Ai coraggiosi autori delle testimonianze Il rifiuto di ogni fonte di evidenza Prefazione     Quando cominciai a occuparmi della marijuana nel 
1967, non dubitavo che si trattasse di una droga molto nociva che, 
sfortunatamente, veniva usata da un numero sempre maggiore di giovani 
incoscienti che non ascoltavano o non potevano capire i moniti sulla sua 
pericolosità. La mia intenzione era di descrivere scientificamente la natura e 
il grado di questa pericolosità. Nei tre anni successivi, mentre passavo in 
rassegna la letteratura scientifica, medica e profana, il mio giudizio cominciò 
a cambiare. Arrivai a capire che anch'io, come molte altre persone in questo 
paese, ero stato sottoposto a un lavaggio del cervello. Le mie credenze circa la 
pericolosità della marijuana avevano scarso fondamento empirico. Quando 
completai quella ricerca, che ha rappresentato la base per un libro, mi ero 
ormai convinto che la cannabis fosse considerevolmente meno nociva del tabacco e 
dell'alcol, le droghe legali di uso più comune. Il libro fu pubblicato nel 1971; 
il suo titolo, Marihuana Reconsidered, rifletteva il mio cambiamento di 
vedute. [...]     Nonostante l'illegalità della marijuana e i 
pregiudizi contro di essa, un gran numero di americani continua a fare uso 
regolare di Cannabis. Se una volta era considerato un divertimento dei giovani o 
l'espressione di una ribellione giovanile, il consumo d marijuana è ormai una 
pratica comune fra gli adulti. Milioni di persone hanno fumato marijuana per 
anni e molti di loro continueranno a fumarne per il resto della loro vita. 
Queste persone sono convinte di non fare del male né a se stessi né a nessun 
altro, esattamente come ne sono convinti i fumatori e i 
bevitori.   [...]       Nel nostro secolo l'utilità della cannabis come 
rimedio contro molti sintomi e disturbi è stata ora ipotizzata, ora dimostrata. 
Le possibilità di impiego della cannabis spaziano da quelle accertate a quelle 
ipotetiche, ma tutte dovrebbero risultare interessanti a chiunque si occupi 
della sofferenza umana. I racconti dei pazienti descrivono nel modo più colorito 
non solo le proprietà terapeutiche della marijuana, ma anche le ulteriori pene e 
ansie che vengono inutilmente inflitte ai malati, costretti a procurarsela 
illegalmente.   La chemioterapia è una delle più importanti cure del cancro sviluppate nei 
decenni scorsi. Somministrati per via endovenosa una o due volte al mese, gli 
agenti chemioterapici sono tra i prodotti chimici più potenti e tossici usati in 
medicina. Nell'attaccare le cellule del cancro, uccidono anche le cellule sane 
dell'organismo, generando effetti collaterali estremamente spiacevoli e 
pericolosi. Tra gli agenti chemioterapici di uso più comune vanno annoverati il 
cisplatino (Platinol@), la doxorubicina (Adriamycin@), il ciclofosfamide 
(Cytoxan@), l'ifosfamide (Ifex@), nonché i farmaci derivati della mostarda 
azotata, tra i quali il melfalan (Alkeran@) e il clorambucile 
(Leukeran@). All'inizio del 1972, dopo la morte di Sidney Farber, l'oncologo di Harvard 
  al quale era stato intitolato il Centro per la Ricerca sul Cancro "Sidney 
  Farber", mia moglie e io fummo invitati a pranzo a casa di un collega, membro 
  del corpo docente della Harvard MedicaI School. Egli voleva che io incontrassi 
  Emil Frei, che era arrivato da Houston per entrare in servizio come successore 
  del dottor Farber. Arnold e Mae Nutt, ora settantenni, hanno cresciuto tre figli a Beaverton, 
Michigan. N el1963 si scoprì che il secondo figlio Dana, che aveva da poco 
compiuto cinque anni, aveva un tumore al midollo osseo. Dopo l'intervento 
chirurgico fu sottoposto alla chemioterapia e all'esposizione a radiazioni per 
tre mesi. Le cure lo fecero stare molto male ma non arrestarono la propagazione 
del tumore, ed egli morì nel 1967. Per anni, la famiglia Nutt lottò per 
riprendersi dalla disperazione e dalle difficoltà economiche causate dalla 
malattia di loro figlio. Poi, nel 1978, il loro primogenito Keith, di ventidue 
anni, contrasse un tumore ai testicoli. Mae Nutt racconta la sua storia: I chirurghi operarono Keith, rimuovendo il testicolo malato e un gran 
  numero di linfonodi. Credevano di aver estratto tutto il tumore. Keith fece 
  uno sforzo risoluto per mantenersi attivo. Riprese a lavorare, e sembrava che 
  tutto stesse andando bene quando, nove mesi più tardi, si accorse che l'altro 
  testicolo si era indurito e ingrossato. I chirurghi glielo rimossero 
  immediatamente e gli dissero che avrebbe avuto bisogno anche di una 
  chemioterapia intensiva. Gli diedero il cisplatino, un nuovo farmaco altamente 
  tossico che lo fece stare malissimo. Era solito vomitare violentemente per 
  otto-dieci ore, dopodiché era così profondamente nauseato che non riusciva a 
  sopportare la vista o l'odore del cibo. Compazine e altri farmaci antiemetici 
  non gli arrecavano alcun beneficio apprezzabile. Sei mesi dopo il matrimonio, celebrato nel 1969, il marito di Mona Taft, 
  Harris, si accorse di avere un gonfiore sul collo. Una biopsia effettuata al 
  Massachusetts GeneraI Hospital di Boston rivelò il morbo di Hodgkin, un 
  linfogranuloma maligno. Mona Taft racconta quanto accadde: Al momento della diagnosi, Harris era gravemente ammalato ma non mostrava 
    ancora i sintomi avanzati, più evidenti, del morbo di 
    Hodgkin. Un'ultima testimonianza sulle proprietà della cannabis come antiemetico 
  viene da Stephen Jay Gould, Professore Emerito di Geologia all'Università di 
  Harvard e autore di molti libri e saggi, di grande valore e risonanza, 
  sull'evoluzione biologica. Faccio parte di un gruppo molto piccolo, molto privilegiato e molto 
    selezionato: i primi sopravvissuti a una forma di cancro un tempo 
    incurabile, il mesotelioma addominale. La nostra cura prevedeva un insieme 
    accuratamente bilanciato di tutte e tre le terapie convenzionali, cioè 
    chirurgia, radiazioni e chemioterapia. Non molto piacevole, d'accordo, ma 
    considerate l'alternativa. Dal 1985 gli oncologi sono stati legalmente autorizzati a somministrare THC 
  sintetico per via orale sotto foffi1a di pillole (Marinol@); nel 1989 sono 
  state prescritte quasi 100.000 dosi. Ma fumare la cannabis può essere 
  preferibile per una serie di ragioni. Il THC assunto per via orale viene 
  assorbito dal sangue in modo irregolare e con lentezza. Inoltre un paziente 
  afflitto da forte nausea, che vomita costantemente, può trovare quasi 
  impossibile tenere la pillola giù, nello stomaco.    Il glaucoma è un disturbo che si origina da uno squilibrio di pressione 
  all'interno dell'occhio. Il bulbo oculare deve essere quasi perfettamente 
  sferico per far convergere correttamente la luce sulla retina. La sua forma 
  viene stabilizzata dalla pressione di un fluido interno, l'umore acqueo. Se 
  l'occhio produce una quantità eccessiva di questo fluido, o se i condotti 
  attraverso i quali il fluido defluisce sono bloccati, la pressione crescente 
  può danneggiare il nervo ottico, che porta gli impulsi dall'occhio al 
  cervello. II glaucoma affligge l'1,5% della popolazione (statunitense, 
  N.d.T.)* al cinquantesimo anno di età, e circa il 5% al settantesimo. Se si 
  esclude la degenerazione della retina in età avanzata, il glaucoma è la 
  principale causa di cecità negli Stati Uniti e provoca ilIO% dei casi 
  manifestatisi in età adulta. La maggior parte dei casi di glaucoma rientra nel 
  tipo "cronico ad angolo aperto" o "cronico semplice", in cui i condotti si 
  restringono gradualmente e la pressione all'interno lentamente si innalza. La 
  conseguente perdita di visione periferica può passare inosservata fino a 
  quando la malattia non ha ormai raggiunto uno stadio avanzato. Una diagnosi 
  immediata e un'accurata osservazione che prevede frequenti controlli della 
  pressione intraoculare, sono condizioni necessarie per evitare danni 
  irreversibili. Nella fase nota come "glaucoma terminale" il paziente ha ormai perso gran 
  parte della vista, le sue condizioni peggiorano, i farmaci convenzionali non 
  hanno più effetto e la cecità è imminente. L'autore del seguente resoconto, 
  Robert Randall, aveva raggiunto questo stadio quando cominciò a fumare 
  marijuana regolarmente. Egli aveva fatto uso di tutti i farmaci disponibili 
  nelle massime dosi consentite, eppure la sua pressione intraoculare era 
  rimasta pericolosamente alta. Se non si fosse tentato qualcosa di nuovo, 
  sarebbe diventato cieco.     Elvy Musikka è una donna sulla quarantina che vive 
  a Hollywood, Florida. Questa è la sua storia: Alla fine di febbraio del 1975 fui visitata dal dottor Rosenfeld, un 
    medico generico della zona di Fort Lauderdale. Egli mi sottopose a un esame 
    completo, dopodiché disse che i miei occhi erano stati colpiti da glaucoma. 
    La pressione [del fluido intraoculare] era ben sopra il 40 [una pressione 
    normale è attorno a 15], e il dottor Rosenfeld insistette perché andassi 
    immediatamente da un oftalmologo. I suoi sospetti furono confermati e io 
    cominciai la cura con un collirio a base di pilocarpina. Nella primavera del 
    1976 la pilocarpina era ormai diventata di per sé un problema. Cominciai a 
    vedere dei cerchi, ma supposi che fossero un sintomo del glaucoma. Portare 
    le lenti a contatto era fastidioso e la mia pressione intraoculare stava 
    salendo. Un altro dottore mi suggerì di provare la marijuana perché era 
    probabile che altrimenti sarei diventata cieca. Mi disse questo come amico, 
    non come medico; fu allora che cominciai a rendermi conto che alle volte 
    i dottori devono scegliere tra il giuramento di Ippocrate e delle leggi 
    ipocrite. Per mia grande fortuna, quell'uomo aveva un cuore.       L'epilessia è una condizione in cui determinate 
  cellule cerebrali (il focolaio epilettogeno) diventano eccitabili in misura 
  anormale ed emettono spontaneamente impulsi incontrollati, provocando una 
  crisi. Nel grande male o epilessia generalizzata, le cellule anormali si 
  trovano su entrambi i lati del cervello e l'emissione degli impulsi nervosi 
  causa convulsioni (violenti spasmi muscolari). Nelle crisi di assenza o di 
  piccolo male, l'emissione generalizzata degli impulsi nel cervello provoca una 
  momentanea perdita di conoscenza senza convulsioni. Le crisi parziali sono il 
  risultato di un'emissione anomala di impulsi nervosi in una regione 
  localizzata dell'encefalo; possono avvenire con o senza un'alterazione dello 
  stato di coscienza. Un uomo di 24 anni è stato tenuto sotto controllo medico in una clinica 
    neurologica per un periodo di otto anni senza ricovero, allo scopo di 
    contrastare le sue crisi epilettiche. La sua storia comprendeva 
    convulsioni febbrili all'età di tre anni e crisi di epilessia a partire dai 
    16 anni. Da quel momento il paziente ha preso difenilidantoina sodica 
    (fenitoina), 100 mg quattro volte al giorno, e fenobarbitale, 30 mg quattro 
    volte al giorno. Anche a questo regime, il contenimento degli attacchi 
    epilettici era incompleto e il paziente accusava una crisi all'incirca ogni 
    due mesi. Dai 16 ai 22 anni la frequenza delle crisi era aumentata da una al 
    mese a una alla settimana.     In uno studio successivo, a sedici pazienti affetti 
  da grande male che non stavano ottenendo buoni risultati dalle cure, furono 
  somministrati da 200 a 300 milligrammi di cannabidiolo di placebo in aggiunta 
  ai loro farmaci antiepilettici. Dopo cinque mesi, tre dei pazienti trattati 
  con cannabidiolo mostravano un recupero completo, due presentavano 
  miglioramenti parziali e due denotavano un miglioramento ridotto; uno era in 
  condizioni stazionarie. L'unico, leggero effetto collaterale fu sedativo. Tra 
  i pazienti cui era stato somministrato il placebo, solo uno era migliorato 
  sensibilmente mentre sette erano stazionari. .I ricercatori conclusero che per 
  alcuni pazienti il cannabidiolo, combinato con antiepilettici convenzionali, 
  può essere utile nel contenimento degli attacchi epilettici. Non si sa se il 
  cannabidiolo sia benefico, in forti dosi, anche da 
  solo. Nel 1972, all'età di trentasette anni, scoprii che la marijuana curava un 
    disturbo che mi aveva afflitto sin dagli anni dell'adolescenza e per il 
    quale sembrava non fosse disponibile alcun medicinale legale. Poco dopo 
    quella scoperta diventai un consumatore abituale. Oggi, siccome mi trovo a 
    disagio a causa dei rischi legali che si corrono facendo uso di marijuana, 
    sono deciso a trovare un altro modo per affrontare il mio 
    problema.     Gordon Hanson è un uomo di cinquantatre anni che 
  soffre sia di grande male, sia di crisi di assenza. Questi sintomi venivano 
  parzialmente contenuti per mezzo di farmaci convenzionali, in particolare 
  fenitoina (Dilantin@), primidone (Mysoline@) fenobarbitale, che però 
  comportavano gravi effetti collaterali È molto più piacevole per me ricordare gli anni prima del conseguimento 
    del diploma superiore piuttosto che pensa re a quello che accadde in quel 
    freddo giorno di settembre del 1956. I venti da Nord sollevavano le foglie 
    secche mentre io mi affrettavo ad andare a riempire il mio secchio di 
    mirtilli colar rosso vivo, correndo verso il tramonto di un giorno più breve 
    di quello che l'aveva preceduto. Le mie emozioni erano contrastanti; era la 
    prima stagione in cui sarei stato libero dagli impegni scolastici, ma ero 
    incerto sul mio futuro.     La sclerosi multipla (SM) è una malattia in cui 
  porzioni di mielina (la guaina protettiva delle fibre nervose) del cervello e 
  del midollo spinale vengono distrutte, così che il normale funzionamento delle 
  fibre nervose viene interrotto. Sembra che si tratti di una reazione 
  autoimmunitaria, nell'ambito della quale il sistema di difesa dell'organismo 
  tratta la mielina come una sostanza estranea. Di solito i sintomi compaiono 
  all'inizio dell'età adulta e da quel momento vanno e vengono imprevedibilmente 
  per anni. Gli attacchi durano da settimane a mesi e la temporanea guarigione è 
  spesso incompleta, con un deterioramento progressivo e con il risultato finale 
  di una grave infermità. Ferite, infezioni o sforzi possono provocare ricadute. 
  Il periodo medio di sopravvivenza è di trent'anni, ma alcuni pazienti 
  subiscono un deterioramento molto più rapido, mentre altri si stabilizzano 
  dopo pochi attacchi.     L'uso della marijuana nella cura della sclerosi 
  multipla è descritto in questa testimonianza di Greg Paufler, un uomo di 
  trentasette anni che abita sulle colline alla periferia di New York: Nel 1973 avvertii una sensazione di torpore al pollice sinistro, che 
    cominciò a diffondersi al resto della mano. Parlai di questi sintomi a un 
    dottore, che mi diagnosticò Oggi, la maggior parte dei malati di SM negli Stati Uniti viene a sapere 
  degli effetti benefici della marijuana grazie ai gruppi di sostegno o al 
  passaparola. Molti aneddoti testimoniano la sua capacità di lenire i tremori e 
  la perdita di coordinazione muscolare. Spesso i neurologi ne vengono a 
  conoscenza dai loro pazienti. A tutt'oggi la letteratura medica comprende 
  soltanto pochi casi, come il seguente, riportato nel 1983: Un uomo di trent'anni soffriva di SM da dieci anni, con fasi alterne di 
    esacerbazione e remissione, che avevano causato paraparesi, diplopia, 
    atassia, torpore e pareste sia in tutti gli arti, ritenzione dell'urina, 
    incontinenza e impotenza. Le cure mediche avevano comportato l'uso di ACTH, 
    corticosteroidi e azatioprina. Un tremore disabilitante era stato un 
    problema costante per più di un anno. Il tremore più intenso era localizzato 
    nel capo e nel collo e arrecava particolari problemi alla nutrizione, poiché 
    aumentava di intensità quando ci si sforzava di introdurre del cibo in 
    bocca. Il tremore diminuiva, ma non cessava, quando il paziente stava supino 
    e la sua testa veniva sorretta; scompariva con il sonno. Le cure con 
    diazepam, alcol, propranololo e fisostigmina furono tutte senza successo. 
     Figura 1. Prove calligrafiche e rappresentazione grafica dei movimenti 
  della testa,     Un altro rapporto recente è stato pubblicato da 
  alcuni neurologi dell'Università di Gottingen in Germania, che avevano notato 
  che uno dei loro pazienti, un uomo di trent' anni affetto da sclerosi 
  multipla, faceva uso di sigarette di marijuana per curare i suoi handicap 
  motori e sessuali. Essi lo misero alla prova con analisi cliniche, analisi 
  elettromiografiche dei riflessi delle gambe e registrazioni elettromagnetiche 
  dei suoi tremori alle mani (figura 2). La loro conclusione fu che la cannabis 
  meritava una maggiore considerazione come cura sia degli spasmi muscolari, sia 
  dell'atassia (perdita di coordinazione). Figura 2. Registrazione elettromagnetica del tremore da contrazione 
  muscolare che interessa le dita e la mano in un e,esercizio di indicazione 
  condotto alla mattina, prima di aver fumato una sigaretta di marijuana, e alla 
  sera, dopo averla fumata. Debbi Talshir è una donna divorziata di trentanove anni che per quattordici 
  anni ha curato la sua sclerosi multipla grazie alla La sclerosi multipla mi fu diagnosticata nel 1977. Uno dei suoi primi 
    sintomi fu la nevrite ottica. Il nervo ottico collega il cervello 
    all'occhio, e la nevrite ottica è una degenerazione di quel collegamento. 
    Può causare una parziale cecità. Dapprima una grande nuvola comparve nel mio 
    campo visivo e cominciai a non vederci più bene; poi la nuvola nell'occhio 
    destro diventò nera. Il caso di una paziente la cui perdita di coordinazione muscolare si era 
  rivelata un sintomo precoce della sclerosi multipla ci è stato sottoposto dal 
  suo psichiatra. Per diversi anni, questi aveva cercato di indurla ad 
  abbandonare l'abitudine di fumare la modica quantità di marijuana di cui lei 
  si serviva, all'ora di andare a letto, per scongiurare la sua insonnia 
  cronica. Dopo averla convinta a smettere, egli venne da noi a chiedere 
  consigli quando si rese conto che la cannabis aveva sempre tenuto nascosti i 
  sintomi della sclerosi multipla, che non le era mai stata diagnosticata in 
  precedenza; l'atassia si presentò quando lei smise di fumare e scomparve 
  quando lei riprese. Lo psichiatra era preoccupato perché pensava che la 
  marijuana fosse altamente tossica; gli assicurammo che non lo era, e questo lo 
  sollevò dai suoi timori. La sua paziente racconta la sua storia: Finalmente ero arrivata dove volevo. Alle carenze della mia istruzione 
    avevo sopperito con lunghe ore di duro lavoro e con l'aiuto del capo che 
    tutte le giovani donne d'affari sognano. A vendo cominciato a ventun anni 
    come l'impiegata peggio retribuita in una piccola società della mia città, 
    mi ritrovavo ora, a quarantacinque anni, a essere uno degli amministratori 
    finanziari di un 'impresa di elettronica con un fatturato da miliardi di 
    dollari.     Da questo caso e da altri emergono allusioni al 
  fatto che la cannabis non solo attenui i sintomi della sclerosi multipla 
  spasmi muscolari, tremori, perdita di coordinazione muscolare (atassia) e 
  incontinenza urinaria, insonnia -ma ritardi anche la progressione della 
  malattia. La sclerosi multipla è un disturbo causato da un sistema immunitario 
  sovreccitato; le cure convenzionali prevedono l'uso di steroidi che sopprimono 
  le funzioni immunitarie. Sebbene la marijuana apparentemente non accresca la 
  suscettibilità alle malattie infettive, ci sono evidenze del fatto che il THC 
  abbia un effetto immunodepressivo. Tenendo in mente questo dato, un gruppo di 
  ricercatori ha messo alla prova la propria capacità di scongiurare 
  l'encefalomielite allergica sperimentale (EAE), una malattia che è stata usata 
  come modello di laboratorio della sclerosi multipla sui porcellini d'India. 
  Quando gli animali venivano esposti alla malattia e poi curati con un placebo, 
  tutti sviluppavano gravi forme di EAE e più del 98% moriva. Gli animali curati 
  con il THC avevano sintomi molto blandi o assenti, e più del 95% sopravviveva. 
  A un attento esame, il tessuto cerebrale degli animali curati con il THC si 
  era rivelato molto meno infiammato.       La paraplegia è una forma di indebolimento o di 
  paralisi dei muscoli nella metà inferiore del corpo, provocata da affezioni o 
  lesioni nella parte mediana o inferiore del midollo spinale. Se la lesione è 
  localizzata vicino al collo, anche le braccia ne sono affette quanto le gambe, 
  e si manifesta la quadriplegia. Paraplegia e quadriplegia sono spesso 
  accompagnate da dolori e spasmi muscolari; le cure convenzionali sono a base 
  di oppiacei per i dolori, di baclofene e diazepam per gli spasmi muscolari. 
  Molti paraplegici e quadriplegici hanno ormai scoperto che la cannabis non 
  solo allevia i loro dolori in modo meno pericoloso di quanto non facciano gli 
  oppiacei, ma elimina con efficacia i loro tremori e tic muscolari.  Nel giugno del 1989, avevo ventisette anni ed erano cinque anni e mezzo 
    che lavoravo, con successo, come tecnico del settore industriale: vendevo 
    apparecchiature pneumatiche e per l'automazione a fabbriche e industrie 
    manifatturiere. Per diversi anni, a fasi alterne, avevo fatto uso di mari 
    juana per distendermi. Dopo una lunga, faticosa giornata ero solito 
    rincasare, cenare con la mia ragazza, fumare marijuana e rilassarmi. 
    Abitualmente passavo la serata nel mio studio di casa, e trovavo che fumare 
    marijuana non solo mi distendeva ma mi aiutava anche a concentrarmi sul 
    lavoro.     Chris Woiderski riferisce che la marijuana gli 
  permetteva di raggiungere un'erezione normale. Un rapporto tratto dalla 
  letteratura medica conferma questo effetto.     In America l'epidemia di AIDS balzò all'attenzione 
  generale per la prima volta nel 1981, quando si scoprì che cinque omosessuali 
  di Los Angeles avevano sviluppato un'immunodeficienza misteriosa e profonda 
  che veniva sfruttata da infezioni opportuniste (microrganismi normalmente 
  innocui che però diventano pericolosi quando il sistema immunitario è 
  indebolito). Nel 1984 il virus dell'immunodeficienza umana (HIV) fu 
  riconosciuto come la causa dell'AIDS. Fino a oggi più di 150.000 americani 
  sono morti di questa malattia; circa 2 milioni sono infetti dal virus 
  ("sieropositivi", N.d.T.) e forse 250000 sono malati conclamati. Sebbene la 
  diffusione dell'AIDS tra gli omosessuali sia rallentata, la riserva di malati 
  potenziali è così vasta che il numero dei casi sicuramente aumenterà. Donne e 
  bambini, tanto quanto uomini sia eterosessuali sia omosessuali, oggi ne sono 
  colpiti; la malattia si sta propagando con la massima rapidità tra i 
  tossicodipendenti che fanno uso di siringhe, e in particolare tra quelli di 
  colore e latino-americani delle aree urbane degradate, oltre ai partner con 
  cui hanno rapporti sessuali.     Il 19 ottobre 1983 scoprii di avere l'epatite B. 
    Era già da un po' che notavo un'inserzione a tutta pagina sulla rivista Gay 
    Chicago, ma evitavo di leggerla perché sembrava troppo deprimente 
    (raffigurava un uomo in ospedale che veniva nutrito con la flebo). Quando 
    alla fine cedetti e la lessi, scoprii che si trattava di una lettera aperta 
    indirizzata alla comunità gay dalla Liver Foundation del New Jersey. Diceva 
    che due terzi dei maschi gay, che lo sapessero o no, avrebbero prima o poi 
    contratto l'epatite B (questo accadeva molto tempo prima del "sesso 
    sicuro"). Il cinquanta per cento delle persone contagiate dal virus 
    manifesta dei sintomi, alcuni leggeri, alcuni gravi. Il novanta per cento 
    sviluppa anticorpi dopo un'infezione e non è più soggetto a contagio; il 1O 
    per cento diventa portatore e il 2 per cento muore. L'inserzione diceva che 
    era disponibile un vaccino. Così, la prima volta che ebbi occasione di 
    andare alla clinica gay VD, chiesi all'impiegato dell'accettazione di fare 
    un esame degli anticorpi. Venne fuori che avevo proprio quell'infezione. Era 
    troppo tardi per la vaccinazione. In quel momento compresi perché mi sentivo 
    nauseato, vomitavo spesso e mi stancavo facilmente. Sebbene non avessi 
    appetito, il dottore mi disse che dovevo mangiare. Siccome avevo una 
    malattia al fegato, naturalmente smisi di bere (non avevo mai bevuto molto 
    comunque) e a quel punto cominciai a fumare marijuana più spesso. Mi accorsi 
    che il mio appetito aumentava enormemente dopo che avevo fumato. Cominciai a 
    fumare tutti i giorni e guadagnai peso con rapidità. Due anni dopo non avevo 
    ancora Prodotto gli anticorpi e fui ufficialmente classificato come 
    portatore di epatite.     Un prodromo dell'AIDS è il complesso di sintomi 
  correlati all'AIDS, o ARC. I suoi sintomi comprendono rigonfiamento dei 
  linfonodi, febbre, nausea, diarrea, dolori ed esaurimento. l'ARC può durare 
  molto tempo, oppure evolvere rapidamente nell'AIDS. Quando il "dottor Z", un 
  medico che soffriva di ARC, cominciò una terapia con AZT circa due anni fa, il 
  suo CBC (conteggio completo delle cellule ematiche,N.d.T.), il conteggio dei 
  linfociti T, gli LFT (esami delle funzioni epatiche) e altri parametri 
  immunologici si stabilizzarono. Sfortunatamente, cominciò anche a soffrire di 
  gravi forme di nausea e diarrea (da otto a dodici attacchi di diarrea al 
  giorno). Il suo medico personale gli prescrisse prometazina e proclorperazina 
  contro la nausea; argilla caolinitica, difenossilato con atropina, loperamide 
  e ranitidina contro la diarrea e l'iperattività dell'apparato 
  gastrointestinale. Nessuno di questi medicinali ebbe un effetto adeguato. Poi 
  il dottor Z scoprì che piccole quantità di cannabis, fumate nell'arco di tutta 
  la giornata, eliminavano completamente la nausea e riducevano il numero degli 
  attacchi di diarrea a due o tre al giorno, senza bisogno di prendere nessun 
  altro farmaco. Egli aveva risentito anche di un grave esaurimento che 
  interferiva con molte attività quotidiane. La cannabis placò anche questo 
  stato di esaurimento. Di seguito riportiamo il suo resoconto:     A causa dell'isterismo irragionevole che ha 
    contagiato gli Stati Uniti per quanto riguarda l'AIDS e la guerra alla 
    droga, ho scelto di rimanere anonimo. Sono un medico malato di ARC e 
    credo che la marijuana riesca ad alleviare meglio di ogni altra sostanza 
    molti dei disturbi associati all'AIDS. Alcune informazioni preliminari 
    sono necessarie per porre questa discussione in una prospettiva corretta. 
    Come molti altri, ho provato la marijuana per la prima volta in college. 
    Quell'esperienza mi era piaciuta, ma un laureando in medicina in un 
    rispettato college della Ivy League aveva poco tempo per simili distrazioni. 
    In tutto, avrò fumato probabilmente meno di una dozzina di volte in college. 
    La MedicaI School, l'internato e il tirocinio seguirono senza che io facessi 
    ulteriore uso di marijuana. Poi avviai un'attività nella piccola cittadina 
    dove vivo ancora oggi, anche se non sto più esercitando la 
    professione.     Poiché la marijuana è illegale, il dottor Z ha 
  deciso di cercare di ottenere una prescrizione di dronabinolum (Marinol@). Si 
  rivolse al suo medico personale, che sapeva poco sul dronabinolum ed era 
  riluttante a prescriverlo per paura della "dipendenza" e della possibile 
  "euforia". Alla fine, compilò una prescrizione di 5 mg al giorno, metà della 
  dose raccomandata da un rappresentante dell'industria farmaceutica che produce 
  il Marinol. Ci sono voluti dieci anni perché l'opinione pubblica si rendesse 
  conto di quanto sia grave la pericolosità dell'epidemia da HIV. 
  Sfortunatamente, potrebbero volerci altri dieci anni perché i medici prendano 
  atto delle possibili cure. Nelle loro forme più gravi, i dolori cronici vengono curati con narcotici 
  derivati dall'oppio e con vari analgesici sintetici, ma queste sostanze 
  presentano numerose limitazioni. Gli oppiacei inducono dipendenza e 
  determinano l'insorgere del fenomeno della "tolleranza"; gli analgesici 
  sintetici che non inducono dipendenza spesso non sono abbastanza efficaci. Ci 
  si sarebbe potuti aspettare che gli specialisti di questi dolori dessero 
  un'altra chance alla cannabis, ma ancora una volta la letteratura medica 
  indica una scarsa riconsiderazione fino al 1975, quando all'Università dello 
  Iowa fu condotto uno dei pochi esperimenti moderni sull'impiego della cannabis 
  nella cura dei dolori. I ricercatori di quell'istituto somministrarono a caso 
  THC in pillole e placebo a malati di cancro ricoverati in ospedale, che 
  soffrivano di forti dolori. Il THC attenuava i dolori per diverse ore anche 
  con dosi modeste come 5+ lO mg, e per tempi anche più lunghi con dosi di 20 
  mg. In questa dose e in questo contesto, il THC dimostrò di avere anche un 
  effetto sedativo. Inoltre, comportava effetti collaterali sul fisico minori 
  rispetto ad altri analgesici di uso comune. Ho goduto di un'infanzia normale fino all'età di dieci anni. Poi, un 
    giorno, mentre stavo giocando a baseball nella Little League, mi capitò di 
    eliminare un avversario nella prima parte della partita, per poi rimanere 
    col braccio paralizzato per un po' di tempo. L'incidente preoccupò i miei 
    genitori, così ci rivolgemmo al nostro medico di famiglia, che mi fece una 
    radiografia al braccio. La radiografia sembrava mostrare una frattura che 
    fosse guarita lasciando dei frammenti scheggiosi di osso. Non aveva senso; 
    non mi ero mai rotto il braccio. Il dottore mi mandò da un ortopedico, che 
    rimase altrettanto perplesso e mi affidò all'Ospedale dei Bambini di Boston. 
    Dopo una lunga serie di analisi, i medici di quell'ospedale conclusero che 
    soffrivo di esostosi multiple cartilaginee: una malattia rara, a causa della 
    quale le ossa sviluppano piccole protuberanze o speroni che crescono o 
    all'esterno, nelle fibre muscolari e nervose circostanti, o all'interno, 
    dentro l'osso stesso.     Nel 1988 mi sono sottoposta a un intervento 
    chirurgico a causa di un tumore maligno al cervello, un oligodendroglioma. 
    Il nome è altrettanto opprimente quanto ciò che comporta.     L'ironia più grande, per chi condanna l'uso della 
  cannabis nell'attenuazione del dolore, è che le migliori alternative sono 
  oppiacei capaci di indurre dipendenza e talora debilitanti. Una donna che ci 
  ha descritto il suo caso soffre di meloreostosi, una malattia rara e 
  incurabile che comporta forti dolori alle articolazioni. Quando ebbe i primi 
  sintomi di questo male, il suo medico le prescrisse dosi massicce di Darvocet, 
  una combinazione di propossifene (un oppiaceo sintetico) e Tylenol #3 (codeina 
  e acetamminofene). La donna aveva bisogno anche di quindici Darvocet al giorno 
  per alleviare i suoi dolori, finché non cominciò a fumare marijuana. Ha così 
  scoperto che "fumando marijuana, non appena i dolori si presentano, riesco a 
  farli cessare. Altrimenti aumentano di intensità molto in fretta; comincio a 
  sentirmi nauseata e ho sudori caldi e freddi, dovuti semplicemente al dolore". 
  Normalmente, riesce a contenere i dolori con uno o due spinelli al giorno. "Ma 
  è un articolo da mercato nero, e quando paghi una media di 75 $ per un quarto 
  di oncia e hai un'entrata di soli 444 $ al mese, non ne compri molta. Sento 
  che non dovrei vivere come una delinquente a causa dell'ignoranza dei 
  politici. Sono nella condizione di dover essere terrorizzata all'idea che la 
  polizia venga a perquisire la mia casa. Andrò a perdere la mia casa e i miei 
  bambini solo perché ho trovato qualcosa che mi rende capace di affrontare il 
  mio male?"     L'emicrania è un forte mal di testa che dura per 
  ore o per giorni ed è accompagnato da disturbi alla vista o da nausea e vomito 
  o da entrambi. Ho avuto il mio primo attacco di emicrania a scuola, quando avevo 
    quattordici anni. Gli effetti ottici di scintillio e tremolio, che 
    inizialmente mi parvero curiosi, mi logorarono la vista al punto che non 
    riuscivo a leggere cosa c'era scritto sulla lavagna. Chiesi il permesso di 
    uscire dall'aula, entrai in infermeria e vomitai per diverse ore finché mia 
    madre non venne a prendermi.     Il sollievo dall'emicrania potrebbe essere 
  semplicemente un altro effetto analgesico della cannabis, ma uno studio 
  suggerisce che ci sia di mezzo qualcosa di più. Si è scoperto che il THC 
  inibisce il rilascio di serotonina dal sangue dei malati di emicrania durante 
  un attacco (ma non in altre occasioni). Questa conclusione necessita di 
  conferme e il suo significato rimane oscuro, ma potrebbe essere un indizio 
  utile per ulteriori ricerche. Don Spear è un uomo di cinquantadue anni di Flint, Michigan, che soffre di 
  dermatite atopica, una malattia infiammatoria della pelle che rappresenta 
  probabilmente una reazione allergica di origine sconosciuta. I sintomi sono 
  prurigine (forte prurito) e comparsa di chiazze di pelle infiammata, 
  specialmente su mani, faccia, collo, gambe e genitali. In genere la dermatite 
  atopica viene curata con corticosteroidi e pomate applicate sulla pelle. Gli 
  steroidi sono efficaci solo in parte e in ogni caso possono essere usati solo 
  occasionalmente durante le crisi, dal momento che il loro uso prolungato 
  comporta seri effetti collaterali. Gli antistaminici aiutano a contenere il 
  prurito, ma anche loro hanno un'efficacia limitata. Grattarsi porta a 
  infezioni sulle quali bisogna intervenire con antibiotici.      Sono affetto da una malattia cutanea debilitante e 
  potenzialmente letale chiamata neurodermite atopica. Nel 1954, quando avevo 
  diciotto anni ed ero di guarnigione presso una base dell'esercito in Texas, mi 
  accorsi che la pelle attorno ai miei occhi era irritata e squamosa. Dapprima 
  pensai che dipendesse dal clima arido del Texas, ma poi vidi che il disturbo 
  si aggravava e si diffondeva ad altre parti del corpo. Nelle zone interessate 
  la pelle si irritava fortemente, prendeva un colore rosso cupo e cominciava a 
  spaccarsi. Un anno più tardi, quando l'esercito mi trasferì in Germania 
  occidentale, buona parte del mio corpo era coperta da aree di pelle pustolosa 
  di colore rosso acceso, che continuavano a spaccarsi, ricoprirsi di croste e 
  spaccarsi di nuovo. Queste aree diventarono infette a causa del mio continuo 
  grattarmi. Due applicazioni abituali della cannabis nel XIX secolo erano la cura dei 
  dolori mestruali e l'attenuazione delle doglie. Sebbene non esista alcuno 
  studio sull'argomento nella letteratura medica del XX secolo, molte donne 
  hanno provato la cannabis e per alcune di loro è la medicina preferita, 
  specialmente per il sollievo dai dolori mestruali.  Sono una casalinga di trentasette anni. Gestisco una piccola attività, 
    faccio volontariato nella scuola di mia figlia e mi presto come 
    accompagnatrice nelle gite di classe. Ho l'aria di una "regolare" e molti 
    dei miei vicini e conoscenti non sospettano minimamente che io fumi 
    marijuana. Per molti anni ho sofferto di forti dolori mestruali. Nel 1976 
    una laparoscopia rivelò la presenza di cisti alle ovaie e endometriosi. Mi 
    dissero che l'endometriosi sarebbe ritornata anche dopo un'operazione, così 
    decisi di non fame neanche una. Feci iniezioni di ormoni per diversi mesi, 
    ma poi le interruppi perché avevo paura di un possibile cancro. I calmanti 
    che mi erano stati prescritti mi facevano sentire troppo drogata perché 
    potessi essere efficiente come madre. In quel periodo usavo la marijuana a 
    scopo ricreativo, la fumavo in gruppo con gli amici e, casualmente, scoprii 
    anche che attenuava i miei dolori mestruali. Oggi la maggior parte dei miei 
    amici non sa nemmeno che fumo; invece, non appena inizia il mio ciclo 
    mestruale, io mi accendo uno spinello.    

