“Era notte. La luna sembrava accendere il deserto e un freddo di ghiaccio fermava i pensieri. Costruimmo un piccolo altare e sopra, al centro, appoggiammo quell’essere grande come un mandarino, verde come un’oliva, pareva ammiccare in spicchi di sorrisi. Lo pregammo. Ché ci desse un “buen viaje”. Che il cammino fosse un incontro di percezioni tra dimensioni sconosciute. Ne tagliammo un altro. Presi uno spicchio, non lo ingoiai. Lo misi in bocca, di lato. Il succo amaro iniziò il suo corso tra le viscere ed il corpo in pochi istanti, sentii mutare in qualcosa che non sembrava appartenermi. Guardai intorno. Pensai di essere in fondo al mare. I rami dell’unico albero a pochi metri, sembravano alghe e fluttuavano tra spirali di colore. Il cielo, un giardino di stelle così vicine che pareva di sognare tra fiori di sole. Sentii gli occhi spalancarsi in un abbraccio e mi fermai ad ascoltare. Improvvisamente capii. Non ero in fondo al mare. Né in un deserto del Centro America. Ero l’universo. La natura. Ero in tutto ciò i miei sensi potessero percepire…
I rami di quell’albero non erano corteccia perché nell’istante in cui iniziai ad osservarli, ne vidi la linfa ed ogni cellula avvolgersi in tentacoli di luce. Guardai una nuvola mutare in un profilo di donna. I lineamenti marcati e fieri. Distolsi lo sguardo ed ebbi paura. Chiusi gli occhi e decisi di ascoltare. La voce del deserto un silenzio assordante e più ascoltavo più i pensieri si trasformavano in suoni e versi familiari incomprensibili. Poi improvvisamente chiari. Era la voce della natura. L’ululato di un coyote mutò in parole ed un sibilo beffardo si fece formica. Parlavo con gli animali. Ero un animale. Tornai a guardare il profilo di donna pensando di non trovarlo e quella nuvola inquietante si voltò, spalancando una bocca grande come il cielo e pronta a divorarmi insieme al mondo e alle mie paure. Chiusi gli occhi. Li riaprii quando il terrore mutò in pensieri razionali. L’inconscio spalancava le sue porte e lentamente ogni fantasma pareva sciogliersi nel vento. Ricordi spietati e traumi irrisolti cercavano risposte che finalmente trovarono. Avvertii lo spessore della vita e le esistenze che ore prima definivo meravigliose, mi apparvero reali in ogni loro tormento. Piansi lacrime di pura emozione”. Non servivano parole ma il coraggio di “sentire”.
Lophophora Williamsii o più comunemente Peyote è un cactus originario del Centro America ed è forse la sostanza in cui l’epoca attuale meno si identifica. Fu scoperto nel 1843 e molte delle tribù centroamericane, perseguitate dagli spagnoli e dalle imposizioni cattoliche, si salvarono grazie alle visioni percettive date dalla mescalina, principio attivo del Peyote. L’ uso dello stesso deriva dalle antiche popolazioni degli Indios messicani che lo consideravano un Dio. I sacerdoti assumevano il Peyote prima delle cerimonie che si trasformavano in lunghe peregrinazioni verso il deserto. Con l’arrivo dei conquistatori spagnoli e l’introduzione forzata del cattolicesimo, l’uso del Peyote fu considerato peccaminoso e diabolico. La repressione dei colonizzatori toccò picchi surreali quando fu stabilita una legge che sanciva morte per impiccagione a chi faceva uso di Peyote. I tentativi di proibizionismo che miravano ad estirparne il consumo, fallirono. Il suo uso si estese dal sud del Messico, attraverso il nord America fino al Canada.
Insieme all’LSD, fu la sostanza più consumata nella cultura psichedelica degli anni ‘60 e ‘70. Allora il fervore artistico creava movimenti culturali difficilmente manipolabili perché nascevano dal coraggio di lottare per i propri sogni. E i sogni per quanto utopici, esistevano. Ora esiste la cocaina. Sostanza che isola annientando le emozioni ed agendo sull’illusione di potere e onnipotenza. Se ogni epoca ha la sua droga, sarebbe interessante chiederci come mai si stia attraversando un periodo artisticamente spento e culturalmente vuoto, nel senso di un’apatia che nutre l’ignoranza. Come mai si sta scegliendo di vivere una sostanza che distrugge le percezioni e stordisce la coscienza? Chi ne fa uso sostiene non essere una droga ma un eccitante. E lo stolto abuso che se ne sta facendo sia dato dall’enorme richiesta che lo stato stesso soddisfa.
Possibile che in un momento storico in cui ovunque nel mondo chiara appare la manipolazione di masse da parte di pochi, non si riesca a capire che la cocaina non è la droga adatta a sollevare le sorti dell’attuale declino psico-emotivo? Il sistema attuale di classificazione delle droghe è fondato più su ragioni politiche e culturali che sull’effettivo danno creato dalle sostanze alla salute. Quelle che dovrebbero essere oggettive realtà scientifiche mutano in concetti confusi dalle interferenze delle ideologie, dei retaggi culturali e dei poteri economici. La manipolazione che intere generazioni stanno subendo attraverso la distorta informazione ed effimeri esempi mediatici è un insulto alla dignità umana. Guardiamoci intorno. Siamo nell’era delle case farmaceutiche. Dell’apparenza. Della finzione.
Dell’indecisione di chi ha bisogno di sentirsi forte attraverso una sostanza che annulla la coscienza, offrendo l’illusione di un potere dato dall’esaltazione del proprio io. La cocaina vieta l’ascolto incastrando i pensieri in processi isolati che la mente ingannano e vestono di arroganza. Chissà dove saremo quando la storia di noi racconterà di generazioni sconfitte dalle manipolazioni dei governi. Quanti si chiederanno perché non ci sia stata una reazione effettiva agli abusi di potere. Di noi probabilmente scriveranno descrivendoci come il secolo bruciato dalla cocaina. Dalla smania di potere. Dalla menzogna. Fermiamo il pensiero. Ascoltiamo la coscienza. Osserviamo la realtà. Ci stanno fregando. Ci stanno insegnando a non pensare fornendo strumenti che la mente immobilizzano e del tempo di ognuno abusano. La vita intanto scorre. Prima dell’alba è molto molto buio.
di Ottavia Massimo
(fonte: dillinger.it)