come spiega magnificamente la Dichiarazione d’Indipendenza, mentre la società non ha il diritto né di escluderlo né di imprigionarlo né di ridurlo al silenzio.
Non c’è dunque nessun futuro da costruire, ma un grande presente da vivere. I politici hanno sempre cercato di cambiare il mondo, ora si tratta finalmente di interpretarlo – cioè di imparare ad apprezzarne la naturale, inesauribile spontaneità. Cambiare se stessi significa imparare a vivere meglio. Vivendo meglio, faremo vivere meglio tutti gli altri. Esistono soltanto gli individui, esistono soltanto le soluzioni individuali. È su questo scoglio insormontabile che la politica, ogni politica, prima o poi è destinata a fallire e a trasformarsi in oppressione (blanda o totalitaria). L’unica politica sostenibile è la riduzione degli spazi della politica, sempre e comunque, a tutti i livelli. E l’unica rivoluzione vittoriosa è quella che riusciamo a combattere nella nostra mente – o, come amano dire i cristiani, nel nostro cuore.
Fabrizio Rondolino
editoriale Dolce Vita #38