raccolte in questo 
libro
è sempre un tradimento verso quel 
razionalismo di fondo
che sospinge in avanti la scienza al pari della 
filosofia.
Alfred North WhiteheadIndice
1 
Storia della cannabis
2 
La cannabis come medicina
2.1 
Chemioterapia neoplastica
  2.1.1 
1a Testimonianza - leucemia linfatica
  2.1.2 
2a Testimonianza - tumore al midollo osseo
  2.1.3 
3a Testimonianza - morbo di Hodgki
  2.1.3 
4a Testimonianza - mesotelioma addominale
2.2 
Glaucoma 
  2.2.1 
1a Testimonianza - glaucoma terminale Robert Randal
  2.2.2 
2a Testimonianza - glaucoma terminale Elvy Musikka
2.3 
Epilessia
  2.3.1 
1a Testimonianza - crisi parziali complesse Carl Oglesby
  2.3.2 
2a Testimonianza - grande male e crisi di assenza Gordon Hanson
2.4 
Sclerosi multipla
  2.4.1 
1a Testimonianza - Greg Paufler
  2.4.2 
2a Testimonianza - Letteratura Medica D.B. Clifford, Annals of 
Neurology
  2.4.3 
3a Testimonianza - Letteratura Medica H.M. Meinck, P.W. Schijnle e B. 
Conrad, Journal of Neurology
  2.4.4 
4a Testimonianza - Debbie Talshir
  2.4.5 
5a Testimonianza - Testimonianza Anonima di uno Psichiatra 
2.5 
Paraplegia e quadriplegia
  2.5.1 
1a Testimonianza - Chris Woiderski
2.6 
AIDS
  2.6.1 
1a Testimonianza - Ron Mason
  2.6.2 
2a Testimonianza - Dottor Z (Anonimo)
2.7 
Dolori cronici
  2.7.1 
1a Testimonianza - Irvin Rosenfeld
  2.7.2 2a 
Testimonianza - Karen Ross
2.8 
Emicrania 
  2.8.1 
1a Testimonianza - Carol Miller
2.9 
Prurigine
  2.9.1 
1a Testimonianza - Don Spear
2.10 
Dolori mestruali e doglie
  2.10.1 
1a Testimonianza - Casalinga (Anonima)
2.11 Depressione e altri disturbi 
emotivi
2.12 Altri impieghi medici
2.13 In difesa delle evidenze 
aneddotiche 155
3 Valutare i rischi
4 La medicina di un tempo e 
del futuroPrefazione
    Allora io credevo ingenuamente che, una 
volta che la gente avesse capito che la marijuana era molto meno pericolosa di 
altre droghe già legalizzate, avrebbe favorito la sua legalizzazione. Nel 1971 
io prevedevo fiduciosamente che la cannabis sarebbe stata legalizzata per gli 
adulti entro il decennio. Non avevo ancora imparato che le droghe illecite hanno 
una proprietà molto strana: non sempre chi ne fa uso si comporta 
irrazionalmente, mentre ciò accade sicuramente a molti non-consumatori. Invece 
di rendere la marijuana legalmente disponibile agli adulti, abbiamo continuato a 
criminalizzare molti milioni di americani. Circa 300.000 persone, per lo più 
giovani, vengono arrestate a causa della marijuana ogni anno, e il clima 
politico si è ormai deteriorato così gravemente che è diventato difficile 
discutere sulla marijuana in modo aperto e libero. 
   Tra coloro che ne fanno uso, anzi, sono in 
molti a credere che la marijuana migliori la loro vita -un argomento di cui si 
sente parlare raramente su carta stampata. In più di vent'anni di ricerche ho 
letto una grande quantità di materiale sui potenziali effetti nocivi della 
cannabis (in gran parte assurdità) e molto poco sulle sue proprietà benefiche. 
Sebbene queste proprietà presentino diversi aspetti, l'impiego medico è uno dei 
più importanti ed è stato gravemente ignorato. Sono giunto alla 
conclusione che se qualunque altra droga avesse rivelato simili potenzialità 
terapeutiche abbinate a un simile primato di innocuità, gli specialisti e 
l'opinione pubblica avrebbero dimostrato per essa un interesse molto maggiore. 
La reputazione largamente immeritata della cannabis come droga nociva nell'uso 
ricreativo e le conseguenti restrizioni legali hanno ostacolato il suo impiego 
medico e la ricerca scientifica. Come risultato, la comunità medica è diventata 
ignorante in fatto di cannabis ed è stata sia un agente, sia una vittima, nella 
diffusione di informazioni sbagliate e di miti 
terrificanti.
    Quello che segue è per lo più 
un libro di storie: questo perché la maggior parte delle testimonianze sulle 
proprietà mediche della marijuana è di natura aneddotica. Un giorno si porrà 
rimedio alla sistematica negligenza della comunità scientifica e gli autori di 
un libro sugli impieghi medici della marijuana avranno la possibilità di 
esaminare una vasta letteratura clinica. James Bakalar e io speriamo di 
abbattere pregiudizi, porre rimedio all'ignoranza e contribuire a spianare la 
strada per la ricerca futura esplorando gli usi terapeutici noti e potenziali di 
questa notevole sostanza.
    Questo libro ha due 
autori e numerosi collaboratori. Molte delle persone che hanno dato il loro 
contributo sono state reclutate per passaparola o perché si sono rivolte 
direttamente a noi per sottoporci il loro problema, ma alcune sono giunte alla 
nostra attenzione tramite le testimonianze che hanno deposto davanti a Francis 
Young, Giudice Amministrativo della Drug Enforcement Administration, nel corso 
delle udienze che si tennero nel 1986 per riconsiderare la classificazione della 
marijuana. Robert Randall e Alice O'Leary della Alliance for Cannabis 
Therapeutics ci hanno aiutato a individuare alcuni di quei pazienti. Siamo in 
debito con Kevin Zeese della Drug Policy Foundation per averci fornito una 
trascrizione delle udienze, e non solo per questo. Il nostro manoscritto ha 
beneficiato immensamente delle letture critiche di Kenneth Arndt (dottore in 
Medicina), Ann Druyan, John Gehring (dottore in Medicina), David e Betsy 
Grinspoon, Norman Jaffe (dottore in Medicina), Simeon Locke (dottore in 
Medicina), Susan Milmoe, CarI Sagan, Richard Schultes e Arnold S. Trebach. Nel 
nostro progetto siamo stati anche aiutati in diversi modi da Peggy S. Alcorn, 
Beth Banov , Del Cogswell Brebner, Elizabeth Case, Leslie Druyan, Paul Geissler, 
J ames J ohnson, JeffMoore, June Riedlinger, Alexander Shulgin, Lewis L. Van 
Hoosear (dottore in Medicina) e Lennice Werth. Siamo particolarmente grati a 
Heather L. Erskine, che ci ha assistito con tanta competenza in ogni fase dello 
sviluppo del manoscritto e il cui amorevole contegno non è mai stato messo in 
crisi dal numero, apparentemente infinito, di revisioni.
Lester 
Grinspoon,
dottore in Medicina1. Storia della cannabis
2 La cannabis come medicina
2.1 Chemioterapia neoplastica
    Il cisplatino può causare la sordità 
o forme anche mortali di insufficienza renale. L 'ifosfamide può procurare 
emorragie ed ematomi; il ciclofosfamide indebolisce il sistema immunitario, la 
doxorubicina può distruggere il tessuto muscolare cardiaco. I derivati della 
mostarda azotata sono così tossici che corrodono la pelle o qualunque altro 
tessuto incontrino. Se l'ago per iniezione endovenosa attraverso il quale 
vengono inoculati perde o scivola fuori dalla vena, la ferita che ne consegue 
può far sì che il paziente perda l'uso di un braccio. La maggior parte di questi 
prodotti provoca anche la caduta dei capelli e ciascuno di loro può causare la 
crescita di un secondo tipo di tumore mentre sopprime quello originario. Le dosi 
devono essere calcolate con cura per evitare il manifestarsi di insufficienza 
renale, cardiaca o respiratoria.
    Tuttavia 
l'effetto collaterale più comune, e per molti pazienti più fastidioso, di queste 
sostanze sta nel profondo senso di nausea e nel vomito che esse provocano. Le 
crisi di vomito (conati a secco), possono durare ore o addirittura giorni dopo 
ogni seduta, seguiti da giorni o addirittura settimane di nausea. Nel vomitare, 
i pazienti possono fratturarsi un osso o spezzarsi l'esofago. Il senso di 
perdita di controllo può essere devastante sul piano emotivo. Inoltre, molti 
pazienti non mangiano quasi niente perché non sopportano la vista o l'odore del 
cibo. Perdendo peso ed energie, essi trovano sempre più difficile sostenere la 
propria volontà di vivere.
    I pazienti diventano 
più apprensivi a ogni successivo trattamento. Alcuni sviluppano un riflesso 
condizionato che li porta a vomitare appena entrano nella stanza dove ha luogo 
la cura, o addirittura prima di raggiungere l'ospedale. Si è sentito dire che 
qualche paziente abbia vomitato per riflesso incontrando per strada un membro 
del suo staff medico. Se non si riesce ad arrestare la nausea e il vomito, le 
reazioni dei pazienti possono indurre i dottori a ridurre le dosi e a mettere a 
repentaglio l'efficacia della terapia. A molti pazienti gli effetti collaterali 
della chemioterapia sembrano peggiori del cancro stesso, e così essi 
interrompono la cura, non solo per eliminare il malessere ma anche per 
riacquistare il controllo della propria vita. Alcuni insistono per smettere pur 
sapendo che ciò significherà morte sicura. Nel caso di pazienti curabili che 
rifiutano la terapia,
nausea e vomito dovrebbero essere considerati una forma 
potenzialmente letale di tossicità.
     Molti 
pazienti, fortunatamente, traggono sufficiente sollievo da farmaci antiemetici 
convenzionali come la proclorperazina(Compazine@) o il nuovo ondansetron 
cloridrato (Zofran@). Ma in alcuni casi questi farmaci non hanno effetto o 
cessano di averlo in breve tempo. Oggi lo Zofran è considerato il più efficace 
degli antiemetici ordinari, ma deve essere somministrato per alcune ore tramite 
fleboclisi mentre il paziente è ricoverato in un letto d'ospedale, a costo di 
centinaia di dollari per somministrazione. Come chiaramente indicato dai 
risultati dei programmi di ricerca dei singoli stati citati precedentemente, la 
marijuana può supplire in modo assai efficace ai farmaci convenzionali. In uno 
studio condotto su 56 pazienti che non avevano tratto benefici dagli agenti 
antiemetici convenzionali, il 78% risultò libero da sintomi dopo aver fumato 
marijuana.
Uno di noi (L.O.) ha avuto esperienza diretta di questo 
effetto
terapeutico:2.1.1 1a Testimonianza - leucemia linfatica
  
A pranzo, il dottor Frei mi raccontò di un diciottenne 
  di Houston, malato di leucemia, che era diventato sempre più recalcitrante a 
  sottoporsi alla chemioterapia perché non riusciva più a sopportare la nausea e 
  il vomito. I suoi dottori e la sua famiglia trovavano sempre più difficile 
  persuaderlo a prendere il farmaco dal quale dipendeva la sua vita.
Un 
  giorno, con sorpresa del dottor Frei, il giovane aveva accettato volentieri di 
  prendere il farmaco e da quel momento in poi non aveva più fatto obiezioni 
  alla chemioterapia. Alla fine aveva rivelato di aver preso l'abitudine di 
  fumare marijuana venti minuti prima di ogni seduta. Ciò gli risparmiava non 
  solo le crisi di vomito, ma anche il più lieve accenno di nausea. Il dottor 
  Frei mi chiese se questa proprietà della cannabis fosse menzionata nella 
  letteratura medica del XIX secolo, e io gli risposi che lo era. Sulla via di 
  casa mia moglie, Betsy, che aveva ascoltato con grande interesse, suggerì che 
  ci procurassimo un po' di cannabis per nostro figlio, Danny.
A Danny 
  era stata diagnosticata per la prima volta una leucemia linfatica acuta nel 
  luglio del 1967, quando aveva 1O anni. Sulle prime aveva accettato di buon 
  grado la sua terapia all'ospedale dei bambini di Boston, e perfino le 
  necessità occasionali di ricovero in ospedale. Ma nel 1971 aveva cominciato a 
  prendere il primo di una serie di farmaci che avevano suscitato in lui forti 
  nausee e vomito.
Danny era uno di quei pazienti per i quali queste 
  reazioni sono incontrollabili e non vengono attenuate a sufficienza dagli 
  antiemetici ordinari. Era solito cominciare a vomitare poco dopo il 
  trattamento e continuava ad avere conati di vomito anche per otto ore. 
  Vomitava in macchina mentre lo riportavamo a casa e, una volta arrivati, 
  doveva stare sdraiato a letto con la testa sopra un secchio appoggiato sul 
  pavimento. Tuttavia, rimasi sbalordito quando Betsy suggerì di cercare della 
  cannabis per Danny. Feci obiezioni perché era una cosa illegale e perché 
  avrebbe potuto creare imbarazzo al personale dell'ospedale, che era stato così 
  encomiabile per il suo impegno nella cura di Danny. Scartai l'idea.
La 
  seduta successiva fu due settimane dopo. Quando arrivai Betsy e Danny si 
  trovavano già nella camera della terapia. Non dimenticherò mai la sorpresa che 
  provai. Normalmente mia moglie e mio figlio erano in uno stato di grande ansia 
  prima che la terapia cominciasse, ma stavolta erano del tutto rilassati e, 
  quel che più conta, sembravano quasi prendersi gioco di me.
Alla 
  fine mi rivelarono il segreto. Mentre erano diretti alla clinica quella 
  mattina, si erano fermati vicino alla Scuola Superiore Wellesley, e Betsy 
  aveva chiesto a uno degli amici di Danny di procurarle un po' di marijuana. 
  Una volta riavutosi dallo sbalordimento, l'amico era corso via ed era 
  riapparso pochi minuti più tardi con una piccola quantità di mari juana. Betsy 
  e Danny l'avevano fumata nel parcheggio dell'ospedale subito prima di entrare 
  in clinica.
La mia sorpresa lasciò posto al sollievo nel vedere quanto 
  Danny fosse a suo agio. Non protestò quando gli diedero la medicina, e tutti 
  fummo felicissimi quando nessun tipo di nausea o vomito seguì. Sulla via di 
  casa chiese a sua madrese potevamo fermarci a prendere uno di quei grossi 
  panini imbottiti con carne e verdura, e quando fu a casa cominciò a fare le 
  sue solite cose invece di filare dritto a letto. Credevamo a malapena ai 
  nostri occhi.
Il giorno seguente telefonai al dottor Norman Jaffe, 
  il medico incaricato della terapia di Danny. Gli spiegai che cosa era successo 
  e dissi che, nonostante non volessi creare imbarazzo a lui o al resto del suo 
  staff medico, non avrei potuto proibire a Danny di fumare marijuana prima 
  della seduta successiva. Il dottor Jaffe rispose suggerendo che Danny 
  fumasse la marijuana in sua presenza nella camera di terapia. La volta 
  seguente, Danny lo accontentò. Quando gli fu dato l'agente chemioterapico, il 
  dottor Jaffe poté constatare con i suoi occhi che mio figlio era completamente 
  rilassato. Dopo, chiese di poter mangiare ancora un panino imbottito. Dal quel 
  momento in poi, Danny ha fatto uso di marijuana prima di ogni seduta, e noi 
  siamo stati tutti molto più sereni durante l'anno che gli è rimasto da 
  vivere.Il dottor Jaffe mi chiese di unirmi a lui nel riferire le nostre 
  osservazioni al dottor Frei, che fu sufficientemente interessato da effettuare 
  il primo esperimento clinico sull'uso della cannabis nella chemioterapia [S.E. 
  Sallan, N.E. Zimberg & E. Frei III, "Antiemetic effect of 
  Delta-9tetrahydracannabinol in Patients Receiving Cancer Chemotherapy", in New 
  Eng. J. Med. 293 (1975): 795-797].2.1.2 2a Testimonianza - tumore al midollo osseo
  
In meno di due mesi 
  nostro figlio perse almeno tredici chili. Cominciò a vomitare la bile. Quando 
  non c'era niente da vomitare, si limitava ad avere conati e convulsioni. Era 
  orribile per noi vedere che nostro figlio soffriva simili tormenti a causa 
  della malattia e della sua cura. A un certo punto Keith mi disse che non 
  voleva diventare come suo fratello Dana -così malato da non potersi prendere 
  cura di se stesso, completamente disabile, un peso per il resto della 
  famiglia. Mi disse che qualora le cose avessero preso una piega così brutta, 
  avrebbe voluto essere capace di uccidersi. Mi fece promettere che quando non 
  ci fossero state più speranze, l'avrei aiutato a mettere fine alla sua 
  vita.
Una sera lessi un articolo di giornale su un malato di cancro che 
  aveva trovato sulla soglia di casa un sacchetto marrone contenente marijuana. 
  L'articolo sottolineava che era l'evidenza medica a suggerire che la marijuana 
  potesse ridurre il grave senso di nausea e il vomito provocati da molte 
  terapie anticancro. L'idea che la marijuana avesse un impiego in medicina 
  giungeva nuova a mio marito e a me. Dapprima risi di questa storia. Sembrava 
  improbabile che la marijuana semplicemente comparisse d'improvviso sulla porta 
  di casa di qualcuno.
Come genitore, ero decisamente contraria all'uso 
  della marijuana come di altre droghe illegali. Mio marito e io ci assicurammo 
  che i nostri figli sapessero esattamente come la pensavamo. Non dubitiamo che 
  possano aver provato la marijuana nell'adolescenza, ma siamo anche sicuri che 
  non hanno mai avuto problemi di droga, né illusioni rispetto alla nostra 
  rigida opposizione all'uso di droghe. Era difficile credere che una droga 
  illegale potesse avere qualche utilità. Pensavamo che, se la marijuana avesse 
  avuto proprietà medicinali, il governo l'avrebbe saputo e l'avrebbe resa 
  legalmente disponibile sotto prescrizione.
Ma eravamo disperati, così 
  raccontammo a Keith quello che avevamo letto. Egli replicò che altri pazienti 
  dell'ospedale che stavano sostenendo la chemioterapia fumavano marijuana per 
  ridurre gli effetti collaterali e dicevano che funzionava. Ci mettemmo 
  all'opera per contattare il deputato del nostro stato, Robert Young, e gli 
  chiedemmo se era possibile procurare la mari juana per Keith in modo 
  legale.
Fummo sorpresi nell'apprendere che un disegno di legge per 
  legalizzare l'uso della marijuana nella cura del glaucoma e del cancro era in 
  attesa di essere esaminato dal corpo legislativo dello Stato del Michigan. Il 
  deputato Young ci mise anche in contatto con il Sig. Roger Winthrop, un tale 
  che stava lavorando all'elaborazione della legge assieme a deputati e 
  senatori. Egli ci fornì informazioni sugli impieghi medici della marijuana e 
  ci disse che medici e pazienti in diversi stati erano già riusciti a far 
  approvare delle leggi che la rendessero disponibile a pazienti gravemente 
  malati, come Keith.
Mio marito e io avevamo letto quel materiale da 
  poco tempo quando Keith ebbe un altro turno di chemioterapia che, come sempre, 
  lo fece stare terribilmente male. Non potevamo starcene lì a guardarlo 
  soffrire ma, poiché eravamo una coppia di un'altra generazione, non avevamo la 
  più pallida idea di dove si potesse trovare della marijuana. Disperati, 
  chiedemmo aiuto a un amico intimo, un superiore presbiteriano, che lavorava 
  con i gruppi giovanili locali. Diversi giorni dopo, comparve alla nostra porta 
  con un po' di marijuana. Era la prima volta che la 
  vedevamo.
L'indomani portammo la marijuana a Keith in ospedale. Dopo 
  che ebbe fumato, il vomito si interruppe bruscamente. Fu sconcertante vedere 
  quell'improvviso cambiamento. La marijuana mise fine anche alla sua nausea. 
  Quando fumava era costantemente affamato, e cominciò addirittura a mettere su 
  peso. Anche la sua disposizione d'animo andò incontro da un miglioramento 
  sorprendente. Prima che iniziasse a fumare marijuana, Keith era solito tornare 
  a casa dalla chemioterapia, chiudersi nella sua camera da letto infilando 
  degli asciugamani sotto la porta in modo da tener lontani gli odori di cucina, 
  e rimanere in camera sua o in bagno a vomitare per tutta la sera. Il cancro e 
  la chemioterapia lo portavano a comportasi come un animale ferito, timido e 
  riservato. Avvertiva intensi sbalzi di temperatura, da caldo a freddo. Le sue 
  articolazioni erano diventate gonfie e doloranti. Gli cadevano i capelli e si 
  sentiva male in tutto il corpo. Grandi porzioni di pelle si staccavano dal 
  punto in cui venivano fatte le iniezioni.
Fumare marijuana gli cambiò 
  drasticamente la vita. Subito prima della terapia fumava una sigaretta di 
  marijuana, dopodiché, se si sentiva nauseato, non era che per pochissimo 
  tempo. Quando arrivavamo a casa, rimaneva in soggiorno a parlare con suo 
  fratello e suo padre. Si univa alla famiglia per cena e mangiava più della sua 
  razione. Diventò brillante e loquace, nuovamente parte della nostra famiglia. 
  Non sperimentò mai, neanche una volta, un inconveniente. La marijuana era la 
  sostanza più innocua e benefica che avesse ricevuto nel corso della sua 
  battaglia contro il cancro.
Ci assicurammo che tutti i suoi dottori 
  e le sue infermiere fossero al corrente della sua situazione; nessuno fece 
  obiezioni e qualcuno, anzi, approvò apertamente. Ci mettemmo addirittura 
  d'accordo perché Keith potesse fumare marijuana nella sua stanza d'ospedale. 
  Di fatto, le persone ragionevoli che si preoccupavano per lui avevano deciso 
  che la legge non andava incontro alla realtà dei suoi bisogni. Venimmo a 
  sapere che molti malati di cancro fumavano marijuana e la maggior parte 
  l'aveva detto al proprio medico, che approvava ma non voleva ripetere 
  pubblicamente ciò che aveva detto ai suoi pazienti nel suo studio.
Mio 
  marito e io finimmo per risentire dell'illegalità della terapia di Keith. Ci 
  sentivamo dei criminali. Siamo persone oneste e semplici, che detestano 
  doversi muovere furtivamente. Eravamo a disagio quando chiedevamo ai nostri 
  amici più intimi, al nostro superiore e all'altro nostro figlio Marc, di 
  rischiare l'arresto perché Keith potesse avere la medicina della quale era 
  così evidentemente bisognoso. Eravamo preoccupati anche per tutti gli altri 
  genitori che avrebbero potuto non sapere che la marijuana poteva contribuire a 
  metter fine alla sofferenza di loro figlio. Chiedemmo a Keith se potevamo 
  raccontare la sua storia a un giornale locale, il Bay City Times, per aiutare 
  gli altri malati di cancro. Accettò, a condizione che non fornissimo dettagli 
  sulla natura del suo tumore e sull'asportazione chirurgica dei suoi testicoli. 
  Come giovane maschio sulla ventina, voleva che almeno quella parte della sua 
  vita rimanesse privata.
Il giorno in cui l'articolo su Keith uscì sul 
  giornale, andammo a Lansing per testimoniare davanti alla commissione 
  giudiziaria del Senato del Michigan in merito alla legislazione sull'impiego 
  medico della marijuana. Le udienze suscitarono una notevole attenzione nel l 
  'opinione pubblica, così cominciammo a ricevere telefonate da altri malati di 
  cancro dal Michigan e da ogni parte degli Stati Uniti. Più volte Keith rimase 
  a parlare con loro fino a notte inoltrata. I malati di cancro e i loro parenti 
  gli chiedevano aiuto e consiglio su come bisognasse fumare correttamente, 
  quanta marijuana usare e quanto spesso. Egli rispose addirittura a delle 
  chiamate a domicilio e andò diverse volte a mostrare ai pazienti come 
  arrotolare le sigarette o aspirare il fumo. Questa opportunità di aiutare 
  altre persone diede a Keith una grande gioia.
Un giorno, poco dopo le 
  udienze, trovammo nella nostra cassetta per le lettere un sacchettino marrone 
  contenente della marijuana. Non c'era nessun biglietto, nessun nominativo, 
  soltanto un'oncia di marijuana. Mi tornò alla mente quell'articolo di giornale 
  di cui avevo riso, con la marijuana che compariva sulla porta di casa di un 
  tale. Ben presto ricevemmo altra marijuana con la posta. I donatori di solito 
  rimanevano nell'anonimato, ma non sempre. Un pastore episcopale, per esempio, 
  ci portò la marijuana a casa e disse che pensava che noi conoscessimo chi 
  poteva fame buon uso. Al diffondersi a macchia d'olio della notizia, fummo 
  contattati da alcuni conoscenti. Un giorno ricevemmo una telefonata da una 
  donna che aveva fatto le scuole elementari con Arnold, mio marito. Ci invitò a 
  casa sua e ci offrì una scatola da sigari piena di marijuana. Ci spiegò che 
  suo marito, morto da poco tempo, fumava marijuana per lenire il dolore di un 
  cancro terminale. Ormai a lei non serviva, ma non voleva buttarla 
  via.
Quando mio marito e io ritornammo a Lansing per ulteriori udienze 
  legislative, Keith era nuovamente in ospedale e il suo tumore aveva ripreso a 
  propagarsi. Questa volta si unì a noi un'altra famiglia: i Negen di Grand 
  Rapids, che avevano testimoniato alle udienze precedenti senza rilasciare il 
  loro nome. La loro figlia Deborah, di ventun anni, stava sostenendo la 
  chemioterapia contro la leucemia, e la marijuana era l'unica sostanza che 
  alleviava i debilitanti effetti collaterali. Il Reverendo Negen è pastore 
  della Chiesa Olandese della Riforma Cristiana di Grand Rapids, una 
  congregazione assai conservatrice. Sotto giuramento, egli dichiarò di aver 
  pregato per ricevere consiglio e di essersi reso conto che, se il fatto di 
  ricorrere alla marijuana per aiutare sua figlia scandalizzava la sua 
  congregazione, avrebbe dovuto abbandonare la chiesa. Parlò in modo commovente 
  della necessità di mandare i suoi figli per le strade di Grand Rapids a 
  comprare marijuana per sua figlia. Per noi era facile comprendere l'angoscia 
  del Reverendo Negen. Come noi, veniva forzato a violare la legge per andare 
  incontro alle necessità mediche di sua figlia. La stessa Deborah Negen fu 
  persino più eloquente e commovente quando, davanti alla commissione, perorò la 
  causa degli altri malati gravi che soffrivano inutilmente.
Il 10 
  ottobre 1979, la Camera del Michigan si pronunciò all'unanimità affinché la 
  marijuana fosse resa disponibile per i pazienti come Keith. Cinque giorni più 
  tardi, il 15 ottobre, il Senato si espresse analogamente, con trentatré voti 
  favorevoli e uno contrario. La sera di domenica 21 ottobre, mio marito e io 
  riferimmo a Keith che il disegno di legge dello Stato del Michigan "Marihuana 
  as Medicine" sarebbe stato convertito in legge l'indomani. Sorrise e ci diede 
  la buonanotte. Il giorno dopo, di prima mattina, morì; più tardi, quello 
  stesso giorno, il disegno di legge fu convertito in legge.2.1.3 3a Testimonianza - morbo di Hodgkin 
  
    
  
Immediatamente si sottopose al primo di una lunga serie di 
    interventi chirurgici: la milza e i linfonodi colpiti furono asportati 
    attraverso un 'incisione che correva dal bacino al torace. Non appena la 
    ferita guarì ed egli recuperò parte delle sue forze, cominciò a sostenere i 
    primi trattamenti in quello che si sarebbe rivelato un decennio di cure 
    anticancro. Malgrado gli avvertimenti dei dottori, eravamo del tutto 
    impreparati agli effetti devastanti della chemioterapia. Un'ora e mezza dopo 
    aver sostenuto la sua prima seduta di chemioterapia mio marito cominciò a 
    vomitare, e il vomito persistette per ore interminabili. Quando non ci fu 
    più niente da rigettare, continuò ad avere conati a secco. Dopo un giorno il 
    vomito andò calando, ma gli rimase un tale senso di nausea da non riuscire a 
    mangiare e nemmeno a sopportare la vista o l'odore del cibo. I dottori gli 
    prescrissero una serie di farmaci antiemetici come il Compazine. Neanche uno 
    si rivelò efficace. Harris fu sottoposto a chemioterapia almeno una volta al 
    mese per circa un anno. Sembrava che la terapia contribuisse a sopprimere il 
    suo tumore, ma certamente si prendeva anche una terribile contropartita 
    sulla qualità della sua vita.
Nei sette anni seguenti Harris sembrò 
    rimettersi più volte.
Ogni volta che il cancro ritornava era più 
    esteso, i farmaci usati per combatterlo erano più tossici e le reazioni 
    d'intolleranza diventavano più gravi. Nel frattempo, Harris si sottopose a 
    molti altri interventi chirurgici, tra i quali l'asportazione di un tessuto 
    canceroso che si era propagato fino al cervello. In seguito cominciò ad 
    avere difficoltà a camminare a causa della presenza, nella sua spina 
    dorsale, di un tessuto canceroso che stava premendo sui nervi dai quali 
    dipende l'uso delle gambe. Anche questi tumori furono asportati 
    chirurgicamente.
Siccome la malattia continuava a progredire, Harris 
    fu sottoposto a una chirurgia esplorativa dell'addome; i dottori trovarono 
    troppo tessuto canceroso da rimuovere. Fu prescritta una chemioterapia più 
    intensiva, cui si aggiunsero trattamenti per mezzo di radiazioni, che gli 
    procurarono
ulteriore nausea. Ogni giorno diventava sempre più penoso per 
    lui.
Un giorno del 1977, quando arrivammo alla stanza dove Harris 
    doveva ricevere l'iniezione, lui se la svignò e si lanciò di corsa per il 
    corridoio. Poco più tardi lo trovai che vagava per le sale dell'ospedale. Mi 
    disse che non ce la faceva più a continuare la chemioterapia. Non sapeva più 
    cosa fare, era spossato dalla malattia e terrorizzato dagli effetti dei 
    farmaci che avrebbero dovuto prolungare la sua vita.
Non avevo mai 
    visto prima, e non ho più visto da allora, un uomo così sinceramente e 
    profondamente atterrito. Harris era arrivato a temere le cure più del cancro 
    e, come lui stesso ammise, più della morte. Mi disse che avrebbe preferito 
    morire piuttosto che continuare la chemioterapia. Una delle infermiere 
    sentì per caso la nostra conversazione e ci interruppe; disse che capiva il 
    nostro problema e suggerì ad Harris di fumare marijuana per alleviare la 
    nausea e il vomito. Trasalimmo. Sebbene Harris avesse fumato marijuana in 
    gruppo di tanto in tanto, non poteva credere che gli sarebbe stata di aiuto. 
    Ci informammo sulla marijuana dal dottore di Harris, e lui disse che non 
    poteva incoraggiarci a fare qualcosa di illegale, ma che molti dei suoi 
    pazienti più giovani fumavano marijuana e sembrava che questo riducesse i 
    loro problemi di nausea e vomito. Il messaggio era piuttosto chiaro: prova 
    la marijuana e vedi se funziona. Harris aveva una gran voglia di vivere 
    e, come era solito dire, niente da perdere, così decise di dare ancora una 
    possibilità alla chemioterapia e fumare un po' di marijuana prima della 
    seduta. Non avevo molte speranze.
Quando Harris andò alla seduta 
    successiva, era così spaventato che dimenticò di portare la marijuana con 
    sé; gliela dovetti portare io dopo che lui mi aveva chiamato dalla sua 
    stanza d'ospedale. I dottori, le infermiere e gli inservienti dovevano 
    averlo visto fumare, ma nessuno disse niente. Era come se tutti noi avessimo 
    raggiunto un tacito accordo. Dopo la chemioterapia decisi di rimanere con 
    Harris per tutta la notte, se mai avesse avuto bisogno del mio aiuto. Ma 
    questa volta non ci fu vomito; dormì come un bambino. Fu la sua prima notte 
    intera di sonno ristoratore in quasi sette anni di cure anticancro. La 
    mattina seguente fece una buona colazione, una vera conquista. Niente 
    vomito. Niente nausea. E voleva veramente mangiare! Non posso descrivere 
    quanto fossimo sollevati ed eccitati. Perché nessuno ce lo aveva detto 
    prima? Perché mio marito aveva passato tutti quegli anni soffrendo 
    inutilmente?
Di solito Harris stava male per settimane dopo 
    aver sostenuto la chemioterapia; questa volta fu in grado di tornare al 
    lavoro dopo quarantotto ore. Da allora in poi prese l'abitudine di fumare 
    marijuana ogni volta che aveva la chemioterapia. I risultati furono 
    impressionanti. Cominciò a recuperare il peso perduto e il suo morale 
    migliorò notevolmente. Divenne più attivo e brillante, e noi cominciammo a 
    fare insieme delle cose che io non pensavo saremmo stati capaci di fare 
    ancora. Era chiaro che i suoi medici erano al corrente di quello che lui 
    stava facendo e lo approvavano; non poterono fare a meno di accorgersi 
    dell'improvviso miglioramento delle sue condizioni.
È 
    impossibile per me descrivere in modo adeguato quanto profondamente la 
    marijuana cambiò le cose. Prima di cominciare a usare la marijuana, Harris 
    stava male tutto il tempo, non era in grado di mangiare, non poteva nemmeno 
    sopportare gli odori di cucina. Dopo riusciva a mantenersi attivo, mangiava 
    regolarmente e poteva essere se stesso. Il suo umore, le sue maniere e il 
    suo modo di vedere le cose si erano trasformati. E, naturalmente, la 
    marijuana prolungò la sua vita permettendogli di continuare la 
    chemioterapia. Nei due anni in cui fumò marijuana non ebbe mai inconvenienti 
    spiacevoli. La marijuana è stata la sostanza meno
pericolosa che mio 
    marito abbia ricevuto in nove anni di cure contro il 
    cancro.
Durante questo periodo (1977-1979) Harris e io venimmo a 
    sapere che molti altri malati di cancro fumavano marijuana per lo stesso 
    motivo. La maggior parte di loro aveva imparato a farlo dal proprio medico, 
    che poteva dare soltanto cenni e suggerimenti e raramente era dIsposto a 
    discutere l'argomento in modo aperto ed esauriente. I medici non potevano 
    prescrivere legalmente la droga ai loro pazienti, né controllare l'uso che 
    essi ne facevano, tuttavia potevano prescrivere farmaci chemioterapici 
    altamente tossici, narcotici che provocano pericolose assuefazioni e 
    trattamenti con radiazioni. Ricordo di aver pensato quanto tutto ciò fosse 
    pazzesco. Dal 1979, quando Harris è morto, ho avuto tempo di riflettere 
    sulla grettezza di una legge che lo ha privato del suo diritto di ottenere 
    l'unica sostanza che effettivamente gli dava sollievo dalla nausea e dal 
    vomito. lo mi turbo, poi mi arrabbio quando mi accorgo che ad altri 
    malati di cancro si sta negando questo sollievo. Penso alle persone più 
    anziane che potrebbero non sapere dove trovare la marijuana o potrebbero 
    essere troppo spaventate all'idea di fumare una droga illegale senza stretta 
    supervisione medica. E penso ai bambini e agli adolescenti i cui genitori 
    devono affrontare una scelta straziante: violare la legge o assistere alla 
    sofferenza di loro figlio.2.1.3 4a Testimonianza - mesotelioma addominale
  
    
  
Ogni malato di cancro sopravvissuto a 
    simili cure intensive (a dire il vero, chiunque abbia sostenuto accanite 
    battaglie mediche contro qualsiasi malattia) conosce in prima persona 
    l'enorme importanza del "fattore psicologico". Si dà il caso che io sia un 
    razionali sta di vecchio stampo, come oggi non se ne trovano più. Non 
    sopporto il misticismo né le sciocchezze romantiche californiane sul potere 
    della mente e dello spirito. Presumo che un atteggiamento positivo e 
    l'ottimismo abbiano effetti salutari in quanto gli stati d'animo possono 
    alimentare il corpo attraverso il sistema immunitario. In ogni caso penso 
    che chiunque riconoscerebbe un ruolo importante alla resistenza dello 
    spirito attraverso le avversità; quando la mente viene meno, troppo spesso 
    il corpo la segue. (E se il risultato finale non è la guarigione, la qualità 
    della vita che rimane da vivere diventa, se mai, ancora più 
    importante.)
Niente è più scoraggiante e più distruttivo verso la 
    possibilità di un simile atteggiamento positivo -e qui parlo veramente per 
    esperienza personale -dei gravi effetti collaterali prodotti da una terapia 
    così articolata. Radiazioni e chemioterapia sono spesso accompagnate da 
    lunghi periodi di nausea intensa e incontrollabile. La mente comincia ad 
    associare l'agente della possibile cura con gli aspetti di gran lunga 
    peggiori della malattia, dato che il dolore e la sofferenza dovuti agli 
    effetti collaterali sono spesso peggiori del disagio causato dal tumore 
    stesso. Quando ciò accade, l'indispensabile carica psicologica e la fiducia 
    possono venir meno, in quanto la cura sembra peggiore della malattia stessa. 
    In altre parole, sto cercando di dire che il controllo dei gravi e duraturi 
    effetti collaterali nella cura del cancro non è semplicemente una questione 
    di benessere (anche se Dio solo sa che il conforto alla sofferenza è già di 
    per sé una buona ragione), ma un ingrediente assolutamente essenziale per la 
    possibilità di una guarigione.
Ho cominciato con la chirurgia, 
    seguita da un mese di radiazioni, chemioterapia, ancora chirurgia, e poi un 
    anno di chemioterapia addizionale. Mi accorgevo di essere in grado di 
    contenere le formee meno gravi di nausea da radiazioni per mezzo dei farmaci 
    convenzionali. Ma quando cominciai la chemioterapia endovenosa 
    (Adriamycin@), assolutamente nulla nell'arsenale degli antiemetici 
    disponibili aveva alcun effetto. Ero molto a terra e arrivai a temere le 
    frequenti cure con un'intensità quasi perversa.
Avevo sentito dire 
    che la marijuana spesso funzionava bene contro la nausea. Ero riluttante a 
    provarla perché non ho mai avuto l'abitudine di fumare alcuna sostanza (e 
    non sapevo nemmeno come fare ad aspirare). Oltretutto avevo provato la 
    marijuana due volte (nel solito contesto adolescenziale degli anni '60) e 
    l'avevo detestata. (Sono in un certo senso un puritano in materia di 
    sostanze che, in qualunque modo, offuschino o alterino gli stati mentali, in 
    quanto valuto la mia mente razionale con una presuntuosa arroganza da 
    accademico. Non bevo mai alcolici e non ho mai fatto uso di droghe a scopo 
    "ricreativo".) Ma avrei fatto qualunque cosa pur di evitare la nausea e il 
    perverso desiderio di mettere fine alla cura che la nausea suscitava. Il 
    resto della storia è breve e dolce. La marijuana agì come un 
    incantesimo. Non mi piaceva l'effetto "collaterale" dell'offuscamento 
    mentale (l'effetto "principale" per chi ne fa uso ricreativo), ma la pura 
    beatitudine di non provare nausea -e quindi di non doveri a temere per tutti 
    i giorni tra una seduta e l'altra -è stata la più grande iniezione di 
    ottimismo che abbia ricevuto in tutto un anno di cure, e sicuramente ha 
    avuto un effetto di primaria importanza sulla mia guarigione finale. Va al 
    di là della mia comprensione (e immagino di essere in grado di comprendere 
    un sacco di cose, tra le quali molte sciocchezze) che un essere umano possa 
    negare una sostanza così benefica alle persone che ne hanno un così grande 
    bisogno solo perché altre persone la usano per scopi diversi.
Nel 1979, Alfred 
  Chang dell'istituto nazionale dei tumori studiò quindici pazienti con cancro 
  al midollo osseo, paragonando gli effetti antiemetici del delta-9-THC in 
  pillole e in sigarette e dei corrispondenti placebo. Furono i pazienti stessi 
  ad assumere il ruolo di soggetti di controllo. L'efficacia del THC nel 
  contenere nausea e vomito risultò evidente. Il 72% dei pazienti accusò nausea 
  e vomito dopo aver preso un placebo. Quando la concentrazione di THC nel 
  sangue era bassa, il 44% soffri"ra di nausea e vomito; per concentrazioni 
  moderate, solo il 21 % era nauseato e vomitava; per concentrazioni piuttosto 
  alte, questo succedeva solo a un 6%. Quindi l'efficacia del THC risultò 
  dipendere da quanto ne viene assorbito dal sangue, e gli autori dell 'indagine 
  furono in grado di dimostrare che il THC da
fumare viene assimilato in modo 
  più regolare.
La maggior parte dei pazienti preferisce le sigarette di 
  marijuana al THC in pillole, che li rende ansiosi e li mette a disagio. Una 
  ragione sta nella difficoltà nel valutare la dose di THC da assumere per via 
  orale in modo da dosare la quantità che raggiunge il sangue e il cervello. 
  Un'altra possibilità, suggerita da un gruppo di ricercatori peruviani, è che 
  il cannabidiolo, una delle molte sostanze contenute nel fumo della marijuana, 
  riduca gli stati ansiosi provocati dal delta-9-THC.4 Perciò la marijuana può 
  essere sia più efficace, sia più tranquillizzante del THC in pillole. Abbiamo 
  già osservato che i pazienti inclusi nei programmi statali dei primi anni '80 
  la preferivano in modo quasiplebiscitario.
Nella primavera del 1990 
  due ricercatori hanno scelto a caso i nomi di più di duemila membri della 
  società americana di oncologia clinica (un terzo degli iscritti), cui hanno 
  inviato un questionario anonimo per conoscere le loro opinioni sull 
  'uso della cannabis nella chemioterapia delle neoplasie. Quasi metà dei 
  destinatari ha risposto. Nonostante gli autori dell'indagine riconoscano 
  che questo gruppo si è auto selezionato e che l'attendibilità statistica dei 
  dati può risentire di questo fatto, i loro risultati rappresentano una 
  stima approssimativa delle opinioni degli specialisti sull'uso del Marinol e 
  delle sigarette di marijuana.
Tra gli oncologi che hanno rispedito il 
  questionario compilato, solo 43% ha dichiarato che i farmaci antiemetici 
  legalmente disponibili (tra i quali il THC sintetico da assumere per via 
  orale) offrono un sollievo adeguato a tutti o alla maggior parte dei loro 
  pazienti, e meno del 46% ha affermato che gli effetti collaterali di questi 
  farmaci sono un problema serio solo per pochi. Il 44% ha raccomandato l'uso 
  illegale di marijuana ad almeno un paziente; il 50% la prescriverebbe ad 
  alcuni pazienti se fosse legale. In media, considerano la marijuana più 
  efficace del THC sintetico e, in linea di massima, altrettanto poco 
  pericolosa.
Un effetto nefasto dell'illegalità della marijuana è 
  che i pazienti sottoposti alla chemioterapia spesso devono imparare a fame uso 
  per conto loro. Non è semplice come prendere una pillola; può richiedere una 
  certa preparazione, sia per ottenere gli effetti desiderati, sia per evitare 
  quelli indesiderati. Persino gli oncologi che prescrivono la marijuana con 
  tranquillità generalmente ignorano la questione. I pazienti possono provare 
  ansia o addirittura qualche forma di paranoia, pecialmente se non sanno cosa 
  aspettarsi o non sono in grado di valutare le dosi. Gli effetti psicoattivi 
  dovrebbero essere descritti con cura, in modo che i pazienti non vengano presi 
  di sorpresa. Molti avranno bisogno anche di qualche spiegazione sugli aspetti 
  pratici del fumare. Quando la marijuana diventerà una cura medica accettata 
  contro la nausea e il vomito, pochi pazienti incontreranno difficoltà o disagi 
  nel farne uso.2.2 Glaucoma
  
    Oggi sul glaucoma si interviene 
  principalmente con colliri contenenti beta-bloccanti, che inibiscono 
  l'attività della epinefrina (adrenalina). Sono farmaci molto efficaci ma 
  possono comportare seri problemi collaterali; possono indurre depressione, 
  aggravare l'asma, ridurre la frequenza del battito cardiaco e far aumentare il 
  rischio di infarto. Paradossalmente, anche i colliri a base di epinefrina 
  possono essere efficaci nella cura del glaucoma, ma possono irritare la cornea 
  e aggravare ipertensione e disturbi cardiaci. I miotici (farmaci che provocano 
  la contrazione della pupilla), come la pilocarpina, vengono anch'essi 
  prescritti per la cura del glaucoma, sebbene più raramente che in passato. 
  Sono generalmente innocui per l'apparato circolatorio, il sistema respiratorio 
  e l'apparato digerente, ma possono causare offuscamento della vista, 
  indebolimento della visione notturna e cataratta. Ai pazienti possono essere 
  sommil1istrate anche delle pillole che contengono un inibitore dell'anidrasi 
  carbonica, che riduce la produzione di umore acqueo. Gli inibitori 
  dell'anidrasi carbonica possono indurre perdita di appetito, nausea, diarrea, 
  mal di testa, torpore e formicolio, depressione ed esaurimento, calcoli renali 
  e, raramente, una malattia del sangue che può condurre alla morte. II 50% dei 
  malati di glaucoma non riesce a sopportare gli effetti collaterali di questi 
  farmaci.
    La proprietà della marijuana di 
  ridurre la pressione intraoculare è stata scoperta casualmente durante un 
  esperimento condotto all'Università della California di Los Angeles per 
  stabilire se la cannabis inducesse dilatazione della pupilla, come credevano 
  al Dipartimento di Polizia di Los Angeles. La polizia sosteneva che questa 
  presunta dilatazione (assieme ad altri indizi, tra i quali il pallore delle 
  labbra e la presenza di una patina verde sulla lingua) fosse un segno di 
  ebbrezza da marijuana e pertanto un buon motivo perché un cittadino venisse 
  arrestato o ricercato. Le persone che si sottoposero all'esperimento erano 
  normali volontari che fumavano marijuana coltivata dal governo. I loro occhi 
  vennero fotografati mentre fumavano e si osservò che le pupille si 
  restringevano leggermente anziché dilatarsi. Un esame oculistico dimostrò che 
  la cannabis riduceva anche la lacrimazione (i consumatori di marijuana hanno 
  spesso affermato di poter affettare le cipolle tranquillamente sotto l'effetto 
  della droga) e la pressione intraoculare. Esperimenti successivi hanno 
  evidenziato un effetto analogo sui malati di glaucoma. La marijuana riduce la 
  pressione intraoculare per un periodo, in media, dalle quattro alle cinque 
  ore, senza "alcuna indicazione di effetti deleteri... sulla funzione visiva o 
  sulla struttura oculare". Sotto l'effetto della marijuana, le pupille 
  rispondono normalmente alla luce; l'acutezza visiva, la rifrazione e la 
  visione periferica, binoculare e dei colori non vengono alterate. I 
  ricercatori hanno concluso che la marijuana può essere più utile dei farmaci 
  convenzionali e probabilmente agisce in modo diverso. Questa conclusione è 
  stata dimostrata da esperimenti successivi su uomini e 
  animali.
    L'effetto sulla pressione intraoculare 
  si manifesta quando la marijuana viene fumata o il THC viene assunto per via 
  orale. In un esperimento, diciannove pazienti hanno fumato marijuana per 
  trentacinque giorni e altri ventinove l'hanno fumata per novantaquattro giorni 
  senza sviluppare né tolleranza verso l'effetto della marijuana sulla pressione 
  intraoculare, né deterioramento della vista. Diversi studi su animali hanno 
  dimostrato che la cannabis agisce anche quando viene applicata localmente 
  (cioè in gocce sull'occhio). Questo è importante, in quanto l'applicazione 
  locale ha effetti psicologici molto minori ed è più accettabile per gli 
  oftalmologi. Sfortunatamente, i preparati della cannabis adatti 
  all'applicazione locale sugli esseri umani non sono stati ancora messi a 
  punto.2.2.1 1a Testimonianza - glaucoma terminale Robert Randal
  
    
  
Ho fumato la mia prima sigaretta di marijuana il giorno in cui 
    Richard Nixon fu eletto Presidente. Jerry Ford era Presidente quando fumai 
    il mio primo spinello legale, "a scopo di ricerca". Jimmy Carter fu eletto 
    parecchi giorni prima che io uscissi da un ospedale di Washington, D.C., 
    portando con me la prima, moderna prescrizione di marijuana per uso medico 
    degli Stati Uniti. Ho continuato a fumare nella legalità durante gli anni di 
    Reagan, uscendo indenne dalla demenziale "guerra alla droga". Ora il 
    Presidente è George Bush. lo fumo ancora legalmente la marijuana a scopo 
    medico e, come conseguenza, godo ancora della mia vista.
I miei 
    trampolini di lancio verso l'erba matta sono stati l'alcol e il tabacco. Ho 
    cominciato a fumare tabacco perché volevo fumare le canne e avevo bisogno di 
    impratichirmi ad aspirare. Una scelta puramente economica; il tabacco allora 
    costava due centesimi a sigaretta. La mari juana, al confronto, era 
    tremendamente costosa: dai quindici ai venti dollari l'oncia per della roba 
    veramente buona. Sono rimasto agganciato alla dolce nicotina fin dalla mia 
    prima siga
retta - un'attrazione dalla quale devo ancora svincolarmi. La 
    marijuana, naturalmente, era profondamente diversa. Era di gran lunga meno 
    pericolosa, non dava dipendenza, ed era illegale. A differenza di molti 
    fumatori alla loro prima esperienza, rimasi fulminato. Quando chiusi gli 
    occhi vidi luminose instantanee Kodachrome, diapositive mentali ViewMaster, 
    nelle quali i buoni amici che avevo intorno sembravano veramente molto 
    felici. L'erba mi stava dicendo che io avevo bisogno dei benefici che essa 
    poteva offrirmi: così, in un'altra cultura, si sarebbe potuto interpretare 
    questo fatto. Mi piaceva molto, la marijuana.
Era uno spasso.
La 
    mia vita subiva cambiamenti sottili, ma pervasivi. Per prima cosa, 
    un'alternanza di stimoli sensoriali. Sbronza party frenetici e 
    mostruosamente rumorosi che coinvolgevano moltitudini di persone ubriache 
    fradice venivano sostituiti da tranquille serate durante le quali sedevo 
    nella penombra all'interno di un piccolo cerchio di amici intimi -tutti 
    quanti cospiratori contro l'Impero -ad ascoltare rock duro suonato a un 
    volume abbastanza basso da non destare sospetti, con un asciugamano cacciato 
    sotto la porta per evitare di stare in apprensione.
Ho attraversato 
    gli anni del college su nuvole di cannabis, mi sono laureato presto e ho 
    intrapreso un master. Nessun problema in ambiente accademico. La maggior 
    parte dei miei amici fumava. Mi piaceva fumare marijuana in gruppo o da 
    solo, imparavo a prendere gusto alle caratteristiche tutto d'un tratto 
    plastiche del pensiero. Il salto che la marijuana fa compiere, dalla 
    consequenzialità iper-lineare all'universo dei pensieri interconnessi in 
    modo casuale e delle associazioni ottuse, mi incantava. McLuhan diventa va 
    comprensibile. Infine, quando fumavo marijuana vedevo più chiaramente. Non 
    sto parlando di illuminazioni. Sto parlando della vista. Del vedere. Fin da 
    quando avevo circa sedici anni le mie serate erano state infestate da 
    apparizioni: aloni tricolori che andavano e venivano, un piccolo problema di 
    vista. Alcune sere mi capitava di diventare cieco di una cecità bianca, con 
    la vista intrappolata in un vortice di illuminazione assoluta -il vuoto 
    bianco. Mi risultava che questi problemi fossero trascurabili in quanto i 
    miei medici, quando ne avevo parlato con loro, mi avevano detto che la cosa 
    avrebbe potuto essere grave se fossi stato più vecchio. Ma, siccome ero 
    troppo giovane perché la cosa fosse grave, doveva trattarsi di 
    "astenopia".
Tutta un'accurata analisi. Se loro non erano 
    preoccupati, perché avrei dovuto esserlo io? Tanto più che la marijuana 
    rilassava la mia "astenopia ". Niente di strano. La marijuana rilassa quasi 
    ogni cosa: la mente, il corpo, l'anima. Quel tic cronico nel collo. E allora 
    perché non anche l'astenopia?
Senza la marijuana, che leniva la mia 
    "astenopia", probabilmente non sarei riuscito a completare il mio 
    master.
Dopo aver ricevuto il titolo nel 1971, mi trasferii a 
    Washington per scrivere discorsi appassionanti per gli uomini politici, e 
    finii per lavorare come tassista. Mi piaceva guidare il taxi. Molto 
    istruttivo. Niente capi. Decidi tu quante ore fare. Avevo anche smesso di 
    fumare marijuana. Siccome mi trovavo in una città nuova, circondato da gente 
    nuova, avevo pochi amici e nessun accesso... nessuno spacciatore.
Una 
    sera d'estate del 1972, chiusi l'occhio sinistro e scoprii che non riuscivo 
    a leggere dall'occhio destro. Anziché lettere chiaramente definite, vedevo 
    un guazzabuglio di inchiostro nero spruzzato sulla pagina bianca. Non 
    importava quanto mi avvicinassi al testo, che rimaneva indecifrabile, 
    incoerente, alieno. Qualcuno mi diede il nome di un buon oftalmologo. Mi 
    visitò il pomeriggio seguente. Avevo ventiquattro anni.
Benjamin 
    Fine, dottore in Medicina, uno dei migliori patologi oculari della nazione, 
    effettuò una serie di analisi.
Gli raccontai dei miei aloni e della 
    cecità bianca. Il suo assistente mi sottopose al mio primo esame del campo 
    visivo. Alla fine il dottore mi chiamò nel suo studio privato. C'era 
    qualcosa di sinistro nei suoi modi. Chiaramente, non c'erano buone 
    notizie.
Il dottor Fine disse "Ragazzo, tu hai un male molto grave che si 
    chiama glaucoma. La tua vista ha già subito una quantità di danni e.. ." 
    .
"Quanto?"
Colpito dalla mia immediatezza, rispose a tono: "Nella 
    migliore delle ipotesi, potrai vedere ancora per tre, magari cinque anni. 
    Hai perso la maggior parte delle capacità visive da entrambi gli occhi. Il 
    tuo occhio destro non ha visione centrale, visione per la lettura, niente. 
    Nell'occhio sinistro hai solo una piccola isola di tessuto sano. È per 
    questo che riesci a leggere. La pressione in entrambi gli occhi è sopra il 
    quaranta. Dovrebbe essere sotto il venti. Sei in un guaio molto, molto 
    serio. Diventerai cieco".
La chirurgia era pericolosa, specialmente 
    per qualcuno che, come me, avesse subito un danno già tanto avanzato. 
    C'erano buone probabilità che la chirurgia avrebbe distrutto i piccoli 
    frammenti di tessuto ottico sano che ancora mi rimanevano.
"Mi 
    dispiace, ragazzo. Faremo del nostro meglio, ma non possiamo fare molto. 
    Diventerai cieco." Sembrava logorato. Il dottor Fine mi somministrò 
    della pilocarpina in entrambi gli occhi, mi prese per le spalle, mi chiese 
    se stavo bene, mi diede una pacca sulla schiena e mi fece uscire 
    accompagnato dalle fatidiche parole: "Vivi la tua vita come hai sempre 
    fatto... ". I pazienti sanno bene come finisce questa temuta frase, "perché 
    non potrai farlo ancora per molto tempo".
Complessivamente scosso da 
    quell'incontro ricco di cattivi auspici per il futuro della mia vita, scesi 
    vagando fino al pianoterra, salii sul mio taxi e mi accorsi che non riuscivo 
    a vedere al di là del cruscotto. La pilocarpina, un miotico, provoca una 
    forte miopia momentanea. Guidai nel traffico cittadino dell'ora di punta 
    basandomi sulla memoria e sul riverbero della luce del sole sulle auto 
    davanti a me.
Non tenni conto di quell'invito esplicito a cadere in 
    una depressione che mi avrebbe debilitato. Riuscivo ancora a vedere, a 
    leggere, a godermi dolcemente tutte le tinte e le tonalità della natura. 
    Finché, naturalmente, non mi mettevo negli occhi la mia Pilo [pilocarpina], 
    che mi era stata prescritta di recente e che riduceva in breve tempo la mia 
    visuale a rimasugli di forma mal definita. Il mio primo contatto con il 
    mondo straordinariamente contorto della farmacologia contro il 
    glaucoma.
Il tentativo di preservare la vista per via medica, 
    impiegando farmaci che inducono una cecità funzionale, origina quella che i 
    medici chiamano sdegnosamente "mancanza di collaborazione da parte del 
    paziente". Vale a dire che, se ci tenevo molto a vedere un film, smettevo di 
    prendere la Pilo, mi scrollavo di dosso la miopia causata dal farmaco e mi 
    godevo il film. Perderai pure un po' della tua vista, ma almeno sei al 
    cinema.
Il glaucoma e la sua terapia mi introdussero in realtà di un 
    altro ordine di grandezza e ben più drammatiche. La Pilo e la guida non 
    vanno d'accordo. Entro una settimana dalla diagnosi avevo perso il mio taxi 
    e il mio lavoro. Giudicato "disabile", approdai all'assistenza sociale, una 
    tutela inattesa da parte dello Stato. Stava diventando una cosa molto 
    seria.
A distanza di settimane dalla diagnosi la mia prescrizione di 
    Pilo raddoppiò, raddoppiò ancora, triplicò, quadruplicò.
A distanza di 
    mesi si aggiunse l'epinefrina. L'Epi mi faceva battere forte il cuore e 
    faceva dilatare le pupille, lasciando entrare un tale flusso di fotoni che 
    avevo la sensazione di annegare nella luce. Poi venne il Diamox [un 
    inibitore della anidrasi carbonica], una pillola, un diuretico.
Una pena 
    tremenda. Tutti i sapori ne venivano alterati. Alla fine, vista la 
    situazione disperata, anche lo ioduro di fosfolina, un collirio ricavato da 
    un gas nervino della Seconda guerra mondiale, fu aggiunto al miscuglio. 
    Questo bombardamento farmaceutico mi lasciò con gli occhi offuscati, 
    disfunzionalmente miope, fotofobico, estremamente fiacco e con un dolore 
    cronico alla schiena (per la calcificazione dei reni). I rigorosi controlli 
    medici sulla mia elevata pressione intraoculare (IoP), tuttavia, rimane vano 
    ambigui. La pur rapida escalation del mio consumo di farmaci tossici fu 
    sorpassata dal carattere dinamico del mio glaucoma. I campi visivi 
    continuavano a restringersi. Nonostante usassi tutti gli agenti farmaceutici 
    disponibili, le mie serate erano sistematicamente visitate dagli aloni 
    tricolori, il segnale di una pressione oculare al di sopra dei 35 mm Hg 
    [millimetri di mercurio]. Alle volte gli aloni si presentavano in sordina. 
    Altre sere apparivano come duri anelli di cristallo che si sprigionavano da 
    ogni sorgente luminosa. E poi c'erano notti, neanche tanto rare, di cecità 
    bianca -il mondo reso invisibile dalla sua luminosità. Traduzione clinica: 
    pressione oculare al di sopra dei 40 mm Hg. Per riassumere, le cose non 
    stavano andando molto bene.
Poi qualcuno mi offrì un paio di 
    spinelli. Dolce erba!
Quella sera mi preparai la cena e mangiai, poi mi 
    misi a guardare la televisione. Arrivarono i miei aloni tricolori, che 
    rendevano meno interessante guardare la TV. Allora misi su un po' di buona 
    musica, smorzai le luci troppo forti, che mi urtavano, e mi misi a fumare 
    con un certo impegno. Mi capitò di guardare, fuori dalla finestra, un 
    lampione lontano e mi accorsi che mancava qualcosa. Niente aloni. È stato 
    allora che ho avuto, in tutto il suo splendore, l'esperienza 
    omnidimensionale della lampadina da cartone animato in technicolor. In un 
    istante trascendente le sfere celesti parlavano! Era così semplice. I vecchi 
    messaggi in un nuovo contesto. Fumi una canna e l'astenopia ti passa. La 
    ganja è la cosa giusta per te.
Di sicuro fu divertente, ma nello 
    stordimento da medicinali della mattina miotica seguente mi rimproverai quel 
    trasporto precipitoso e ricominciai da zero ad analizzare la mia situazione. 
    Il mio intelletto ben educato e acutamente spassionato non era tenero. 
    "Siamo analitici", disse il mio emisfero sinistro. Fatti forza, la 
    situazione non è piacevole. Questa povera anima sovraffaticata che non vuole 
    accettare l'ammasso di orrori di quella che è diventata la "vita reale", 
    mette mano a della marijuana veramente buona. Si fuma un paio di spinelli e 
    si sconvolge un po'. OK, abbiamo accertato che non ci sta più con la testa. 
    Nella disperazione e in assenza di speranze, si immagina che la marijuana 
    gli potrà "salvare la vista".
Ma siamo matti? La risposta è ovvia, 
    no? Date queste premesse, chi non vorrebbe credere che qualcosa di mistico, 
    di magico, di misterioso e di proibito lo salverà dal pozzo delle tenebre 
    eterne? L'idea che un 'erba proibita dalla legge e non disponibile come 
    medicina -una pianta che si fuma per puro piacere, per divertimento 
    -"salverà la tua vista" è strampalata e avventata; una teoria tirata per i 
    capelli, improbabile e patetica, che solo un pazzo potrebbe concepire. Così 
    cominciarono sei mesi di osservazione cinica. Sei mesi di semplici prove e 
    controprove. Alla fine, la conclusione è stata ineludibile. Senza la 
    marijuana c'erano gli aloni e le notti di cecità bianca. Quando fumavo 
    marijuana, non c'erano aloni. Ne emerge un modello? Potete scommetterci. 
    Se guardavo molto attentamente, in effetti riuscivo a osservare gli aloni 
    che se ne andavano. 
Non si poteva sfuggire alle numerose evidenze di un 
    beneficio riproducibile.
Così accettai l'idea che un'erba illegale e 
    proibita come medicina potesse aiutarmi a non diventare cieco. E adesso? 
    Magari corro a raccontare la rivelazione che ho avuto grazie alla marijuana, 
    e che naturalmente è di potenziale beneficio per milioni di esseri umani con 
    lo stesso tipo di afflizione, al simpatico dottor Ben Fine, prestigioso 
    patologo oculare, veramente una bravissima persona ammodo di mezza età? Sì, 
    come no? Ma neanche per idea! È un bravo dottore. Mi piace. È onesto. Ma non 
    apprezzerebbe le mie notizie. Ci sono di mezzo questioni mediche. E, 
    naturalmente, problemi legali. Di pratiche illecite, o peggio. Se il dottor 
    Fine ne viene a conoscenza ma non va a parlarne con la polizia, diventa un 
    complice del mio crimine? Un co-cospiratore?
"Dottor Canna arrestato!" La 
    sua carriera rovinata.
Ma se non il mio dottore di fiducia, chi 
    allora? Potrei raccontarlo ai burocrati della droga? Ma certo! "La marijuana 
    può essere la cosa giusta per te!" È proprio il genere di buona notizia che 
    quegli ostinati fanatici antidroga muoiono dalla voglia di sentire. In 
    questo modo ben poco sottile, la paura -la paura causata dalla proibizione 
    pervade ogni dialogo sull'impiego medico della marijuana, dividendo i 
    pazienti dai medici, dagli altri pazienti, dal governo. Sei isolato. È una 
    cosa da non augurarsi neanche nel momento migliore, nella migliore delle 
    situazioni. 
Quando poi sei giovane e stai per diventare cieco, 
    l'impossibilità di condividere delle informazioni così vitali con il medico 
    che ti ha in cura o con altre persone che potrebbero trame vantaggio diventa 
    assolutamente tremenda. Così iniziò un periodo di obiettivi minimi. Continua 
    a fumare, tieni la bocca chiusa, e continua a vederci. La vista è 
    reale.
Tutto il resto è politica.
Il dottor Fine, benché 
    disorientato dall'improvviso miglioramento delle mie condizioni, fu molto 
    contento dei risultati. I miei campi visivi in continua erosione si 
    stabilizzarono. La mia lenta discesa nelle tenebre rallentò, poi si arrestò. 
    Mentre il mio glaucoma diventava gestibile dal punto di vista medico, altri 
    aspetti della vita cominciavano ad andare a posto. Mi svincolai 
    dall'assistenza sociale e intrapresi un lavoro part-time come insegnante in 
    un college della zona.
Anche lasciando da parte gli incontri spiacevoli 
    con personaggi della malavita, la marijuana illegale è spaventosamente 
    costosa, assolutamente deregolamentata e non sempre disponibile. Per far 
    fronte all'incertezza di un rifornimento adeguato, feci quello che molti 
    malati tuttora fanno.
Cominciai a coltivare un po' di 
    marijuana.
Nel 1974 provai a far crescere la cannabis in casa, solo 
    per vedere voraci squadroni di acari che consumavano con euforia tutto il 
    mio raccolto. La primavera seguente due piccole piante di marijuana -nate da 
    semi fatti cadere involontariamente l'anno prima -spuntarono tra le tavole 
    della mia veranda. Ripiantammo i semi in vaso, ne piantammo qualcun altro in 
    più, e poi rimanemmo a guardare la 
natura che faceva il resto, Entro 
    la metà dell'estate ricevemmo la benedizione di splendide piante di 
    marijuana alte un metro e ottanta. Le cose mi stavano andando di lusso. La 
    mia vista era stabile. Avevo un lavoro. Avevo riscoperto il piacere delle 
    piccole cose. Alice era venuta a vivere da me. Di lusso. Quelli furono gli 
    ultimi giorni tranquilli della mia vita.
Mentre eravamo in vacanza 
    nell'Indiana, gli sbirri della narcotici della zona fecero una perquisizione 
    in casa mia e sequestrarono le mie piante di marijuana alte un metro e 
    ottanta. Al ritorno trovai sul tavolo della cucina un certificato con un 
    messaggio scarabocchiato sul retro che mi sollecitava ad andare a 
    costituirmi. Allora non potevo saperlo, ma essere arrestato fu quasi la cosa 
    migliore che avrebbe potuto succedermi. Il mio arresto mi "salvò la vista 
    ".
Quando dissi ai miei avvocati che fumavo marijuana per curare il 
    mio glaucoma, pensarono che fosse un'affermazione demenziale. Quando si 
    accorsero che non stavo scherzando, smisero di ridere solo per il tempo 
    strettamente necessario a chiedermi di dimostrarglielo. Parlai con Keith 
    Stroup, capo della National Organization for the Reform of Marihuana Laws. 
    Keith non si mise a ridere.
Invece, mi spiegò in modo dettagliato che non 
    avevo speranze. Comunque, mi diede qualche numero di telefono e mi suggerì 
    di provare a chiamare. Così telefonai a vari uffici della burocrazia 
    federale. Inutile dire che rimasi allibito quando almeno tre funzionari 
    mi dissero senza esitazioni: "Sì, sappiamo che con la marijuana si cura il 
    glaucoma. Abbiamo un sacco di dati che dimostrano... ". Lo sapevano! Lo 
    sapevano e non si erano presi la briga di dirmelo. Lo sapevano, ma non 
    volevano che nessun altro lo sapesse. Ricordate, tutto questo nel 1975, 
    non ieri.
Di fronte alla scelta tra esercitare un proibizionismo 
    cinico, radicato e assoluto, di stampo cattolico, o rispondere onestamente 
    all'urgente bisogno di cure da parte di numerosi cittadini malati e in 
    condizioni disperate, i burocrati della droga avevano scelto, naturalmente, 
    la via dell'inganno per tenere in piedi la truffa istituzionale del cui 
    segreto erano gelosi custodi. Questa è la ragione per cui i burocrati di 
    tutto il mondo sono così amati dai cittadini per cui 
    lavorano.
Dimostrare chela marijuana riduce la pressione intraoculare 
    non è difficile. Il governo, il mio governo, era perfettamente consapevole 
    degli effetti benefici della marijuana sul glaucoma fin dall'inizio del 
    1971. La marijuana è un problema politico, non una semplice questione 
    medica. D'altronde, non si fanno grossi profitti coltivando erbe medicinali. 
    I mandarini della medicina che controllano il National Eye Institute (NEI) 
    non volevano essere coinvolti. Anche loro avevano paura. Finanziare una 
    ricerca poteva nuocere. Quando chiesi aiuto, il NEI rifiutò di condurre 
    qualsiasi esperimento con la marijuana perché avrei potuto voler usare quei 
    dati in tribunale. I più importanti specialisti del paese erano 
    politicamente ortodossi e molto contrari alla marijuana. Del resto, dicevano 
    i dottori con aria pensierosa, non potresti comunque fare uso di marijuana. 
    La marijuana fa "andar fuori" la gente. E noi tutti sappiamo quale minaccia 
    per la vita possa essere l'euforia.
Alla fine fui sottoposto a due 
    esperimenti medici altamente controllati. Il primo, condotto all'istituto 
    oculistico Jules Stein della UCLA, richiese la mia incarcerazione in un 
    reparto psichiatrico per tredici giorni di osservazione ininterrotta. 
    Capitai nel bel mezzo di un progetto di ricerca già in corso, che 
    coinvolgeva sei soggetti sottoposti a ricerche "di routine"; a costoro 
    veniva somministrato del puro THC sintetico -una copia artificiale del 
    principio chimico della marijuana che maggiormente altera lo stato mentale. 
    I ricercatori della UCLA non si limitarono semplicemente a confermare che la 
    marijuana riduceva la mia pressione intraoculare. Scoprirono che la mia 
    malattia non poteva essere curata usando le medicine convenzionali contro il 
    glaucoma. Ridotto a poter usare solo quei farmaci sarei diventato cieco, 
    proprio come il dottor Fine aveva predetto. Provarono su di me il THC 
    sintetico [Marinol]. Che farmaco scadente, risibile! Lo stato di euforia 
    provoca ansia. Gli effetti terapeutici, quando ce ne sono, sono minimi, 
    transitori, imprevedibili. Ma il THC viene somministrato in pillole. I 
    burocrati, i ricercatori e i dottori sanno come rapportarsi alle pillole. 
    Inoltre, sappiamo tutti che così non dovresti fumare. Alla fine, la UCLA 
    stabilì che la marijuana non era soltanto benefica; era cruciale affinché io 
    potessi continuare a vedere.
OK. È dimostrato. Andiamo in tribunale. 
    Ero pronto, ma i miei ansiosi avvocati cospirarono con un dottor Fine 
    oppresso dall'ansia ancor più di loro per costringermi a un secondo esame di 
    verifica. Alle Idi di marzo del 1976, un secondo esperimento molto meno 
    divertente fu condotto all'istituto oculistico Wilmer, della Johns Hopkins 
    University, dove passai sei dei giorni più penosi della mia esistenza. I 
    medici del Wilmer avevano ricevuto dal dottor Fine precise istruzioni perché 
    si trovasse una soluzione convenzionale. Lui non voleva testimoniare in 
    tribunale.
Allora riversarono su di me ogni farmaco per il glaucoma che 
    figurasse nel catalogo. Aggirandomi per la biblioteca medica, fui allarmato 
    dalla quantità di effetti collaterali che risultano comunissimi tra i 
    consumatori cronici di medicinali contro il glaucoma. Un breve elenco 
    includeva cataratta, calcoli renali, ulcera gastrica, esantema, febbre, 
    stati confusionali, improvvisi sbalzi di umore, ipertensione, insufficienza 
    renale, respiratoria o cardiaca, e infine la morte. I medici dell'istituto 
    oculistico Wilmer, nonostante la loro gioia apparentemente perversa 
    nell'espormi agli effetti di farmaci altamente tossici, non erano in grado 
    di fare una valutazione sulla marijuana. Non c'erano permessi da parte del 
    governo. Nessuna concessione. In mezzo a tanta meschinità, accadde un fatto 
    curiosissimo. Feci conoscenza con il mio compagno di stanza, un operaio di 
    cinquantatre anni della West Virginia che si chiamava Vince. Ci eravamo 
    appena incontrati, ci eravamo a malapena scambiati i saluti, che Vince 
    chiese "Hai mai provato della buona marijuana?". Se sono rimasto 
    sbalordito? Potete scommetterci. Pare che il vecchio Vince si fosse preso un 
    momento di pausa con un paio di suoi compagni del turno di notte e avesse 
    fumato erba per la prima volta in vita sua. Tombola! Vince si era accorto 
    che i suoi aloni andavano via. "Se mi potessi procurare abbastanza 
    marijuana, quant'è vero Iddio. non sarei qui",. disse Vince in tono 
    convincente. Due gIorni dopo vidi gli infermieri che portavano Vince, su un 
    lettino a rotelle, alla criochirurgia: un procedimento spaventoso, doloroso, 
    in cui si fa congelare, si uccide una parte dell'occhio nello sforzo di 
    ridurre la pressione oculare. Quella notte Vince gemette, in agonia; le dita 
    dei piedi gli si torcevano per il tormento. Dopo aver lasciato il Wilmer mi 
    tenni informato sulle condizioni di Vince per un bel po' di tempo. 
    L'intervento chirurgico che l'aveva mutilato non gli aveva giovato. Alla 
    fine, impossibilitato a "procurarsi abbastanza marijuana", Vince diventò 
    cieco.
Avevo fatto quasi quattro anni di terapia contro il glaucoma, 
    e Vince era il primo malato di glaucoma che avessi mai incontrato. E Vince 
    sapeva! Quanti altri sapevano? Alla fine del loro tormento farmaceutico, i 
    dottori del Wilmer ammisero con riluttanza il loro insuccesso. La diagnosi 
    della UCLA era corretta: in assenza di marijuana, la mia pressione oculare 
    era al di là della possibilità di controllo medico. Ignorando i dati del 
    UCLA sulla marijuana, i chirurghi del Wilmer raccomandarono un immediato 
    intervento chirurgico.
Che novità! Senza marijuana sarei diventato 
    cieco. Tutti erano d'accordo su questo. I medici del Wilmer, nel loro zelo 
    di eludere questo fatto, avevano raccomandato un procedimento chirurgico che 
    - il dottor Fine lo sapeva - mi avrebbe portato alla cecità. Alla fine 
    acconsentì a testimoniare in mia difesa. Chiamò in causa l'argomento più 
    importante: date le premesse, sarebbe stato contrario all'etica di un medico 
    proibirmi l'uso della marijuana. Il resto, come si suol dire, è storia. 
    Riassumendo in breve:
- nel maggio del 1976 feci richiesta agli 
    uffici federali competenti per ottenere immediata disponibilità di marijuana 
    dal governo;
- in luglio, al mio processo, invocammo l'attenuante legale 
    -mai sperimentata prima -della "necessità medica".Essenzialmente, un 
    semplice ragionamento per cui qualsiasi cristiano sano di mente che sta per 
    diventare cieco violerebbe la legge pur di salvare la propria vista;
- 
    nel novembre del 1976 i burocrati cedettero. Consegnarono un barattolo con 
    trecento sigarette di marijuana già rollate al mio nuovo dottore, John 
    Merritt della Howard University. In questo modo diventai il primo americano 
    ad aver ottenuto l'autorizzazione a fare uso di marijuana legale, sotto 
    supervisione medica;
- nello stesso mese, la Corte Suprema del District 
    of Columbia sentenziò che l'uso di marijuana da parte mia non era un 
    crimine, ma un fatto di "necessità medica".
Fu il primo caso in cui 
    l'enunciazione dell'attenuante della "necessità medica" ebbe buon esito 
    nella storia del diritto consuetudinario inglese.
Per tutto il primo anno 
    non potei fumare tranquillamente. Anzi, quel primo anno si trasformò in uno 
    scontro continuo. Parlo sul serio. I burocrati cercarono di dare un giro di 
    vite. Molto sgradevole. Il diffondersi della notizia aveva sconvolto i 
    burocrati: altri pazienti ora aspettavano aiuto.
All'inizio del 1978, i 
    funzionari federali si trovarono con le spalle al muro, presero di petto la 
    questione e troncarono i miei rifornimenti legali. Controbattei citandoli in 
    giudizio. Ventiquattro ore dopo che la causa era stata registrata, 
    pervenimmo a un accordo informale che è tuttora in vigore. Questo accordo mi 
    assicura una disponibilità di marijuana adeguata dal punto di vista medico 
    (e non per ricerca) per soddisfare le mie legittime necessità 
    terapeutiche.2.2.2 1a Testimonianza - glaucoma terminale Elvy Musikka
  
    
  
La 
    cecità non era una novità per me. Ero nata cieca a causa di una cataratta 
    congenita e avevo fatto il mio primo intervento chirurgico agli occhi quando 
    avevo cinque anni. La chirurgia di allora era molto diversa dalla chirurgia 
    al laser di oggi, ed ero rimasta con parecchio tessuto cicatriziale. Ho 
    portato degli occhiali molto spessi fino a quattordici anni circa, quando ho 
    fatto un intervento chirurgico all'occhio sinistro. Qualcosa andò storto e 
    da allora ho perso gran parte della vista da quell'occhio. Ma con 1/10 di 
    vista dall'occhio destro e con l'aiuto delle lenti a contatto ero andata 
    avanti abbastanza bene, fino a quella più recente scoperta.
Ero a 
    disagio al pensiero di fare uso di marijuana, una droga che, a causa delle 
    informazioni sbagliate che avevo ricevuto, ritenevo altrettanto pericolosa e 
    in grado di dare dipendenza quanto l'eroina. Per via della mia ansia, la 
    prima volta che la provai mi venne la nausea allo stomaco.
Oggi, 
    ripensando a quella situazione, la trovo particolarmente divertente poiché 
    ho scoperto che la marijuana è molto efficace nel prevenire e alleviare la 
    nausea. Ho scoperto anche che alcune persone, come del resto anch'io sulle 
    prime, cadono in uno stato di paranoia dopo aver consumato marijuana, ma 
    oggi mi chiedo se questo sia un effetto della pianta in sé o sia dovuto ai 
    miti di vecchia data sulla sua pericolosità. Non mi capita più di andare in 
    paranoia quando ne faccio uso -è forse possibile che questo sia un 
    indizio?
Quell'estate scoprii qualcosa di curioso. Un giorno mi 
    presentai dal dottore spaventata a morte, dato che il mio amico Jerry e io 
    avevamo passato la maggior parte della notte precedente a bere champagne. 
    Immaginavo che ciò avrebbe fatto aumentare la pressione nei miei occhi, e 
    fui molto sorpresa trovandola atte stata su valori tra 12 e 13. Il medico 
    mi spiegò che i sedativi come l'alcol, la marijuana e il Demerol riducono la 
    pressione intraoculare. Lui aveva la sensazione che la marijuana fosse il 
    meno pericoloso dei tre.
Fumare marijuana mi disgustava 
    terribilmente, così il mio dottore e io decidemmo che sarebbe stato meglio 
    per me prenderla sotto forma di biscotti. Mi avvertì che me ne sarebbe 
    servita di più rispetto a quando la fumavo. Mi diede una ricetta che 
    richiedeva un'oncia di marijuana per ricavare un 'infornata di ventiquattro 
    biscotti: una scorta per dodici giorni.
Non sapevo dove andare a 
    prendere la marijuana e non sempre avevo la possibilità di procurarmela. Una 
    volta che la mia pressione intraoculare era diventata troppo alta, il mio 
    medico se ne procurò un po' per me. Mi fu consegnata a mano dalla sua 
    segretaria. Povera donna, come tremava!
Le sue mani erano fredde come il 
    ghiaccio quando mi porse il sacchetto. Ringraziai Dio per la compassione di 
    quelle persone. Sapevo che il prezzo corrente di un'oncia andava dai trenta 
    ai quaranta dollari, ma la segretaria mi chiese soltanto quindici dollari. 
    Una cosa del genere non
poteva continuare, naturalmente, così cercai di 
    ottenere la marijuana legalmente.
Non riuscivo a trovarne a 
    sufficienza, così dovevo continuare a prendere la pilocarpina. Quando la 
    pilocarpina ricominciò a farmi vedere i cerchi, il mio medico era fuori 
    città e dovetti andare in un'altra clinica. Quando il medico ospedaliero 
    preposto all'assistenza si rese conto che stavo facendo uso di marijuana per 
    curare il mio glaucoma, sembrò molto disgustato. Mi sbatté in faccia due 
    prescrizioni e mi mandò a casa senza avermi dato istruzioni o avvertimenti. 
    Quei due farmaci sono stati i più orribili in cui mi sia mai imbattuta in 
    vita mia. Il Diamox mi consumò tutto il potassio che avevo in corpo e mi 
    lasciò completamente apatica. I miei bambini dovevano arrangiarsi da soli 
    perché, quando tornavo a casa, potevo soltanto andare a letto. In quel 
    periodo non avevo abbastanza denaro per comprare il secondo farmaco, lo 
    ioduro di fosfolina, che alla fine provai, trovandolo insopportabilmente 
    doloroso. 
Mi rivolsi al giornale della mia città e raccontai a un 
    giornalista del mio uso della marijuana nel corso di un 'intervista 
    telefonica. Parlai senza dare il mio nome o una fotografia, perché temevo di 
    perdere il mio posto di lavoro e l'affidamento dei miei figli. Tuttavia 
    molte persone capirono che quella storia era la mia e vennero allo scoperto, 
    confessandomi che fumavano marijuana regolarmente e promettendo che mi 
    avrebbero aiutato a trovare la marijuana quando fosse stato possibile. 
    Potete immaginare la mia sorpresa! Alcune di queste persone erano colleghi 
    di lavoro, altri erano membri rispettabili della comunità. Nessuno di loro, 
    neanche uno, era un balordo, come io ero stata indotta a pensare che ogni 
    fumatore di marijuana dovesse essere.
Nel gennaio del1977, il mio 
    dottore mi mandò a un centro di ricerca dell'Università di Miami. Pensava 
    che avrebbero potuto aiutarmi a ottenere la marijuana legalmente. Ma gli 
    zelanti scienziati del centro non volevano neanche sentire la parola "m". 
    Anzi, là trascorsi uno dei giorni più estenuanti della mia vita. Quando 
    arrivai la mia pressione intraoculare era ben sopra il 50 dall'occhio destro 
    e superava di molto il 40 dall'occhio sinistro. Mi fecero prendere tutto 
    quello che gli veniva in mente. Le gocce non fecero molto, e nemmeno mi 
    giovò l'uso di una piccola pompa per lavare gli occhi. Fui anche costretta a 
    bere un grosso bicchiere di un liquido disgustosamente dolce, che comunque 
    non mi fu d'aiuto. Alla fine della giornata la mia pressione si era a 
    malapena ridotta a valori attorno al 40, perciò mi misero in lista per un 
    intervento chirurgico di emergenza.
A casa, quella sera, usai quel 
    po' di marijuana che mi rimaneva per preparare alcuni biscotti, e ne mangiai 
    uno ogni dodici ore. Il lunedì mattina seguente, quando mi presentai per 
    l'intervento chirurgico, i dottori mi misurarono la pressione e rimasero 
    stupefatti: perfettamente normale, tra 14 e 161 Ciononostante mi prepararono 
    per la chirurgia, anche se l'intervento aveva al massimo il 30% delle 
    probabilità di arrecarmi beneficio. La mattina seguente effettuarono sui 
    miei condotti lacrimali un intervento che si rivelò inutile. A causa di 
    quell'intervento, oggi devo portare quelle grosse lenti d'ingrandimento che 
    ero riuscita a evitare fin dall'infanzia. Dopo tutta la trafila, mi 
    ritrovavo con la vista più debole, un tessuto cicatriziale più esteso, la 
    pressione più alta, e non ero in grado di tornare a lavorare.
Ora 
    dovevo affrontare non solo il glaucoma, ma anche la depressione e la 
    povertà. Ci sarebbero voluti almeno nove mesi prima che la previdenza 
    sociale potesse emettere un certificato di invalidità. Mi sentivo umiliata 
    per il fatto di dover ricorrere ai buoni pasto, ma ero contenta che fossero 
    disponibili. Mi venne l'insonnia. La marijuana era più difficile da 
    ottenere, ora che non avevo soldi per comprarla. Alle volte qualche persona 
    compassionevole me ne dava un po' e la mia insonnia scompariva. Era 
    certamente il miglior antidepressivo in cui mi fossi mai 
    imbattuta.
Nel 1980 avevo ancora pochi soldi e il prezzo della 
    marijuana era aumentato, così cominciai a coltivarmela in casa. Usavo i semi 
    più fini, dai quali nascono piante piccole, difficili da individuare ma 
    produttive. Mi bastavano tre o quattro spinelli al giorno. La mia pressione 
    si attestò su valori così vicini a quelli normali che i miei medici 
    stabilirono che un trapianto di cornea non sarebbe stato pericoloso. 
    Funzionò! Non avevo mai avuto una vista così buona, era meraviglioso! Ero 
    felicissima... prima che i vicini scavalcassero lo steccato del mio giardino 
    e rubassero le mie piante di marijuana.
La mia pressione intraoculare 
    andò alle stelle e io presi a rifugiarmi nell'alcol per la maggior parte del 
    tempo. Quando cominciai ad avere dei leggeri black-out compresi che l'alcol 
    non era una soluzione. Così, con riluttanza e piena di paura, mi sottoposi 
    ancora a un intervento chirurgico.
Questa volta insorse una emorragia, e 
    prima ancora che me ne potessi accorgere il mio occhio destro era diventato 
    cieco. A quel punto avevo soltanto 1/20 di vista dall'occhio sinistro; 
    avreste potuto illuminare la mia camera da letto con delle forti lampade 
    mentre dormivo e io non mi sarei svegliata. Ero molto depressa. La cosa più 
    dolorosa erano i sogni felici nei quali io ci vedevo da entrambi gli occhi 
    ed ero quella di una volta. Poi mi risvegliavo per trovarmi priva dell'uso 
    dell'occhio destro.
Avevo bisogno di soldi e avevo una stanza in più 
    in casa mia, così misi un annuncio sul giornale e mi trovai un pensionante. 
    Mi assicurò che non faceva uso di droghe illegali e che non avrebbe detto a 
    nessuno che io coltivavo marijuana. Ma presto il suo comportamento 
    eccentrico mi convinse che doveva esserci qualche problema e, 
    effettivamente, trovai della cocaina sotto il lavandino del bagno. Sulle 
    prime negò di fare uso di droghe, ma pochi giorni dopo lo ammise. Disse che 
    aveva bisogno della cocaina perché nella sua posizione di venditore di auto 
    era tenuto a lavorare sette giorni alla settimana, dieci ore al giorno. Gli 
    risposi che non mi interessavano le sue ragioni; se ne sarebbe dovuto 
    andare. Acconsentì ad andarsene, ma man mano che si avvicinava il momento 
    diventava sempre più riluttante. Discutemmo animatamente, e lui mi denunciò 
    alla polizia.
Mi arrestarono la sera del 4 marzo 1988, e questo fatto 
    cambiò la mia vita per sempre. Informai i mass media, e stavolta il giornale 
    della mia città mi fotografò e pubblicò per intero il seguito della mia 
    storia. Fui contattata da persone che erano riuscite a ottenere la marijuana 
    legalmente, e così il mio medico e la sua segretaria passarono almeno 
    cinquanta ore sugli incartamenti da sottoporre alla DEA, alla FDA e alla 
    NIDA nello sforzo di procurarmi della marijuana legale. Partecipai a 
    parecchie trasmissioni radiofoniche, e fu sempre un'esperienza straziante 
    perché quasi sempre c'era qualcuno che aveva perso la vista inutilmente. 
    C'erano anche cittadini sinceramente in apprensione, che si preoccupavano 
    per la mia dipendenza da una droga orribile e che si auguravano di cuore che 
    ci fosse un'altra soluzione per me. Naturalmente, queste persone non erano 
    nei miei panni e non lo erano state negli ultimi dodici anni, per cui non si 
    rendevano conto che non c'erano effetti collaterali che io dovessi temere. 
    Cominciai a ricevere notizie da persone di tutta la nazione, alcune persino 
    dal Canada. Fu sconcertante: molti di loro erano malati di glaucoma e 
    avevano conservato la vista per venti, venticinque anni grazie alla 
    marijuana; ancora oggi continuano a consumarla illegalmente. Li invidiai 
    perché avevano preso una posizione coraggiosa in difesa della propria 
    salute, perché sapevano quello che facevano e si erano presi cura di se 
    stessi.
Ma ormai non c'era più rimedio per me. Dovevo affrontare i 
    miei capi d'accusa. In Florida, il possesso di più di venti grammi di droga 
    è un reato, e a me ne avevano sequestrata un'oncia e mezza che avevo appena 
    tagliato da una pianta il lunedì precedente.
Il mio processo cominciò e 
    finì il15 agosto 1988. Una cosa la sapevo: se stavo andando in tribunale io, 
    ci stava andando anche quella legge ingiusta. Non avevo paura. Sentivo che 
    Dio e suoi angeli erano con me. Non mi sbagliavo: l'unica persona che 
    trovarono che potesse testimoniare contro di me era l'ufficiale che mi aveva 
    arrestata, e non direi che lui ce l'avesse con me. I malati di glaucoma 
    testimoniarono a mio favore, e il mio medico dichiarò che la marijuana era 
    l'unica sostanza che mi avesse mai arrecato sollievo in modo sistematico. Mi 
    fu chiesto se avessi fumato marijuana, dopo il giorno del mio arresto e io 
    risposi di sì. "Avete fumato marijuana oggi?" "Naturalmente", replicai. Il 
    giudice ascoltò con attenzione e stabilì che non tentare di salvare quel po' 
    di vista che mi rimaneva sarebbe stato, da parte mia, un atto di follia 
    pura. Disse che da parte mia non c'era nessun proposito di attività 
    criminosa, e fui assolta. Avevo fatto richiesta di "Compassionate IND" nel 
    marzo del 1988 e mi fu concesso l'uso legale di marijuana fornita dal 
    governo a partire dal 21 ottobre 1988.
Nel mio occhio destro la 
    vista sta tornando. Ora ho percezioni di luci, colori e forme. Nel mio 
    occhio sinistro, che prima era a 1/20 ma adesso è a 2/10, il nervo ottico è 
    in ottime condizioni e non ho avuto perdite di visione periferica. È un dato 
    di fatto che ci sia stato un miglioramento. È un miracolo: è la 
    cannabis.2.3 Epilessia
  
    Le crisi parziali 
  accompagnate da un'alterazione dello stato di coscienza, note come crisi 
  parziali complesse, sono causate da una lesione ai lobi frontali o temporali 
  della corteccia cerebrale. In passato erano note come crisi psicomotorie, in 
  quanto i sintomi interessano anche l'attività motoria (smorfie e movimenti 
  ripetuti della bocca o delle mani sono particolarmente comuni). Quando la 
  sovraeccitazione è confinata a un'area molto piccola, il malato di epilessia 
  può avere una strana sensazione di déja vu, vertigine, paura, o può sentire 
  uno strano odore senza capire da dove venga. Questa sensazione, nota come 
  aura, può essere seguita o meno da una vera e propria crisi parziale 
  complessa.
    L'epilessia viene curata 
  principalmente con farmaci anticonvulsivanti, che però sono efficaci solo nel 
  75% dei casi. Le crisi focali e l'epilessia del lobo temporale, in 
  particolare, sono difficili da curare con gli anticonvulsivanti convenzionali. 
  Oltretutto, i farmaci anticonvulsivanti hanno effetti collaterali 
  potenzialmente gravi, tra i quali osteomalacìa, anemia perniciosa (legata a 
  una produzione insufficiente di globuli rossi), gonfiore gengivale e turbe 
  emotive. Le dosi eccessive o le reazioni idiosincratiche possono causare 
  ristagno (movimenti rapidi e incontrollabili degli occhi), perdita di 
  coordinazione motoria, coma, e persino la morte. 
  
    Sebbene le proprietà anticonvulsivanti della 
  cannabis siano note fin dall'antichità e siano state studiate a fondo nel XIX 
  secolo, questa possibilità di impiego terapeutico della marijuana è stata 
  ampiamente ignorata negli ultimi cent'anni. Una rara eccezione è rappresentata 
  da un breve articolo di J.P. Davis e H.H. Ramsey pubblicato nel 1949. Questi 
  due ricercatori studiarono gli effetti di due congeneri del 
  tetraidrocannabinolo su cinque bambini che ricevevano assistenza in un 
  istituto per le loro gravi forme epilettiche di grande male, che non era 
  possibile curare adeguatamente con i farmaci anticonvulsivanti convenzionali, 
  il fenobarbitale e la fenitoina (Dilantin@). Tre di loro non peggiorarono; al 
  quarto le crisi cessarono quasi completamente, e al quinto completamente. 
  
La letteratura medica continuò a tacere su questo argomento fino al 
  1975, quando fu descritto il seguente caso di grande male:
    
  
A 22 anni il paziente cominciò a fumare 
    marijuana (dai due ai cinque spinelli per sera), proseguendo comunque nella 
    terapia con i farmaci anticonvulsivanti che gli erano stati prescritti. 
    Durante questo periodo, le crisi non si manifestavano fintantoché il 
    paziente continuava ad assumere la combinazione di tutt'e tre le sostanze. 
    Questa condizione non poteva essere mantenuta grazie alla sola marijuana, 
    dato che in due occasioni egli sperimentò una crisi tre o quattro giorni 
    dopo aver interrotto la cura prescritta.
   Malgrado le istituzioni mediche continuino a 
  mostrare scarso interesse, un numero sempre maggiore di persone affette da 
  epilessia sta scoprendo l'utilità della cannabis. Carl Oglesby soffre di 
  crisi parziali complesse; la crisi si origina a partire dal lobo temporale e 
  si propaga, rimanendo comunque relativamente focale:2.3.1 1a Testimonianza - crisi parziali complesse Carl Oglesby
  
    
  
Il mio disturbo si è manifestato per la prima volta quando 
    avevo quindici o sedici anni e ha continuato a manifestarsi fino alla mia 
    attuale età di cinquantaquattro anni, con una frequenza variabile da una 
    mezza dozzina a due dozzine di attacchi epilettici al giorno. Gli attacchi 
    variano nella durata (da mezzo minuto a un minuto) e nell'intensità, ma mai 
    nella forma. Ci sono sempre due stadi. Il primo è uno stadio iniziale o di 
    aura, il secondo è caratterizzato dallo spasmo facciale che rappresenta il 
    momento cruciale della Crisi.
Il primo avvertimento giunge sotto 
    forma di una sensazione sottile eppure ineffabilmente corporea, un senso di 
    sorpresa, chiaramente sgradevole, di leggerezza e perdita di fisicità, una 
    sorta di palpitante solletico interiore e vertigine. Dapprima è concentrato 
    nel torace, ma si propaga alla testa nel giro di pochi secondi e abbraccia 
    l'intero contesto dell'attività mentale. Vale a dire che sono ancora in 
    grado di parlare e di sostenere una linea di ragionamento, ma ciò richiede 
    uno sforzo particolare a causa di un senso di agitazione generale anche se 
    intima.
Sono consapevole di alcune manifestazioni fisiche che non 
    riesco a controllare durante la crisi. Le narici si mettono a tremare, gli 
    occhi ballano e scintillano, la voce mi si strozza e il suo timbro diventa 
    irregolare, il diaframma si contrae, il respiro si fa discontinuo e mi sento 
    vagamente disorientato. E come se il mio corpo si eccitasse, quasi 
    piacevolmente da questo punto di vista, ma in assenza di qualunque 
    referente, contesto o movente sociale o mentale. Dal momento che la perdita 
    del controllo fisico di se stessi provoca sempre sconcerto, un'esperienza 
    che presenta una specie di grossolana somiglianza con l'euforia diventa 
    fonte di impotenza e timore.
La crisi propriamente detta sorge come 
    un crescendo a partire dallo stato di aura ed è in parte un 
    'intensificazione dell'aura. La sua componente dominante consiste in un 
    ghigno fisicamente irrefrenabile che prende tutto il lato destro del viso 
    senza interessare minimamente il lato sinistro. Tutte le altre 
    manifestazioni del disturbo, per quanto ne so, sono bilaterali. Tutti e due 
    gli occhi brillano, entrambi i lati del diaframma si contraggono, tutte e 
    due le narici tremano. Il rictus, che invece è uniformemente localizzato sul 
    lato destro, è il punto d'arrivo della crisi, il culmine verso il quale la 
    fase di aura cresce. Lo stadio di aura è essenzialmente privato ed è facile 
    da nascondere, ma il rictus mi espone a delle conseguenze sul piano sociale. 
    Posso celarlo solo nascondendo il viso o distogliendo l'attenzione da 
    me.
Le prime volte in cui il disturbo si manifestò, non riuscivo a 
    capirlo o a spiegarlo e provavo troppa vergogna per chiedere aiuto. I miei 
    genitori, persone poco raffinate, mi rimproveravano per quello che mio padre 
    chiamava il mio "ghigno ebete" (con frasi come "togliti quel ghigno ebete 
    dalla faccia"). Quando cercai di spiegarlo ai miei amici, replicarono che 
    avrei dovuto ridere se mi veniva da ridere. Non riuscii a fargli capire che 
    non mi veniva da ridere: o che, forse, sì, mi veniva, ma la sensazione mi 
    prendeva come se provenisse da qualche altra parte e non avesse connessioni 
    con qualunque pensiero o percezione o motivazione comune. Non riuscivo a 
    dare l'idea di questo senso di estraneità, dell'essere posseduti da qualcosa 
    al di là della coscienza.
Così lasciai perdere, decisi che questa 
    cosa vergognosa, il mio ghigno ebete, me la sarei tenuta per me il più 
    possibile, e misi a punto un repertorio di tecniche di dissimulazione. Mi 
    riconosco il merito di non essere diventato un asociale. Mi sono impegnato 
    nei dibattiti alla scuola superiore e al college, ho intrapreso un lavoro 
    che mi ha costantemente tenuto a contatto con la gente, e in seguito, 
    passati da poco i trentanni, ho giocato un ruolo chiave (come presidente 
    dell'associazione "Studenti per una Società Democratica ", SDS) nel 
    contrastare la Guerra del Vietnam. Ho addirittura recitato sulla scena per 
    diversi anni durante il college e l'ho fatto con grande piacere, benché alla 
    fine abbia dovuto ammettere che il mio disturbo mi rendeva impossibile 
    recitare.
Se l'attacco epilettico minacciava di manifestarsi in un 
    momento inopportuno - il che accadeva sistematicamente - avevo una vasta 
    gamma di possibili contromisure. Se stavo tenendo banco in una 
    conversazione, ero solito sviare l'attenzione da me in qualunque modo, 
    spesso semplicemente ponendo una domanda a qualcuno. Se necessario inscenavo 
    un piccolo accesso di tosse, prendevo un bicchiere d'acqua e lo tenevo 
    davanti al viso per mascherare il rictus. In altre situazioni potevo 
    accorgermi opportunamente di un pezzetto di mela che si era infilato in un 
    molare superiore sul lato destro della bocca. Informai solo i miei amici più 
    intimi del problema che avevo.
Col passare degli anni diventai 
    provvisoriamente più raffinato e mi imbattei in teorie che sembravano 
    offrire una spiegazione o perlomeno un 'interpretazione del mio disturbo, in 
    particolare la celeberrima psicanalisi freudiana che era così 
    imprescindibile negli anni '50 e '60. Per un lungo periodo feci mia la 
    convinzione che il mio ghigno ebete fosse di origine psicosomatica e che 
    sarei riuscito ad andare alla radice del problema, e magari a risolverlo, 
    soltanto grazie alla psicoanalisi. Prima che potessi esplorare questa 
    possibilità, comunque, un dottore in medicina del quale mi fidavo mi 
    persuase che (a) il mio disturbo probabilmente rappresentava una forma di 
    epilessia, e (b) i mezzi di cui disponevo per affrontarlo erano 
    probabilmente altrettanto validi quanto qualunque altra cosa che la medicina 
    ufficiale avrebbe potuto offrirmi.
Come molte persone negli anni '60, 
    avevo avuto a che fare con la marijuana in numerose occasioni, ma per 
    diversi anni avevo resistito alla tentazione di fumarla. Ero molto in vista 
    nella mia qualità di funzionario nazionale della SDS e mi sentivo obbligato 
    a evitare di gettare discredito sull'organizzazione; tra l'altro, la SDS 
    aveva preso una posizione netta contro la marijuana proprio a seguito della 
    mia insistenza. Inoltre, a differenza della maggior parte dei militanti del 
    movimento, ero un uomo di famiglia, padre di tre bambini, verso i quali 
    sentivo la normale responsabilità di genitore come la si intendeva 
    nell'America degli anni '50.
Ma nel 1970 o giù di lì, con la SDS 
    distrutta, la guida del movimento antimilitarista in altre mani e le mie 
    pretese di padre vittime di un divorzio e di una separazione, la curiosità 
    prese il sopravvento e cominciai a provare la marijuana in situazioni di 
    gruppo. Scoprii presto che i miei disturbi svanivano quando ero sotto 
    l'effetto della droga. Dopo pochi tiri, l'aura e la sua ascesa al temuto 
    rictus semplicemente non si manifestavano per due o tre ore.
lo 
    apprezzavo anche i piaceri dello stato di euforia in sé. A differenza 
    dell'alcol, la marijuana non rappresentava una minaccia per l'autocontrollo, 
    anzi migliorava la mia capacità di parlare in modo estemporaneo. Tutto 
    questo non sarebbe comunque bastato a fare di me un consumatore abituale, 
    poiché ero sempre un po' dispiaciuto all'idea di fumare. Ma il potere che la 
    marijuana aveva di eliminare i miei disturbi mi indusse ad adottarla come un 
    vero e proprio medicinale. Diversi mesi fa ho deciso di abbandonare questa 
    forma di automedicazione e di subirne semplicemente le conseguenze: più 
    tollerabili per me oggi che non nel 1970, dato che mi capita molto meno 
    spesso di essere invitato a parlare in pubblico (faccio ancora magari una 
    dozzina di conferenze pubbliche all'anno). Ciononostante, il ritorno dei 
    miei disturbi mi rattrista e in una certa misura mi deprime, così sono 
    andato in cerca di assistenza medica qualificata nella speranza di trovare 
    un'alternativa legale, sicura e praticabile.2.3.2 2a Testimonianza - grande male e crisi di assenza Gordon Hanson
  
Ecco la sua testimonianza:
    
  
Arrivare a casa per cena era un'esperienza 
    piacevole sia per me, sia per il mio fedele fox terrier. Vivere in Minnesota 
    era poco meno che una benedizione. Ero nato nel 1938, il più piccolo di otto 
    fratelli in una famiglia di immigrati di origine scandinava sbarcati in 
    America all'inizio del secolo. Quando ero nato io mia madre aveva 
    quarantanove anni, e il più giovane dei miei fratelli ne aveva nove. 
    Numerose immagini d'amore riempivano la mia vita, sebbene le cose materiali 
    non fossero altrettanto abbondanti.
Mio padre, come i nostri vicini, 
    ricavava una modesta rendita dalla sua piccola fattoria con cascina. Quella 
    sera di settembre mi sentivo molto assonnato e mi ritirai prima delle dieci 
    di sera. Il risveglio fu un turbine di confusione e depressione, seguito da 
    nausea, mal di testa e un indolenzimento muscolare che sembrava interessare 
    tutto il corpo. I miei familiari erano tutti intorno alletto, con i volti 
    pieni di preoccupazione. Non appena si fece giorno mi spronarono perché 
    andassi a farmi visitare dal nostro medico di famiglia a Baudette. La sua 
    diagnosi mi fece sentire ancor più spaventato e depresso. Come potevo avere 
    l'epilessia?
La mia malattia fu tenuta segreta il più possibile. Col 
    passare degli anni, imprevedibili attacchi di piccolo male cominciarono a 
    manifestarsi, mentre il grande male - seppure meno frequente - continuava a 
    lanciare incalzanti segnali del suo avvicinamento; suoni privi di 
    significato o di una sorgente riconoscibile, incapacità di parlare, e infine 
    la paralisi strisciante che lentamente inghiottiva il mio corpo. 
    L'incoscienza occultava ogni sintomo fino a quando non riacquistavo i sensi. 
    Ustioni e ossa rotte non erano cosa rara, e tuttavia non erano così funeste 
    come la profonda depressione in cui mi maceravo.
Le combinazioni di 
    farmaci come Dilantin, Mysoline e fenobarbitale fecero diminuire il numero 
    degli attacchi epilettici ma chiaramente non risolsero i miei 
    problemi.
Accadeva spesso che una profonda tristezza opprimesse la mia 
    vita per giorni interi. Naturalmente si riteneva che l'epilessia ne fosse la 
    causa: nessuno mi aveva mai detto che i farmaci che si usano per evitare le 
    crisi hanno anche dei brutti effetti collaterali. Per qualche anno andai 
    avanti a bere alcol, che però offriva evasioni troppo effimere. Alla fine 
    incontrai una ragazza che volevo sposare, ma siccome avevo paura che mi 
    avrebbe rifiutato, non le dissi nulla dei miei disturbi epilettici prima del 
    nostro matrimonio.
La nostra giovane età e il dono di una figlia ci 
    protessero dal dolore per breve tempo. Ma le cose necessarie alla 
    sopravvivenza diventavano sempre più difficili da ottenere, e gli attacchi 
    di epilessia diventavano più frequenti. Mia moglie cominciò a bere per 
    nascondersi da una persona che ora aveva cominciato a temere, a causa degli 
    strani disturbi e dei successivi stati di apatia che creavano una sindrome 
    da dottor Jekyll e Mr Hyde. La sua dedizione all'alcol e la mia reazione a 
    essa accrebbero la nostra infelicità, che fu alleviata solo per breve tempo 
    dalla nascita di un'altra figlia e di un figlio all'inizio degli anni '60. I 
    miei disturbi e i miei problemi finanziari aumentavano.
Alla fine 
    degli anni '60 ebbi a che fare con la legge in più occasioni. All'inizio 
    degli anni '70 i bambini furono temporaneamente allontanati da casa nostra. 
    La corte mi ingiunse di rivolgermi a un consulente matrimoniale; questi 
    suggerì che avrei potuto provare la marijuana per ridurre gli effetti 
    depressivi del fenobarbitale e al tempo stesso contenere gli attacchi 
    epilettici. Quel suggerimento mi sembrò assurdo, dato che il mio 
    atteggiamento era lo stesso della maggioranza: la marijuana era una droga il 
    cui nome si poteva a malapena sussurrare, indiscutibilmente malefica! Grazie 
    a Dio, cominciai a documentarmi sulla pianta e feci anche ricerche presso 
    altre fonti, tra le quali l'Università del Minnesota. Scoprii che era stata 
    usata a scopo medico nei secoli passati, e cominciai a fumarla 
    regolarmente.
Nel 1976 avevo ormai ridotto la mia dose di 
    fenobarbitale, Dilantin e Mysoline del 50% circa. Le crisi erano diventate 
    meno frequenti e gli sbalzi d'umore erano andati scemando, almeno quando la 
    marijuana era disponibile. Nel 1976 fui arrestato per il possesso di una 
    piccola quantità, e da allora trovai più difficile acquistarla. Il giudice 
    mi disse di consultare un dottore. Il dottore non negò l'utilità della 
    marijuana a scopo medico, ma siccome era illegale mi suggerì di prendere il 
    Valium. Per quasi due anni presi due compresse di Valium al giorno, ma 
    questo fece di me uno zombie ambulante, e comunque avevo ancora i 
    blackout.
Nel 1978 mia moglie fu ricoverata in ospedale per tre 
    giorni perché aveva scambiato il fenobarbitale per aspirina mentre era 
    ubriaca. Quel fatto mi convinse a buttar via tutto il fenobarbitale e il 
    Valium che mi rimanevano. Grazie a quella rinuncia ritrovai la lucidità 
    mentale. Decisi, quella primavera stessa, di provare a far crescere delle 
    piante da 
semi che avevo accumulato. Ebbi un discreto successo. Di anno 
    in anno vennero nuovi metodi per migliorare la qualità, lasciando i ricordi 
    spiacevoli alle spalle. Nel 1982, ormai coltivavo in giardino abbastanza 
    marijuana da poter ridurre ulteriormente il mio consumo di farmaci. Gli 
    attacchi di grande male erano svaniti e gli attacchi di piccolo male 
    ammontavano a meno di dieci all'anno. Sfortunatamente, quell'estate 
    trovai la polizia che guardava in cagnesco il mio raccolto di erba, e così 
    fui arrestato per il possesso di quello che loro chiamavano un grosso 
    quantitativo. Continuai a coltivare le mie piante mentre aspettavo l'esito 
    di un lungo contenzioso legale che si concluse nel 1985 con una condanna a 
    due mesi di prigione. Mi diedero più compresse, ma in carcere gli attacchi 
    epilettici mi vennero ancora. Mi fu prescritto un altro farmaco, il Tranxene 
    [clorazepato, un farmaco che combatte gli stati ansiosi e rilassa i muscoli 
    in modo simile al Valium], ma lo usai pochissimo perché mi accorsi che i 
    suoi effetti erano simili a quelli del Valium.
Quando mi rilasciarono 
    ricominciai a fare uso di marijuana per alleviare sia i blackout, sia gli 
    effetti collaterali delle pillole. La nostra vita familiare diventò 
    piacevole mentre gli anni scivolavano via dolcemente. Un raccolto medio di 
    quaranta piante di canapa offerte dalla natura riduceva il mio fabbisogno di 
    prodotti chimici fatti dall'uomo a una dose di Dilantin e una di Mysoline al 
    giorno. Ormai gli attacchi di piccolo male capitavano cinque volte all'anno 
    o meno, per lo più in inverno, quando finivo la marijuana. La vita diventò 
    molto più armoniosa.
Nel 1988 ci fu siccità, la mia marijuana crebbe 
    a stento e così fui costretto a comprarne per strada solo quattro mesi dopo 
    il raccolto. Il prezzo corrente era aumentato così tanto che potevo a 
    malapena affrontare la spesa. Gli amici mi aiutarono fino alla successiva 
    stagione di raccolto, ma avevo ancora molti disturbi quando la marijuana 
    veniva a mancare. Deciso a non farmi trovare a corto di marijuana per una 
    seconda volta, nel 1989 ne piantai il triplo, cimando ogni pianta in modo 
    che assomigliasse a una pianta di pomodoro, bassa e cespugliosa.
Alla 
    fine di luglio ne raccolsi un paio e le lasciai nel nostro vecchio granaio 
    perché si essiccassero. Il resto della storia è una tragedia: cinque agenti 
    di polizia che bussano alla mia porta quando non sono ancora le sei del 
    mattino e che tengono mia moglie, mio figlio e me sotto tiro. Mio figlio 
    perse il suo impiego perché quella mattina non gli fu consentito di andare 
    al lavoro. Inutile dirlo, tutto la marijuana fu sequestrata. Dopo aver 
    pagato una cauzione fui rilasciato, solo per rivivere quell'esperienza nei 
    miei sogni, ogni notte per settimane. Da quel giorno la mia vita è stata un 
    esperimento che ha fugato tutti i miei dubbi sulle proprietà medicinali 
    della marijuana. A causa dell'impossibilità di procurarmene ho subito quasi 
    duecento attacchi di epilessia, tra i quali parecchi di grande 
    male.
Il 22 giugno 1991, quello che avevo temuto accadde. Una 
    telefonata dal mio avvocato di Minneapolis mi informò che dovevo presentarmi 
    alla prigione della Contea di Roseau per una condanna a sei mesi. La Corte 
    Suprema del Minnesota aveva respinto il mio ricorso in appello. Ora sono 
    seduto in una cella, senza che siano stati presi provvedimenti per la mia 
    sicurezza personale. La cella è isolata. Non ho modo di comunicare con 
    l'ufficio del secondino e ai due detenuti con i quali divido la cella non è 
    stato detto cosa fare nel caso di un mio attacco epilettico.
Fa uno 
    strano effetto ricordare i primi anni '70, quando mi era stato detto di 
    rivolgermi a un consulente matrimoniale che mi aveva consigliato di usare la 
    marijuana anziché i farmaci. Ora la legge mi ha allontanato da mia moglie 
    per aver dato ascolto a quel suggerimento, che aveva centrato l'obiettivo di 
    contenere i miei disturbi e di riportare l'amore fra noi. Ora la legge mi 
    obbliga ancora una volta a prendere farmaci. Temo che i numerosi, terribili 
    effetti collaterali torneranno e mi faranno ridiventare quella crea tura da 
    incubo che ha causato tanta angoscia a mia moglie e alla mia famiglia. Non 
    posso aspettarmi che mia moglie
accetti una situazione del genere ancora 
    una volta, dopo che avevamo trovato una soluzione scoprendo la creazione 
    divina di un'erba così meravigliosa e benefica. Apparentemente la mia unica 
    alternativa è non usare affatto farmaci o droghe, quando sarò rilasciato. 
    Ciò causerà molte tribolazioni inutili non solo a me ma anche a mia moglie, 
    che dovrà convivere con i miei disturbi e con gli stati depressivi che ne 
    conseguono. Posso solo pregare che il nostro governo riconosca gli 
    impieghi edici della marijuana prima della mia scarcerazione. Altrimenti, 
    non posso aspettarmi che Connie mi accetti a casa. 
  Sclerosi multipla
  
    I sintomi variano a 
  seconda della parte del sistema nervoso centrale affetta da demielinizzazione. 
  Siccome il cervello e la spina dorsale controllano tutto il corpo, gli effetti 
  possono manifestarsi pressoché in qualsiasi punto di esso. Alcuni sinto mi 
  comuni sono rappresentati da formicolio, torpore, indebolimento della vista, 
  difficoltà nel parlare, spasmi muscolari dolorosi, perdita di coordinazione e 
  di equilibrio (atassia), esaurimento, debolezza o paralisi, tremori, 
  incontinenza urinaria, infezioni delle vie urinarie, stitichezza, ulcerazioni 
  della pelle e grave depressione.
    Non si conosce 
  nessuna cura efficace. I corticosteroidi, in particolare l'ormone 
  adrenocorticotropo (ACTH) e il prednisone alleviano in una certa misura i 
  sintomi acuti, ma inducono anche un aumento di peso e alle volte causano 
  confusione mentale. I farmaci più comunemente usati per curare gli spasmi 
  muscolari sono il diazepam (Valium@), il baclofene (Lioresal@) e il dantrolene 
  (Dalltrium@). Il diazepam e altri farmaci del gruppo della benziazepina, che 
  devono essere somministrati in dosi massicce, causano sonnolenza e possono 
  indurre dipendenza. Sia il dantrolene, sia il baclofene hanno scarsa utilità 
  medica. Il baclofene è un sedativo che talora causa capogiri, debolezza o 
  stati confusionali. Il dantrolene è una risorsa estrema a causa dei danni 
  potenzialmente letali che arreca al fegato; anch'esso ha svariati altri 
  effetti collaterali, tra i quali sonnolenza, capogiri, debolezza, malessere 
  generale, crampi addominali, diarrea, disturbi alle funzioni visive e del 
  linguaggio, colpi apoplettici, mal di testa, impotenza, tachicardia, 
  fluttuazioni della pressione sanguigna, depressione clinica, mialgia, senso di 
  soffocamento e confusione mentale. Comprensibilmente, molti pazienti non 
  riescono a sopportare gli effetti collaterali dei farmaci convenzionali 
  nell'immediato o si preoccupano per gli effetti a lungo termine.2.4.1 1a Testimonianza - Greg Paufler
  
    
  
una nevrite, disse che il mio problema si 
    sarebbe risolto in pochi giorni e mi prescrisse un supplemento di vitamine. 
    Nel giro di una settimana il torpore era passato, ma cominciavo ad avere 
    difficoltà a mantenere l'equilibrio e alle volte avevo problemi a 
    camminare.
All'inizio della primavera del 1974, la mia salute era 
    molto peggiorata, nonostante continuassi a prendere le vitamine.
Il mio 
    frequente inciampare e cadere divenne motivo di ilarità per i colleghi della 
    compagnia di assicurazioni dove lavoravo come venditore. Altri impiegati 
    erano soliti chiedermi ridendo se avevo bevuto. Il mio capoufficio si 
    lamentava del fatto che visitassi meno clienti e che compilassi meno ordini. 
    Gli dissi che il torpore che avevo alle gambe mi rendeva difficile guidare e 
    che trovavo sempre più faticoso scrivere (non gli confessai che non ero 
    quasi più in grado di scrivere). Lui non sembrò soddisfatto di queste 
    spiegazioni. Poco tempo dopo un collega, mio amico intimo, mi convinse a 
    rivolgermi a un altro medico. Entrando nella sala d'attesa del dottore caddi 
    lungo e disteso a faccia in giù, ferendo mi un ginocchio. L'infermiera mi 
    aiutò a entrare nello studio. Cercai di stare sulle mie gambe e caddi 
    ancora. Spiegai al dottore che avevo acuti spasmi e torpore alle gambe, e 
    che non riuscivo a capire dove fossero i miei piedi se non guardando li. Il 
    dottore, un medico generico, insistette per un ricovero ospedaliero 
    immediato, nonostante le mie proteste; disse che potevo avere un tumore al 
    cervello.
Rimasi in ospedale per sette giorni di osservazioni e 
    analisi mediche, condotte da una squadra di medici capeggiata da un 
    neurologo. Durante quel periodo persi ogni controllo sulle mie membra e 
    provai spasmi gravi e dolorosi. Le braccia e le gambe divennero insensibili. 
    Non ero più in grado di camminare. Mi fecero delle iniezioni endovenose di 
    ACTH, un potènte steroide che non mi fece nulla; mi teneva soltanto sveglio 
    e faceva aumentare enormemente il mio appetito. Il giorno in cui fui 
    dimesso, il neurologo soprintendente mi disse che soffrivo di sclerosi 
    multipla.
Mi disse che non esistevano cure, ma che farmaci 
    come l'ACTH potevano rallentarne il corso della malattia. Poi mi disse 
    di andare a casa e prendermi un bel riposo. Mi fissò un appuntamento perché 
    ci vedessimo nel suo studio: appuntamento che, di fatto, non riuscii a 
    rispettare perché ero troppo debole per muovermi. Allora il dottore fece 
    venire a casa nostra un 'infermiera perché mostrasse a mia moglie come farmi 
    le iniezioni di ACTH.
Poco tempo dopo che ero tornato a casa, mentre 
    ero costretto a letto, alcuni amici vennero a farmi visita e fumammo 
    qualche sigaretta di marijuana. Dopo mi sentii meglio, ma attribuii 
    quell'effetto al leggero stato di euforia. Anche i miei spasmi divennero 
    meno acuti, ma di questo riconobbi il merito alle quotidiane iniezioni di 
    ACTH. Malgrado qualche miglioramento, fui costretto a rimanere a letto e 
    presto cominciai a risentire degli effetti di una terapia continuativa a 
    base di forti dosi di steroidi. Ritenendo i liquidi mi gonfiai; misi su 
    quarantacinque chili in sei settimane in quanto l'ACTH mi rendeva 
    voracemente affamato. Passavo intere notti insonni. Cominciai a perdere 
    concentrazione. Il mio atteggiamento mentale era tetro e diventai depresso. 
    Dopo tre mesi di terapia intensiva le mie condizioni erano a malapena 
    migliorate. Riuscivo a camminare soltanto se venivo sorretto da mia moglie e 
    da un bastone o da un girello.
Il dottore mi disse che dovevo 
    prendere l'ACTH ancora per tre mesi, ma naturalmente era preoccupato per gli 
    effetti collaterali. Mi avvertì del pericolo di un improvviso attacco 
    cardiaco o di un'insufficienza respiratoria. Per ridurre la ritenzione dei 
    liquidi mi prescrisse un potente diuretico riconoscendo tuttavia che poteva 
    causare calcoli renali o persino la morte per insufficienza renale. La 
    terapia con gli steroidi continuava a essere inefficace, e gli effetti 
    collaterali
peggioravano. Il mio peso, che era di settantasei chili prima 
    che cominciassi a prendere l'ACTH, era salito a centotrentacinque chili nel 
    giro di alcune settimane dall'inizio del secondo turno della terapia con 
    ACTH. La respirazione diventò difficoltosa poiché i fluidi premevano sui 
    polmoni. Le gambe e i piedi erano gonfi. Nessuno dei miei vestiti mi andava 
    più bene. Sviluppai una grave, intensa depressione caratterizzata da 
    improvvisi sbalzi di umore. Ero solito turbarmi profondamente senza motivo; 
    improvvisamente mi mettevo a piangere o avevo pensieri violenti. Dopo sei 
    mesi sentivo di aver perso ogni controllo sulla mia vita. In casi 
    eccezionali riuscivo a trascinarmi per la mia stanza da letto appoggiandomi 
    alla parete e usando mia moglie e un girello come sostegni. Anche così, non 
    ero in grado di mantenere l'equilibrio o di reggere il mio peso e spesso 
    cadevo. Per la maggior parte del tempo non potevo far altro che rimanere a 
    letto. Gli spasmi continuavano e le mie membra erano 
    incontrollabili.
Alla fine del sesto mese il dottore mi visitò ancora 
    e io gli dissi che le mie condizioni stavano peggiorando. Lui mi disse che 
    la mia SM era molto grave ed era progredita molto velocemente; solo l'ACTH 
    poteva aiutarmi. Me lo prescrisse per altri tre mesi e aumentò la dose del 
    50%. Mi prescrisse anche una pillola per dormire e del Valium per ridurre i 
    miei spasmi. Inizialmente fui d'accordo nel dare all'ACTH un'altra 
    possibilità, ma cambiai idea un paio di giorni dopo. Non ce la facevo più a 
    prenderne ancora. Se l'alternativa era la SM o la sua cura, preferivo la SM. 
    Quando smisi di prendere l'ACTH, la vista mi si offuscò ed ebbi episodi di 
    visione "a tunnel". Non riuscivo a concentrarmi e persi la capacità di 
    leggere; la SM mi stava attaccando in un modo completamente diverso. Il mio 
    medico si allarmò molto e immediatamente mi prescrisse il prednisone, un 
    potente steroide da assumere per via orale. Anche quella volta ottenni 
    modesti benefici terapeutici e ci furono inconvenienti perfino più seri; in 
    meno di un mese misi su più di trenta chili. Ma il peggio doveva ancora 
    venire. Sebbene ancora non lo sapessi, gli steroidi stavano sottraendo al 
    mio corpo quell'elemento di fondamentale importanza che è il 
    potassio.
Un giorno, mentre ero seduto in soggiorno, mi resi conto 
    che non riuscivo a parlare. Ero semicatatonico. Mia figlia venne da me e mi 
    parlò. lo la sentivo ma non riuscivo a vederla e non potevo rispondere, se 
    non piangendo. Mia moglie e mia figlia mi portarono immediatamente al pronto 
    Soccorso di un ospedale. Non ho memoria del viaggio e non sapevo dove mi 
    trovavo quando arrivammo. Ricordo di essere stato messo su di una sedia da 
    solo, poi attorniato da quasi una dozzina di medici e infermieri che 
    parlavano concitatamente. Mi fecero delle domande che non sono sicuro di 
    aver sentito. Quando cercavo di rispondere non riuscivo a parlare. Il 
    referto medico riporta che quel giorno fui in punto di morte; il mio corpo 
    era quasi completamente privo di potassio. Mi furono somministrate iniezioni 
    massicce e un supplemento di potassio per via orale.
Quell'esperienza 
    mi rese profondamente disincantato rispetto a farmaci, medici e ospedali. 
    Smisi di prendere qualunque genere di steroide, anche se continuai a usare 
    il Valium e altri farmaci che influenzano gli stati d'animo. Incapace di 
    camminare, leggere e stare con la mia famiglia, cominciai a fumare marijuana 
    per alleviare la noia; fumavo dai quattro ai sei spinelli al giorno. Una 
    sera alcuni vecchi amici vennero a trovarmi e fumammo diversi spinelli. 
    Quando si alzarono per andarsene io mi alzai a mia volta per salutarli. 
    Tutti coloro che si trovavano nella stanza smisero improvvisamente di 
    parlare e mi fissarono. Mi resi conto che mi ero alzato in piedi 
    spontaneamente e senza bisogno di aiuto, come se fosse stata una cosa 
    perfettamente naturale.
Ero sbalordito. Mia moglie e i nostri 
    amici erano sbalorditi.
Riuscii a fare qualche passo senza essere aiutato 
    prima che le mie gambe, deboli per l'atrofia, cedessero. Avevo camminato! Mi 
    chiesi se poteva essere stata la marijuana e lo chiesi al mio dottore, che 
    respinse l'idea e ribadì che la marijuana non aveva effetti benefici sulla 
    SM. Anche mia moglie era scettica, ma io continuai a fare 
    esperimenti.
Presto scoprii che quando non fumavo marijuana i miei 
    spasmi erano più frequenti e intensi. Quando la fumavo le mie condizioni si 
    stabilizzavano, per poi migliorare drasticamente. Potevo camminare senza 
    essere aiutato e la mia vista era meno offuscata. Ma il mio medico e mia 
    moglie rimanevano scettici. In quello che, oggi me ne rendo conto, fu uno 
    stupido tentativo di dimostrare agli altri ciò di cui io ero ormai sicuro, 
    decisi di smettere di fumare marijuana per sei mesi.
Non appena smisi 
    cominciai a perdere tutto quello che avevo guadagnato. Mi vennero forti 
    spasmi ai muscoli dorsali. Dopo quattro mesi avevo perso il controllo su 
    mani, braccia, piedi e gambe. La mia dose di Valium salì a 120 mg al giorno, 
    e cominciai a rendermi conto che mi ero assuefatto, ne ero diventato 
    dipendente. Smisi di prendere il Valium e andai incontro a una grave crisi 
    per l'astinenza da questo farmaco "sicuro" e "accettato dai medici". Persi 
    ogni interesse per la vita; soffrivo di insonnia, ero inquieto e 
    costantemente agitato; sprofondai in una cupa depressione; i miei sbalzi di 
    umore divennero ancora più volubili e accentuati; i miei spasmi diventarono 
    più intensamente dolorosi.
Quando non riuscii più a stare in 
    posizione eretta, e a maggior ragione a camminare, ripresi a fumare 
    marijuana quotidianamente. Nel giro di poche settimane ero di nuovo in grado 
    di camminare senza bisogno di aiuto. Poco dopo ero in grado di percorrere 
    mezzo isolato da solo, anche se con un certo sforzo. Ritrovai le forze 
    facendo esercizio e la vita tornò alla normalità. Dopo sei mesi le mie 
    condizioni erano enormemente migliorate. Gli spasmi erano svaniti e avevo 
    riguadagnato la capacità di leggere, scrivere e camminare. Una sera uscii 
    con i miei bambini e, per la prima volta in due anni, fui in grado di 
    mostrar loro come si tira un pallone da calcio. Riuscivo a calciare un 
    pallone! Mi sentivo rinato.
Eppure non ero ancora convinto che la 
    marijuana fosse responsabile di tutto questo. La marijuana era qualcosa di 
    cui facevo uso per divertimento, una droga di gruppo. Non credevo che una 
    sostanza così semplice e innocua potesse provocare un miglioramento tanto 
    eclatante. Era semplicissimo ignorare ciò che era ovvio, dato che il mio 
    medico e mia moglie continuavano a ridere di questa idea. Per dimostrare a 
    me stesso che in realtà non era la marijuana a farmi bene, decisi di 
    smettere nuovamente di fumare.
Dapprima gradualmente e poi più 
    rapidamente, gli spasmi muscolari ritornarono. Nel giro di poche settimane 
    avevo bisogno di un bastone, poi di un girello. Alla fine fui costretto a 
    letto un'altra volta. Dopo quattro mesi decisi di ricominciare a fumare. Le 
    mie condizioni si stabilizzarono immediatamente, poi cominciarono a 
    migliorare. Ero felice ma al contempo molto perplesso. Fumavo marijuana fino 
    a che le mie condizioni miglioravano, poi smettevo.
Per ragioni che non 
    riesco bene a spiegare, trovavo difficile credere che la marijuana fosse 
    veramente la causa di questi radicali cambiamenti nel mio stato di 
    salute.
Nel 1980 mio fratello mi mostrò un articolo di giornale su un 
    malato di SM di Washington chiamato Sam Diana, che aveva convinto un 
    tribunale legislativo che il suo uso di marijuana era una "necessità 
    medica". Fui sbalordito nell'apprendere che non ero l'unico malato di SM che 
    traeva sollievo dalla marijuana. Era ancora più sorprendente che medici, 
    ricercatori e altri malati di SM avessero sostenuto la rivendicazione del 
    Sig. Diana e che il tribunale avesse emesso una sentenza in suo favore. Non 
    avvertii più l'esigenza di dimostrare a me stesso o a chiunque altro che la 
    marijuana fosse benefica; cominciai ad ascoltare il mio corpo e ripresi a 
    fumarla regolarmente. Negli ultimi sette anni la mia SM è stata contenuta 
    adeguatamente, tranne quando mi è capitato di finire la marijuana e di 
    non riuscire a trovarne (o di non potermene permettere) 
    dell'altra.
Nella maggior parte dei casi, i malati di SM diventano 
    progressivamente più deboli e menomati; io sono migliorato. Posso stare in 
    equilibrio su una gamba sola con gli occhi chiusi. Cammino senza bisogno di 
    nessun aiuto Riesco perfino a correre! Tutto questo potrà sembrare 
    insignificante a qualcuno che non sia mai stato costretto a letto, menomato 
    e incapace di muoversi o di parlare, ma per me è un miracolo. Oltre a tutto 
    ciò, la marijuana mi permette di mantenere un'erezione abbastanza a lungo da 
    portare a termine l'atto sessuale. Non ho mai sviluppato dipendenza fisica 
    dalla marijuana e non ho sintomi da astinenza quando smetto di fumare. 
    Paragonata agli steroidi, ai tranquillanti e ai sedativi comunemente 
    prescritti ai malati di sclerosi multipla, la marijuana è notevolmente 
    innocua e benefica.
Il mio medico è sbalordito dal 
    miglioramento delle mie condizioni. In una scala da 1 a 100, lui valuta la 
    mia salute fisica e mentale a 95. Non insiste più sul fatto che la marijuana 
    sia inutile. Al termine del nostro ultimo incontro mi ha guardato ne gli 
    occhi e mi ha detto di continuare a fare quello che sto facendo, qualunque 
    cosa sia, perché funziona. Non mi piace violare la legge. Non mi fa 
    piacere pagare somme esorbitanti a spacciatori di droga che mi vendono un 
    prodotto deregolamentato e non soggetto a controlli. Ma vi assicuro che mi 
    piace camminare, parlare, leggere, scrivere e vederci. Oggi il mio medico e 
    io stiamo valutando la possibilità di ottenere un'autorizzazione all'uso 
    legale di marijuana attraverso un programma "Compassionate IND" della FDA, 
    nonostante la procedura prevista sia incredibilmente lenta e 
  complicata.2.4.2 2a Testimonianza - Letteratura Medica D.B. Clifford, Annals of 
  Neurology
  
    
  
La marijuana era stata usata per contenere il tremore, con 
    somministrazione quasi quotidiana per almeno un anno intero prima di questo 
    studio, senza evidenze di una diminuzione degli effetti nel tempo. La dose 
    iniziale di 5 mg di THC aveva come risultato una diminuzione del tremore al 
    capo e al collo nel giro di 30+60 minuti e la durata dell'effetto era di 
    circa sei ore. La dose procurava al paziente uno stato di ebbrezza assai 
    blando, che non sembrava indebolire la capacità di discernimento. La leggera 
    atassia delle mani osservata nelle prove dito-naso era pressoché immutata, 
    ma la capacità del paziente di scrivere ne era notevolmente accresciuta (si 
    veda la figura 1) e il suo uso delle posate risultava nettamente migliorato. 
    Quando le pillole venivano sostituite con dei placebo non si registravano 
    miglioramenti, nonostante la sensazione di euforia. Prove ripetute con la 
    sostanza attiva in due casi confermarono ancora questo tipo di 
  reazione.
registrate prima e novanta minuti dopo l'ingerimento di 5mg di 
  tetraidrocannabinolo.
Riprodotto da D.B. Clifford, "Tetrahydrocannabinol 
  for Tremor in Multiple
Sclerosis", Annals of Neurology 13 (1983): 
  669-671.2.4.3 3a Testimonianza - Letteratura Medica H.M. Meinck, P.W. Schijnle e 
  B. Conrad, Journal of Neurology
  
Riprodotto da H.M. Meinck, P.W. Schijnle e B. 
  Conrad, "Effect ofCannabinoids on Spasticity and Ataxia in Multiple 
  Sclerosis", Journal ofNeurology 236 (1989): 120-1222.4.4 4a Testimonianza - Debbie Talshir
  
marijuana. Eccola 
  raccontare la sua storia:
    
  
Per la nevrite mi diedero l'ACTH. Misi su circa 45 
    chili perché ritenevo l'acqua e il mio appetito era aumentato in maniera 
    impressionante (morivo sempre di fame). l'ACTH causava anche sbalzi di umore 
    che mi resero insopportabile a colleghi e amici. Persino io ne ero 
    spaventata. Alla fine andarono calando, solo per ritornare un anno e mezzo 
    dopo, assieme alla nevrite ottica. Stavolta un collega mi consigliò la 
    marijuana e provai a fumare un paio di sigarette al giorno. Non guadagnai 
    peso né ebbi sbalzi di umore e la nevrite ottica si placò nel giro di tre 
    settimane.
Poiché la SM progrediva, mi fu prescritto il Lioresal 
    (baclofene) per gli spasmi muscolari. Sì, causò effetti collaterali: 
    sonnolenza e letargia generale. Ho scoperto che la marijuana arresta gli 
    spasmi e rilassa i muscoli, ma non tanto da metterli fuori uso. Il mio 
    neurologo al Massachusetts GeneraI Hospital, dove mi è stata fatta la prima 
    delle diagnosi, e il neurologo presso il quale sono attualmente in cura qui 
    a Capo Cod sanno che faccio uso di marijuana per contenere quei sintomi, e 
    non solo quelli. È un dato che risulta dalla mia cartella clinica, eppure 
    loro non intendono
[non possono] rilasciarmi prescrizioni legali di 
    marijuana: molto scoraggiante, ma comprensibile nell'attuale clima di guerra 
    alla droga. Dal 1980 sono costretta sulla sedia a rotelle. Non riesco a 
    mangiare se prima non fumo un po' di marijuana; rilassa i muscoli sfinterici 
    dello stomaco e dell'esofago. La mia perdita di appetito è profonda, ma se 
    fumo una sigaretta di marijuana sono rilassata e riesco a tenere giù il 
    cibo. Spesso ho difficoltà a respirare. Non vedo perché fumare dovrebbe 
    rilassare i meccanismi respiratori, eppure la marijuana ci riesce.
Per 
    me la marijuana è essenziale. Non tremo più, posso mangiare, posso 
    respirare. Ha un effetto molto benefico perfino sulla mia vescica 
    neurogena - un problema neurologico per il quale una persona perde il 
    controllo sui muscoli sfinterici della vescica. Se c'è anche una sola goccia 
    di urina nella vescica, i muscoli sfinterici cominciano ad avere gli spasmi 
    e si hanno perdite di urina. La marijuana non risolve il problema, ma aiuta. 
    Generalmente fumo cinque sigarette di marijuana al giorno.
Sono molto 
    arrabbiata per il fatto di trovarmi ad avere a che fare con persone con le 
    quali normalmente non socializzerei, come gli spacciatori di droga. Devo 
    anche risparmiare delle belle somme se voglio procurarmi la marijuana, che 
    sta diventando sempre più difficile da trovare. Mi ritrovo a correre di qua 
    e di là, a fare telefonate e a dedicare la maggior parte del mio tempo alla 
    ricerca della marijuana.2.4.5 5a Testimonianza - Testimonianza Anonima di uno Psichiatra 
  
    
  
Il lavoro era duro, frenetico e impegnativo, ma molto 
    soddisfacente. Scendere di giri alla fine della giornata era difficile, e 
    trovavo che fumare una piccolissima quantità di marijuana all'ora di andare 
    a letto mi permettesse di rilassarmi e prender sonno. Nel 1986 erano ormai 
    circa quindici anni che fumavo e non mi preoccupavo della possibilità che 
    una quantità così modesta mi facesse male. In merito a questo, dal 1986 al 
    1989 non ho fatto che combattere una pacifica battaglia con il mio 
    psichiatra. Sentivo che la mia esperienza era del tutto positiva e che 
    qualsiasi effetto negativo avrebbe già dovuto manifestarsi, nell'arco di 
    quindici anni. Il mio dottore, comunque, pensava che non avrei dovuto fare 
    uso di una droga non controllata e, tra parentesi, 
    illegale.
Nell'ottobre del 1989 acconsentii a sostituire la marijuana 
    con il Desyrel [trazodone, un antidepressivo con proprietà sedative]. Anche 
    se non era altrettanto efficace e al mattino mi risvegliavo con il cerchio 
    alla testa, la sostituzione sembrò accettabile per qualche giorno. La sesta 
    mattina, tuttavia, mi resi conto che avevo perso gran parte della mia 
    capacità di stare in equilibrio. Riuscivo a malapena a mettermi in posizione 
    eretta o a camminare senza sostegno. Mentre stavo guidando, diretta allo 
    studio del mio dottore, scoprii anche che quello che chiamo "il mio pilota 
    automatico" era stato disattivato. Le attività che normalmente svolgevo in 
    modo inconscio, come guidare, ora richiedevano un impegno consapevole. 
    Dovetti perfino riimparare da quale parte girare la chiave per aprire la 
    macchina. Inoltre mi sentivo più stanca di quanto non fossi mai stata 
    prima.
Nelle sei settimane seguenti non presi nessun tipo di 
    medicinale, nemmeno l'aspirina, mentre i dottori mi sottoponevano a esami 
    per ogni malattia nota alla medicina occidentale. Durante questo periodo le 
    mie condizioni non migliorarono. Dopo le analisi ricevetti la notizia 
    devastante che soffrivo di sclerosi multipla, una malattia nervosa 
    incurabile contro la quale c'erano poche possibilità di impostare una 
    terapia sensata. Sebbene mi fosse stato detto che i sintomi della SM vanno e 
    vengono senza preavviso, l'evidente coincidenza mi intrigava, e con 
    esitazione sollevai la questione della marijuana con un neurologo. Ricevetti 
    una rabbiosa lavata di capo e un invito a ritornare solo quando fossi stata 
    in grado di superare un esame antidroga.
A quel punto non potevo 
    lasciar perdere. La logica imponeva che almeno provassi a fumare marijuana. 
    Il mio dottore [lo psichiatra] era ancora contrario, ma in realtà manifestò 
    un certo interesse per ciò che sarebbe potuto succedere, così decisi di 
    cominciare. Circa una settimana dopo notai un miglioramento, e poche 
    settimane più tardi ero in grado di tornare al lavoro alI '85% circa del mio 
    normale rendimento.
Il miglioramento poteva anche essere stato spontaneo 
    -la SM è molto volubile -ma io non ero in vena di correre rischi e continuai 
    a fumare fino alla primavera del 1990, quando rimasi senza marijuana e non 
    riuscii a procurarmene dell'altra. Nel giro di una settimana tutti i miei 
    disturbi erano nuovamente gravi.
I miei medici pensavano ancora che 
    fosse una coincidenza, ma io non la pensavo allo stesso modo. Cominciai una 
    ricerca a scala nazionale per potermi rifornire di marijuana e per trovare 
    un neurologo che almeno ascoltasse la mia storia a mente aperta. Trovai la 
    marijuana, ma non il neurologo. Siccome è contro la legge condurre 
    esperimenti che prevedono l'uso di marijuana, non ci sono prove scientifiche 
    delle sue proprietà terapeutiche; e, siccome non ci sono dimostrazioni 
    scientifiche delle sue proprietà terapeutiche, il governo non autorizzerà la 
    sperimentazione.
Quando alla fine ricevetti un po' di marijuana da un 
    amico e ripresi a fumare, ritornai soltanto al 60% della mia normale 
    efficienza, sicché potevo lavorare soltanto a casa. In seguito, sempre nel 
    1990, si ripeté la stessa sequenza di eventi, e stavolta ritornai a meno del 
    50% del mio normale rendimento. Non ero più in grado di lavorare per più di 
    mezz' ora alla volta. All'inizio del 1991 mi hanno messa a riposo 
    riconoscendomi disabile al 100%.
Ho ancora una piccola scorta di 
    marijuana, e ho paura di quello che succederà quando l'avrò finita. Nel 
    frattempo sto cercando un neurologo che faccia richiesta per me di un 
    "Compassionate IND", e sto pregando perché le leggi vengano 
  cambiate.2.5 Paraplegia e quadriplegia
  2.5.1 La seguente testimonianza di Chris 
  Woiderski è, in questo senso, eloquente:
  
    
  
Alle volte pensavo che le cose non avrebbero potuto andarmi 
    meglio. Avevo un buon lavoro, guadagnavo un bel po' di soldi e vivevo con la 
    donna che avrei sposato di lì a pochi mesi. Poi, nel giugno del 1989, 
    riportai accidentalmente una ferita da arma da fuoco. Fui portato di corsa 
    inospedale e operato d'urgenza. Mi svegliai la mattina seguente in uno stato 
    semi-confusionale, sentendo il dolore causato dai tubicini che avevo nel 
    torace e in gola. Dopo dieci giorni passati nel reparto di terapia 
    intensiva, un neurologo mi disse che non c'era nulla da fare per 
    me.
Anche se il proiettile aveva mancato il midollo spinale, il 
    trauma mi aveva lasciato paralizzato per sempre dal torace in giù. Quando 
    alla fine mi resi conto che non sarei mai guarito, mi prese una rabbia che 
    non mi abbandonò più.
Non ero più in grado di lavorare, perciò supplii 
    con una magra pensione della previdenza sociale. Fortunatamente,avevo 
    prestato servizio nella Marina e avevo i requisiti per poter ricevere 
    medicinali e assistenza medica dalla Veterans' Administration [VA]. La mia 
    ragazza, dopo essere rimasta per due mesi ad assistere ai miei tentativi di 
    svolgere le attività più elementari (vestirsi, fare la doccia, entrare e 
    uscire dal letto), non riuscì a sopportare oltre la situazione e tornò a 
    casa dei suoi genitori.
Quattro mesi dopo l'incidente cominciai a 
    provare quelle strane, in un certo senso dolorose, sensazioni note come 
    spasmi muscolari. Dapprima gli spasmi interessarono solo i piedi e le 
    gambe sotto il ginocchio, ma presto li avvertii in tutti i muscoli 
    paralizzati. Mi diedero un farmaco chiamato baclofene, ma anche la massima 
    dose consentita non arrecava grandi benefici. In compenso, c'era una gran 
    quantità di effetti collaterali spiacevoli: sonnolenza, forti mal di testa, 
    sudorazione eccessiva, insonnia, arsura della bocca. I miei spasmi 
    diventavano sempre più violenti, e una notte mi fecero cadere dal letto. 
    Dopo quella volta il dottore mi prescrisse 20 mg al giorno di Valium, poi 
    altri 20 mg. Stavo diventando uno zombie farmaceutico.
C'erano 
    molti altri pazienti paralitici all'ospedale della VA. Alcuni erano 
    paraplegici da più di vent'anni. Mi raccontarono che avevano buttato via da 
    anni i medicinali prescritti contro gli spasmi, e ora invece usavano la 
    marijuana. Dicevano che funzionava meglio e che aveva di gran lunga meno 
    effetti collaterali. La provai. Una sigaretta di marijuana mi diede 
    immediato sollievo senza gli effetti collaterali debilitanti del Valium e 
    del baclofene. Attività quotidiane come farsi la doccia e vestirsi 
    diventarono notevolmente più semplici da svolgere. Da allora, ogni volta 
    che riesco a procurarmi la marijuana, ne fumo dalle tre alle quattro 
    sigarette al giorno. Non ho quasi più spasmi, e posso fare a meno di 
    prendere ogni giorno dodici pillole, altamente tossiche e capaci di indurre 
    dipendenza. Ho anche scoperto di poter raggiungere l'erezione quando fumo 
    marijuana; l'unico modo in cui potevo riuscirci prima era iniettarmi della 
    prostaglandina direttamente nel pene.
Circa due terzi dei 
    pazienti paralitici che ho conosciuto usano la marijuana per lenire gli 
    spasmi e i dolori muscolari. Le attuali norme della Drug Enforcement 
    Administration proibiscono ai nostri medici di prescriverci la marijuana. In 
    questi giorni il governo sta alimentando una guerra alla droga che in 
    pratica va a colpire me e altri paralitici. Questo non è soltanto 
    irragionevole e scorretto, ma clamorosamente immorale. Solo perché scegliamo 
    di impiegare la sostanza più efficace e innocua per curare i nostri 
    disturbi, il governo ci colloca ingiustamente nella stessa categoria 
    criminale degli eroinomani.
Ho presentato alla Food and Drug 
    Administration una richiesta di Investigational New Drug (IND). È la stessa 
    procedura che è stata seguita da molti altri americani che si sono 
    conquistati il diritto di fumare marijuana legalmente per scopi medici. 
    Spero che la mia richiesta venga accolta favorevolmente. Altrimenti, 
    continuerò a fumare marijuana in ogni caso e rischierò di essere arrestato, 
    processato e incarcerato ingiustamente.
    Un 
  paziente di trent'anni soffriva di sclerosi multipla da sei anni ed era stato 
  costretto sulla sedia a rotelle a causa dei suoi spasmi muscolari e atassia. 
  Le sue erezioni duravano meno di cinque minuti, e non era in grado di 
  eiaculare. Quando fumava marijuana, sia le sue capacità motorie, sia le sue 
  funzioni sessuali miglioravano immediatamente. Ora può sostenere un'erezione 
  per più di mezz'ora e la sua vita sessuale è 
  soddisfacente.
    Ancora una volta, molti 
  pazienti hanno scoperto, per passaparola o grazie ai gruppi di sostegno, un 
  uso medicinale della marijuana del quale i medici non potrebbero informarli. 
  L'odore del fumo di mari juana è, a quanto dicono, onnipresente in alcune 
  corsie del reparto di paraplegia e quadriplegia dell'ospedale della VA. 
  un'indagine condotta nel 1982 su quarantatré persone con lesioni al midollo 
  spinale mise in evidenza che ventidue di loro stavano facendo uso di marijuana 
  per curare i loro spasmi muscolari. La percentuale è probabilmente aumentata 
  nel decennio scorso. Tuttavia, ancora oggi, pochissimo appare in merito a 
  questo argomento nella letteratura medica. Siamo riusciti a trovare un solo 
  studio recente. Nel 1990 tre neurologi svizzeri hanno pubblicato un resoconto 
  sulla cura di un paziente paraplegico, soggetto a spasmi dolorosi a entrambe 
  le gambe, che venivano curati con la continua somministrazione di baclofene e 
  clonazepam (un farmaco ansiolitico paragonabile al Valium), oltre alla codeina 
  per i dolori. Gli esperimenti si svolsero in due fasi. Nella prima fase il 
  paziente prese il THC per via orale invece della codeina, quattordici volte 
  nell'arco di tre mesi. Nella seconda fase gli furono dati o 5 mg di THC per 
  via orale, o 50 mg di codeina per via orale, o un placebo. Le tre condizioni 
  sperimentali furono applicate diciotto volte ciascuna nell'arco di cinque 
  mesi. Il paziente continuò a prendere baclofene e clonazepam per tutta la 
  durata dell'esperimento. Messi a paragone con il placebo, la codeina e il THC 
  migliorarono la qualità del sonno ed entrambi produssero un effetto 
  analgesico, ma solo il THC attenuò gli spasmi muscolari. Sia il THC, sia la 
  codeina attenuarono l'incontinenza urinaria del paziente, migliorarono il suo 
  umore e la sua capacità di concentrarsi nel lavoro intellettuale. Poiché il 
  THC era efficace quanto la codeina sotto la maggior parte degli aspetti, e 
  migliore nella prevenzione degli spasmi muscolari, i neurologi conclusero che 
  avrebbe dovuto essere preso in considerazione nella cura dei paraplegici.
2.6 AIDS
    Il periodo di 
  incubazione (tra il contagio e la manifestazione dei sintomi) è variabile, ma 
  in media dura dagli otto ai dieci anni. Si ritiene che quasi tutti i soggetti 
  contagiati diventeranno, prima o poi, malati conclamati. Non si conoscono 
  cure. Le infezioni opportunistiche e i neoplasmi (crescite cancerose) possono 
  essere curate con metodi convenzionali, e il virus stesso può essere attaccato 
  con farmaci antivirali, tra i quali il più conosciuto è la zidovudina (AZT). 
  Sfortunatamente l'AZT interrompe la produzione dei globuli rossi da parte del 
  midollo osseo, fa diminuire il numero dei globuli bianchi e ha molti effetti 
  dannosi sull'apparato digerente. Alle volte provoca una forte nausea che 
  aumenta il pericolo di semi-inedia per pazienti che già soffrono di nausea e 
  perdono peso a causa della malattia.2.6 Ron Mason, di trentatré anni, racconta 
  la sua storia:
  
    
  
Il 23 dicembre 1986 è un giorno che mi 
    ricorderò per tutta la vita: il giorno in cui feci gli esami dell'HIV e 
    scoprii di essere sieropositivo. Le grandi chiazze rosso porpora che avevo 
    sulle gambe - lo avrei appreso in seguito - erano il risultato di emorragie 
    provocate dall 'infezione da HIV. L'HIV era la causa anche della mia grave 
    psoriasi. Già nell'aprile del 1984, i dottori di una clinica gay VD mi 
    avevano affidato a quella che in seguito sarebbe diventata famosa come la 
    clinica dell'AIDS di Chicago. Rimasi in terapia presso i medici di quella 
    clinica per sette anni e misi su 18 chili, raggiungendo un peso normale. I 
    medici sapevano che fumavo marijuana e non me lo proibivano, anche se 
    raccomandavano una certa moderazione. lo non sono in grado di tollerare 
    l'AZT a causa della mia anemia. Tutti gli altri farmaci antivirali sono 
    dannosi per il mio fegato affetto da epatite.
Tre anni fa uno dei 
    miei dottori mi ha detto che faccio parte di un esiguo gruppo di persone che 
    sono state in cura presso la clinica per diversi anni e non sono morte né 
    sono gravemente malate; i medici non sanno perché. lo attribuisco parte di 
    questo buon risultato al fatto che fumo marijuana. Mi fa sentire come se io 
    stessi vivendo, anche con l'AIDS, piuttosto che semplicemente esistere. Mi 
    torna l'appetito e, una volta che ho mangiato, non sento più la nausea. La 
    marijuana migliora la mia disposizione d'animo, e questo mi fa sentire 
    meglio anche fisicamente.
Ho rischiato per due volte di morire 
    a causa di reazioni allergiche al Composto Q di Reichstein 
    (deossicorticosterone, N.d.T.), un estratto della radice del cetriolo 
    selvatico cinese che distrugge le cellule immunitarie infette. Il Composto Q 
    è illegale, ma il governo preferisce far finta di guardare dall'altra parte. 
    Perché non può fare la stessa cosa con la marijuana? Entrambe le sostanze 
    sono illegali ed entrambe sono usate nella cura dei malati di AIDS. Una può 
    metterti nei guai, è l'altra no. Che ridere!
Nella primavera del 
    1990, alla periferia di Chicago, sono stato arrestato per possesso di 
    marijuana e la macchina mi è stata sequestrata. Non solo ho perso la mia 
    medicina, ma ora trovo difficile raggiungere la clinica dell'AIDS nel centro 
    di Chicago. Il mio appetito non è più quello di una volta, ho perso più di 
    sei chili, mi stanco più facilmente e alle volte sono così debilitato che mi 
    sento come se dovessi vomitare. Sto prendendo il Prozac (fluossetina, un 
    antidepressivo) prescritto da un medico di periferia che non sa praticamente 
    nulla dell'AIDS o dell'epatite B. Sono molto depresso e diverse volte ho 
    meditato il suicidio. Ho dovuto attingere al mio credito bancario per un 
    totale di tremila dollari per pagare le spese legali di due cause. L'accusa 
    di reato è stata respinta, e ora sto cercando di riavere indietro la 
    macchina (questa è la causa civile federale) in modo da poter andare alla 
    clinica dell'AIDS. Il mio avvocato mi dice che potrei spuntarla. Ma anche se 
    così fosse, come potrò alleviare la nausea e stimolare l'appetito in modo da 
    sentirmi meglio? Ho provato il Marinol e non ha avuto effetto. Cosa dovrei 
    fare? Non far niente? Se per me l'unico modo di stare in salute è fumare 
    marijuana e, di conseguenza, sentirmi abbastanza bene da riuscire a 
    mangiare, perché non mi è consentito? Mi auguro che il governo la smetta di 
    essere così ipocrita e mi permetta di fare ciò di cui ho bisogno per vivere 
    il resto dei miei giorni nel massimo benessere possibile.2.6.2 2a Testimonianza - Dottor Z 
  (Anonimo)
  
    
  
Circa due anni fa mi diagnosticarono l'ARC. I miei 
    sintomi comprendevano esaurimento, mal di testa, forti crampi alle gambe, 
    nausea e occasionali eccessi di sudorazione. l'AZT non riusciva a placare 
    nessuno di questi sintomi (anzi, rendeva più acuta la nausea), ma 
    effettivamente rallentò il progresso della malattia. Avevo l'armadietto dei 
    medicinali pieno di barbiturici e narcotici, tutti potenti farmaci legali 
    della Classe [Tabella] II, contro i dolori e il malessere. Sebbene questi 
    farmaci fossero d'aiuto, spesso mi lasciavano ancora più affaticato e 
    letargico. Le pillole che prendevo per i dolori alle gambe mi mettevano 
    sottosopra l'intestino. Questo problema, unito alla nausea provocata 
    dall'AZT, rendeva necessaria un'altra pillola, un antiemetico. Tutto 
    sommato, tra pillole, dolori e nausea, non era uno stile di vita che mi 
    rendesse impaziente di cominciare una nuova giornata.
Continuai a 
    "vivere" in questo modo finché non fui invitato a una festa da amici che non 
    vedevo da un po' di tempo. Ero alquanto riluttante ad andare, dato che avevo 
    il solito mal di testa pulsante e i crampi alle gambe, ma sentivo il bisogno 
    di socializzare. Qualcuno tirò fuori un po' di erba, e presto mi ritrovai 
    senza mal di testa e con appena un lievissimo disagio alle gambe. Non potevo 
    crederci: libero dai dolori senza gli effetti collaterali dei narcotici. In 
    effetti, mi sentivo meglio di quanto non mi fossi mai sentito dal momento 
    della diagnosi. Fidatevi di me, non ero nemmeno in uno stato semicomatoso. 
    Non ero più rilassato di quanto non sia dopo un paio di Martini, più 
    accettabili sul piano sociale.
Chiedendomi se la mia scoperta avesse 
    qualche fondamento concreto, parlai della marijuana con altri malati di 
    AIDS. In modo quasi unanime, mi dissero che li faceva stare 
    meglio.
Sfortunatamente, data l'attuale politica statunitense, la 
    maggior parte dei pazienti (me compreso) non vuole rischiare una denuncia e 
    una causa. È abbastanza tragico affrontare una diagnosi di AIDS, ma 
    affiancare a questo problema anche le accuse di reato sarebbe 
    insopportabile. Così dobbiamo continuare a usare narcotici e barbiturici 
    della Classe II, potenti e in grado di indurre dipendenza, quando una droga 
    illegale offrirebbe maggiore sollievo.
Recentemente ho visitato 
    Amsterdam, una città dove l'uso della marijuana è tollerato. Non è legale in 
    senso stretto,ma non è punito come reato. Credetemi, mi sentivo come se 
    fossi guarito dall'AIDS. Nonostante io prenda abitualmente dalle otto alle 
    dodici pillole al giorno, non ne ho praticamente prese finché sono stato là. 
    Fumavo ogni volta che ne sentivo il bisogno, generalmente quando mi veniva 
    la nausea o avevo crampi alle gambe o mal di testa: due o tre sigarette al 
    giorno. Spesso ero libero da sintomi per la maggior parte della giornata, 
    senza dovermi preoccupare di essere arrestato. Potevo comportarmi da adulto 
    responsabile e fare uso di marijuana quando ne avvertivo la necessità, così 
    come usavo le pillole a casa. Mi sentivo ancora una volta completamente vivo 
    -una rarità quando si è malati di AIDS.
Sfortunatamente, la cura fu 
    di breve durata. Di ritorno negli Stati Uniti dovetti ricominciare a usare 
    gli antinevralgici e antiemetici legali.
Essere contemporaneamente medico 
    e paziente affetto dall'HIV è stata una fortuna a metà. Ho visto molte 
    persone soffrire e morire e mi rendo conto che, probabilmente, questo sarà 
    anche il mio destino. Ma so anche che c'è una medicina, e cioè la marijuana, 
    che lenisce almeno in parte la sofferenza e può rendere più producente la 
    vita di un malato di AIDS. Tuttavia la marijuana, in questa dolce e gentile 
    America, non può essere prescritta. Una cosa del genere è assolutamente 
    INCONCEPIBILE. Al tasso con cui l'epidemia si sta diffondendo, presto 
    toccherà a tutti noi conoscere qualcuno che è affetto dall 'HIV o che lo 
    sarà. La nostra società è così disumana da continuare a permettere che la 
    "guerra alla droga", voluta da questo governo, costringa persone così 
    gravemente sofferenti a diventare criminali o a continuare a soffrire 
    inutilmente?
    Il dottor Z si 
  rivolse a quattro farmacie prima di trovarne una che gli fornisse il farmaco 
  prescritto. Dopo un'attesa di cinque giorni, ottenne la dose stabilita. Cinque 
  giorni di prova si rivelarono inutili. Allora, di sua iniziativa, aumentò le 
  dosi fino a 5 mg due volte al giorno e constatò qualche 
  miglioramento.
Eppure, presto tornò a fare uso di marijuana, malgrado le 
  sanzioni previste dalla legge. Fumare marijuana gli permetteva di regolare la 
  dose per un tasso costante nel sangue e la marijuana illegale alleviava i suoi 
  sintomi meglio di quanto non facesse il Marinol legale: un fatto, questo, ben 
  noto ai pazienti che hanno provato entrambe le 
  sostanze.
    L'unico studio pubblicato fino a oggi 
  sull'applicazione del dronabinolum alla cura dell'AIDS ha dimostrato la sua 
  utilità per pazienti con infezioni sintomatiche da HIV. Oltre ad alleviare la 
  nausea, il dronabinolum ha indotto un significativo aumento di peso nel 70% 
  dei pazienti. Comunque, circa un quinto dei
pazienti ha smesso di prendere 
  il farmaco a causa dei suoi spiacevoli effetti 
  psicotropi.
    Questi risultati sono più o meno 
  concordi con quelli ottenuti dagli esperimenti con il Marinol nella cura della 
  nausea e del vomito che accompagnano la chemioterapia. La maggior parte di 
  quei pazienti preferiva fumare marijuana, e si può sospettare che lo stesso 
  accadrebbe con i malati di AIDS, proprio come nel caso del dottor 
  Z.
    La più recente acquisizione dell'arsenale 
  anti-AIDS è un farmaco chiamato foscarnet sodico (Foscavir@). Circa il 20% dei 
  malati di AIDS sviluppa il cytomegalovirus retinitis, una malattia infettiva 
  dell'occhio che può portare alla cecità. Il foscarnet sodico è stato messo a 
  punto per curare questa malattia; con uno studio recente si è scoperto che 
  inoltre prolunga considerevolmente la vita dei malati di AIDS.21 
  Sfortunatamente, tra gli altri gravi effetti collaterali, provoca nausea. Ci 
  sono tutte le ragioni per ritenere che questa nausea possa 'essere attenuata 
  grazie alla cannabis. Se le cose stanno così, e se le speranze riposte nel 
  foscarnet sodico produrranno oro, ci sarà una ragione di più perché i malati 
  di AIDS facciano uso di marijuana.
    Chi ne fa 
  uso a scopo ricreativo sa bene che la marijuana stimola l'appetito. Queste 
  persone sono da tempo consapevoli che l'effetto della marijuana non si limita 
  ad accrescere il loro appetito, ma esalta il sapore del cibo e il piacere di 
  mangiare. Questo effetto è stato dimostrato sperimentalmente più di una volta. 
  In uno studio condotto nel 1971, a quattro gruppi di soggetti furono 
  somministrati estratto di marijuana, alcol, destroamfetamina o un placebo dopo 
  dodici ore di digiuno. Poi si offrivano loro dei frappé a intervalli di tempo 
  prestabiliti e ci si informava sul loro appetito e sul loro apprezzamento del 
  cibo. I soggetti che avevano ricevuto la marijuana si sentivano più affamati e 
  mangiavano di più; quelli che avevano preso la destro-amfetamina si sentivano 
  meno affamati e mangiavano di meno; l'alcol aveva un effetto 
  trascurabile.
    In uno studio successivo, il peso 
  corporeo e l'apporto calorico di ventisette fumatori di marijuana e di dieci 
  soggetti di controllo furono messi a paragone per ventuno giorni nel reparto 
  di ricerca di un ospedale. I fumatori di marijuana mangiavano di più e misero 
  su peso (i soggetti di controllo no). Quando smisero di fumare marijuana, 
  cominciarono immediatamente a mangiare di meno. La capacità della marijuana di 
  stimolare l'appetito è stata dimostrata ancora in tempi più recenti. Nove 
  soggetti fumarono dalle due alle tre sigarette di placebo ogni giorno, per poi 
  passare a sigarette di marijuana di potenza media. Il loro consumo di cibo 
  aumentò in modo significativo, principalmente a causa di spuntini più 
  frequenti piuttosto che di pasti più abbondanti.
2.7 Dolori cronici
    In 
  un altro esperimento condotto nel 1975, furono messi a confronto gli effetti 
  della codeina, del THC e di un placebo su trentasei pazienti con un cancro in 
  forma avanzata. Codeina e THC furono efficaci in ugual misura, ma alcuni 
  pazienti trovarono spiacevoli gli effetti psicoattivi del THC (20 mg, contro 
  120 mg di codeina). Bisognerebbe tener presente che nessuno di quei pazienti 
  sapeva quale sostanza stesse prendendo; la maggior parte di loro non aveva mai 
  fatto uso di marijuana ed era impreparata di fronte all'alterazione dello 
  stato di coscienza. Se fossero stati preparati, avrebbero potuto non trovarsi 
  a disagio.
    Nello stesso anno, alcuni 
  ricercatori canadesi studiarono l'effetto analgesico della marijuana, 
  consumata sotto forma di sigarette, su soggetti sani, metà dei quali aveva già 
  fatto uso di cannabis in passato. La loro sopportazione del dolore prodotto da 
  una pressione sull'unghia del pollice aumentava in misura significativa dopo 
  che avevano fumato marijuana, e l'effetto analgesico era maggiore tra i 
  consumatori più esperti.
    La cannabis può essere 
  particolarmente utile nell'attenuazione di alcuni tipi specifici di dolore 
  cronico. La seguente testimonianza è stata scritta da un uomo che soffre di 
  pseudopseudoipoparatiroidismo, una malattia ereditaria che si deve a reazioni 
  anormali a un ormone secreto dalle ghiandole paratiroidi. Questo ormone regola 
  il contenuto di calcio nel corpo. Quando la sua secrezione è insufficiente o 
  quando qualche tessuto corporeo reagisce a esso in maniera inadeguata 
  (ipoparatiroidismo), si possono manifestare vari sintomi, tra i quali spasmi 
  muscolari, convulsioni e, nella variante nota come 
  pseudopseudoipoparatiroidismo, lo sviluppo di speroni ossei che crescono nei 
  tessuti muscolari e nervosi provocando dolori lancinanti.2.7.1 Irvin Rosenfeld è un agente di cambio 
  trentanovenne di North Lauderhill, Florida. Questa è la sua storia:
  
    
  
I dottori dell'Ospedale dei Bambini mi 
    trovarono più di 250 tumori ossei tra braccia, gambe e bacino. In questa 
    malattia ciascun tumore può diventare maligno, ma nel mio caso ce n'erano 
    così tanti che non era possibile rimuoverli chirurgicamente tutti. La 
    crescita rapida e irregolare del tessuto osseo è acutamente dolorosa e può 
    causare lesioni menomanti. Gli speroni ossei premono contro i fasci nervosi, 
    fanno impigliare le arterie e impediscono un funzionamento sciolto dei 
    muscoli. Se gli speroni sono frastagliati, lacerano il tessuto muscolare e 
    provocano emorragie interne. Se spuntano all'improvviso e crescono 
    rapidamente, possono interferire con una crescita normale e causare 
    malformazioni e deformità. L'unica nota positiva è che le esostosi multiple 
    cartilaginee non durano per tutta la vita. Al termine dell'età dello 
    sviluppo, attorno ai diciassette anni, gli speroni ossei cessano di formarsi 
    e di crescere. In teoria, la malattia tende a placarsi, se non si muore 
    dissanguati o non si rimane storpi in giovane età.
Per evitare una 
    simile evenienza, affrontai tre operazioni alla gamba sinistra e una al 
    polso destro tra i dieci e i diciassette anni. Eppure continuai ad avere 
    problemi, principalmente a causa delle emorragie e delle lacerazioni 
    muscolari. Già a dodici anni ero spesso incapace di camminare e di muovermi 
    normalmente. Fui costretto a lasciare la scuola pubblica all'ottavo anno, ma 
    lo Stato della Virginia mi affidò a dei tutori formidabili fino al diploma. 
    C'erano giorni in cui riuscivo a camminare e persino a correre, ma per 
    lunghi periodi potevo a malapena muovermi. Il dolore era costante e spesso 
    insopportabile; a partire dall'età di quattordici anni mi furono necessari 
    dei potenti narcotici per attenuarlo. A diciannove anni prendevo 300 mg al 
    giorno di Sopor [metaqualone, un potente sedativo] e forti dosi di Dilaudid 
    [idromorfone, un narcotico oppiaceo]. Questi fannaci riducevano il dolore, 
    ma facevano anche diminuire la mia lucidità mentale e interferivano con la 
    mia vita. Non sviluppai dipendenza, ma ero estremamente affaticato e a volte 
    "sconvolto". Se riducevo le dosi con l'intento di recuperare la lucidità, il 
    dolore ritornava. Tutto quello che ricordo, a parte il dolore, è quel senso 
    di attesa; attendevo che la mia crescita terminasse.
Quando avevo 
    diciassette anni, le visite e le radiografie indicarono che i tumori ossei 
    avevano cessato di crescere. Nonostante il dolore persistente, avevo la 
    sensazione di aver superato la crisi e pensavo che le mie condizioni si 
    sarebbero stabilizzate in breve tempo. Ma poi, a vent' anni, un altro 
    massiccio sperone osseo spuntò nella mia caviglia destra. I medici supposero 
    che fosse una manifestazione tardiva di una crescita latente, e lo 
    rimossero. Dissero che probabilmente sarebbe stato l'ultimo tumore osseo che 
    avrei mai avuto. Invece, ricomparve e crebbe con sconcertante rapidità, 
    finché non si estese per tredici centimetri su per la gamba, creando un 
    ponte di tessuto osseo che fuse caviglia e gamba insieme. L'intervento 
    chirurgico era impossibile; il tumore era troppo grande. I dottori decisero 
    di amputarmi il piede destro da sopra la caviglia.
A quel punto, per 
    la prima volta, misi i miei dottori in discussione. Era sempre più chiaro 
    che i tumori continuavano a crescere e che nuovi speroni si sviluppavano. Se 
    avessi acconsentito in quell'occasione, che cosa avrebbero dovuto amputarmi 
    la volta dopo? Un braccio? Un pezzo di gamba? Dissi di no. Nessuna 
    amputazione. Se il tumore che stava crescendo rapidamente avesse dovuto 
    rivelarsi maligno, che fosse. Ero troppo giovane per rimanere storpio per il 
    resto di quella che avrebbe potuto essere una vita breve. Decisi di vivere 
    come meglio, come più pienamente potevo per il maggior tempo 
    possibile.
Quando avevo ventidue anni un altro tumore spuntò dal mio 
    bacino e si sviluppò nell'inguine. Questo tumore venne asportato con un 
    intervento chirurgico. Nel frattempo cominciai a cercare altre opinioni 
    sulla natura del mio male. Consultai senza esito la clinica Mayo, il MedicaI 
    College dell 'Università della Virginia, gli istituti nazionali della sanità 
    (NIH) e l'istituto nazionale dei tumori (NCI). In quel periodo il mio 
    consumo di farmaci era enorme. Prendevo 140 tavolette di Dilaudid, 30 o più 
    Sopor, e dozzine di miorilassanti e di altre pillole ogni mese. Sentivo che 
    mi stavo rovinando quel po' di salute che mi rimaneva, e spesso 
    gironzolavo in uno stato di disagio. Era difficile condurre una vita 
    normale; se prendevo farmaci in quantità sufficiente a contenere il dolore, 
    avevo difficoltà a concentrarmi sul lavoro.
La situazione mi fece 
    detestare con forza i farmaci e le droghe. Quando ero alle superiori scrissi 
    dei temi contro l'uso delle droghe illegali. Mi sconcertava il fatto che 
    persone che stavano bene introducessero una droga nel proprio corpo per 
    divertimento! Ero ancora di questo parere quando entrai in college in 
    Florida, dove la maggior parte delle persone che incontrai fumava marijuana. 
    Dapprima resistetti con fermezza all'idea di "provare" la marijuana. Stavo 
    già "provando" i farmaci, più di quanti il mio corpo ne potesse sopportare. 
    Ma l'influenza degli amici si fa sentire, e così cominciai a fumare 
    marijuana alle feste, sebbene non abbia mai avuto la più pallida idea di che 
    cosa intenda la gente quando parla dello sballo. Forse io non mi sballo 
    perché ho passato la maggior parte della mia vita prendendo sostanze di gran 
    lunga più potenti della marijuana.
Una sera fumai marijuana con un 
    amico mentre giocavamo a scacchi. I tumori nella parte posteriore delle 
    gambe mi rendevano difficile stare seduto per più di cinque o dieci minuti 
    consecutivi. Ma quella volta mi lasciai talmente assorbire dalla partita, 
    che rimasi seduto per più di un'ora senza provare alcun dolore. Avevo la 
    sensazione di trovarmi in una di quelle vignette intitolate "cosa c'è che 
    non va in questa figura?". Quando sei condizionato dal dolore a vivere nel 
    dolore e all'improvviso non senti più dolore, immediatamente cominci a 
    chiedertene il perché. L'unica cosa insolita che avevo fatto era stata 
    fumare marijuana. Non mi sono mai messo d'impegno a dimostrare a me stesso 
    che mi facesse bene, ma dopo un po' diventò semplicemente ovvio che anche 
    una piccola quantità di marijuana mi offriva una qualità di attenuazione del 
    dolore che non avevo mai provato prima.
Ne parlai al mio dottore, 
    e lui mi suggerì di fare uso di marijuana per sei mesi. Se oltre quel 
    termine avessi avuto ancora la sensazione che mi facesse bene, ne avremmo 
    riparlato. Per i sei mesi successivi fumai regolarmente. La marijuana non 
    solo migliorava enormemente la qualità dell'attenuazione del dolore, ma 
    faceva anche diminuire drasticamente la mia dipendenza dai narcotici 
    oppiacei e dai sonniferi in pillole. Diventai meno ritirato dal mondo e fui 
    in grado di condurre una vita normale.
Allo scadere dei sei mesi feci 
    un resoconto al mio dottore e discutemmo la possibilità di ottenere la 
    marijuana legalmente. Sfortunatamente, egli morì poco tempo dopo questa 
    discussione e io fui costretto a mettermi in cerca di un nuovo medico. 
    Scrissi a un mio zio, un pediatra che viveva in Connecticut. Mi mandò un 
    sacco di materiale sugli impieghi medici della marijuana, ma disse che non 
    sapeva proprio se la si potesse ottenere legalmente o no.
Nel 
    frattempo ero tornato a Portsmouth, in Virginia, dove ero stato cresciuto, e 
    avevo aperto un negozio di arredamento. Questo lavoro mi costringeva in 
    piedi, a spostare mobili, per tutta la giornata. Mi laceravo i muscoli e 
    avevo emorragie quasi quotidianamente. Alle volte questi problemi 
    diventavano molto seri. Quando ricevetti il materiale di mio zio, lo portai 
    al Dipartimento di Polizia di Portsmouth e spiegai al comandante quali 
    fossero le mie condizioni di salute. Gli dissi che non potevo permettermi di 
    comperare la marijuana in strada e gli chiesi l'autorizzazione a fumare la 
    marijuana sequestrata dalla polizia durante le retate. Il comandante disse 
    che si sarebbe interessato per vedere cosa si poteva fare. Dopo aver parlato 
    con un bel po' di gente in città - Portsmouth è una città piccola e i miei 
    genitori godono di buona reputazione - mi disse che non poteva autorizzarmi 
    a fare uso di marijuana sequestrata, ma che avrebbe detto ai suoi uomini di 
    lasciarmi in pace, almeno finché non mi fossi messo a vendere la marijuana 
    ma mi fossi limitato a comprarla come medicinale. C'era un'altra condizione: 
    non avrei mai parlato con nessuno di questo accordo informale. Accettai 
    senza esitazioni la proposta del comandante e lo ringraziai.
Il mio 
    nuovo dottore, quando entrai per la prima volta nel suo studio, fece una 
    serie di osservazioni apparentemente banali: uno dei miei mignoli era 
    insolitamente grande, le braccia si curvavano verso l'interno, avevo un 
    collo corto, e così via. Poi mi guardò e disse 
    "pseudopseudoipoparatiroidismo". Mi chiesi se fosse del tutto in sé. Prese 
    un libro di medicina da uno scaffale e mi lesse una descrizione dettagliata 
    della malattia; corrispondeva perfettamente, perfino per quanto riguardava 
    il rapporto con le esostosi multiple cartilaginee. Il dottore si fece 
    improvvisamente molto pacato, e allora gli chiesi cosa c'era che non andava. 
    Mi disse che gli speroni di tessuto osseo avrebbero continuato a svilupparsi 
    per tutto il resto della mia vita, e che ciascuno di essi poteva diventare 
    maligno in qualsiasi momento. Il risultante tumore si sarebbe propagato con 
    rapidità e io sarei morto. Se il cancro non mi avesse ucciso prima, uno 
    sperone osseo avrebbe potuto premere sul midollo spinale e lasciarmi 
    paraplegico, spuntare in una grossa arteria e provocare un'emorragia 
    mortale, o produrre lacerazioni in un organo interno causando lesioni 
    permanenti e magari fatali. E il dolore sarebbe diventato 
    insopportabile.
Chiesi al dottore se sapeva niente sull'uso della 
    marijuana per attenuare il dolore e la spasticità muscolare. Mi chiese cosa 
    ne sapessi io. Lo misi al corrente delle informazioni che avevo ricevuto da 
    mio zio. Il dottore promise che avrebbe esaminato il materiale in mio 
    possesso e disse che gli sarebbe piaciuto occuparsi del mio caso, ma non 
    sapeva come avrebbe potuto procurarmi la marijuana legalmente. Questo 
    dottore mi piaceva molto. Non solo era il primo che sapesse esattamente cosa 
    avevo, ma neppure aveva rifiutato di primo acchito l'idea che la marijuana 
    potesse farmi bene. Disse che, se volevo, potevo continuare a fumare 
    mettendo lo al corrente di ogni eventuale complicazione. Era abbastanza 
    chiaro, comunque, che dubitava delle proprietà medicinali della mari juana e 
    riteneva che io stessi beneficiando di un effetto placebo.
Continuai 
    a fumare marijuana illegalmente per alcuni anni (1976-1979). Sebbene non 
    dovessi temere di essere arrestato, l'assottigliamento del mio capitale era 
    preoccupante; spendevo in marijuana almeno tremila dollari all'anno. Il mio 
    dottore era ormai d'accordo ad aiutarmi, se fossi riuscito a scoprire cosa 
    bisognava fare per ottenere un nullaosta ufficiale. L'unica condizione era 
    che la sua identità rimanesse segreta. C'era troppa irragionevolezza attorno 
    a questo argomento, e lui non voleva rischiare la sua carriera venendo 
    bollato come un "dottor Canna". Lo offendeva il fatto che, come medico 
    abilitato a esercitare la professione, poteva prescrivere la morfina ma non 
    la marijuana. Era una situazione esasperante.
Lui diceva di non avere 
    tempo per compilare una grande quantità di moduli, stendere elaborati 
    protocolli di ricerca, o soddisfare tutte le condizioni di carattere 
    amministrativo poste dall'PDA e dalle altre organizzazioni federali che 
    detengono la giurisdizione in materia di marijuana. Ma era disposto a 
    mettere la sua firma in calce ai moduli se io mi fossi occupato di andare in 
    giro per gli uffici, far compilare i moduli e contattare i funzionari 
    competenti. Non potevo avere idea di quanto tutto ciò sarebbe stato 
    difficile, né di quanto tempo avrebbe richiesto. Ci vollero parecchie 
    centinaia di telefonate e, in termini di tempo, non settimane o mesi, ma 
    anni.
La legge prevede che l'PDA abbia trenta giorni di tempo per 
    rispondere a un protocollo di tipo Investigational New Drug. Quarantacinque 
    giorni dopo aver spedito la richiesta a nome del mio dottore, non avevamo 
    ancora ricevuto notizie dall'PDA, perciò telefonai. Gli impiegati mi dissero 
    cortesemente che avevano qualche problema con il mio IND, ma non potevano 
    dirmi di quali problemi si trattasse; dopotutto, ero solo un paziente. 
    Avrebbero contattato il mio dottore appena pronti. Dopo un'altra lunga 
    attesa, il mio dottore telefonò, fece la stessa domanda e ricevette la 
    stessa, vaga risposta. Diversi mesi più tardi, dopo molte altre telefonate 
    da parte mia, l'PDA spiegò al mio dottore quali fossero i problemi. Erano 
    tutti trascurabili, nella maggior parte dei casi insignificanti. Intuii che 
    il governo sperava che il mio dottore si stancasse e ritirasse la richiesta. 
    Chiaramente, l'PDA nutriva scarso interesse per l'IND e ancor meno per la 
    mia assistenza medica.
L'approvazione arrivò, finalmente, circa un 
    anno dopo la presentazione della richiesta e la prima spedizione di 
    marijuana legale non arrivò che diversi mesi dopo. Dovevamo effettuare esami 
    laboriosi per stabilire di quali benefici stessi godendo; per esempio, una 
    volta alla settimana andavo dal mio dottore per fare un'elettromiografia 
    (EMG), che registra la tensione e la spasticità dei muscoli. Dopo aver 
    ottenuto una lettura di riferimento uscivo dallo studio, andavo al 
    parcheggio e fumavo una o due sigarette di marijuana. Poi rientravo e facevo 
    un'altra EMG.
Ho fumato marijuana (al 2% di THC) nella legalità per 
    quattro anni e mezzo, a un ritmo di dieci sigarette al giorno. Ho avuto 
    problemi con la giustizia solo una volta, a una riunione d'affari in 
    Florida. Ero rimasto in piedi tutto il giorno e non avevo avuto l'occasione 
    di fumare abbastanza marijuana, perciò, ora di sera, le gambe mi facevano 
    male. La cena sarebbe stata servita nella sala da pranzo di un albergo. Non 
    ho mai saputo come cavarmela in situazioni di questo tipo, perché non voglio 
    urtare la suscettibilità della gente. Poi, però, mi accorsi che altre 
    persone attorno a me stavano fumando tabacco, e alla fine decisi che anch'io 
    dovevo fumare. Mia moglie mi suggerì di andare al gabinetto degli uomini in 
    modo da poter avere un po' di privacy ed evitare di infastidire qualcuno. 
    Mentre mi trovavo là, entrò un garzone che si accorse dell'odore di 
    marijuana e mi chiese se poteva fare un paio di "tiri" dalla mia sigaretta. 
    Gli dissi di no. Lui si arrabbiò e uscì.
Mi resi conto di quanto si 
    era arrabbiato pochi minuti più tardi, quando il gabinetto fu invaso dalla 
    squadra narcotici di Orlando. La polizia si precipitò all'interno e cominciò 
    a farmi domande. Ci fu scompiglio tra i miei soci d'affari quando fui 
    condotto fuori dal bagno. lo cercai di spiegare che facevo uso di marijuana 
    fornita dal governo, nella legalità, per scopi medici. Mi dissero che tutto 
    ciò non aveva importanza, dal momento che la marijuana era illegale ai sensi 
    delle leggi della Florida.
Fui arrestato e portato in prigione. 
    Mentre stavo entrando nella stazione di polizia inciampai su un gradino di 
    cemento, caddi e mi ruppi un vaso sanguigno, procurandomi un'emorragia 
    interna. Non si vedeva sangue, ma la caviglia si stava gonfiando e non 
    potevo camminare. Gli agenti di polizia si fecero tutti intorno a me, mi 
    ordinarono di alzarmi e presero a battersi le palme delle mani con i 
    manganelli. Cominciavo a sentirmi come se stessi recitando la parte del 
    cattivo in un film di serie B.
Alla fine riuscii a convincere gli 
    agenti che non ce la facevo ad alzarmi e che avevo bisogno di assistenza 
    medica. Fu chiamata un 'infermiera. Lei telefonò a un medico, il quale le 
    consigliò di non prendersela troppo. La mia richiesta di essere portato in 
    ospedale fu respinta. Mi procurarono una sedia a rotelle e, seduto su di 
    essa, fui condotto di fronte a una cella. La polizia sequestrò sette 
    sigarette di marijuana preconfezionate dalla NIDA e mi accusò di esserne in 
    possesso. Mi schedarono scattandomi le foto e prendendomi le impronte 
    digitali. lo versai 250$ di cauzione e chiesi di riavere le mie sigarette di 
    marijuana, ma mi fu detto che sarebbero state trattenute come corpo del 
    reato. lo dissi che andava bene, tanto ne avevo un barattolo intero (circa 
    trecento sigarette) nella mia stanza, al motel. A quel punto, evidentemente, 
    la polizia stava ormai cominciando a temere di aver commesso un errore, dato 
    che non cercarono di ottenere un mandato di perquisizione. 
L'arresto 
    era avvenuto di venerdì sera. Il lunedì mattina seguente riuscii a 
    contattare un avvocato dell 'FDA che disse che avrebbe "sistemato le cose". 
    Poco tempo dopo le autorità dello Stato della Florida mi fecero sapere che 
    avrebbero lasciato cadere il procedimento e che avrebbero cancellato la 
    registrazione del mio arresto. La polizia mi restituì il denaro della 
    cauzione ma non le mie sette sigarette di marijuana.
Dai rapporti 
    annuali del mio medico inoltrati all'FDA e per mia esperienza, so che la 
    marijuana ha attenuato i miei dolori in modo efficace e mi ha permesso di 
    ridurre il mio consumo di farmaci convenzionali (e di gran lunga più 
    pericolosi) come Sopor, Dilantin e Dilaudid. L'unico problema è che la NIDA 
    alle volte viene meno ai suoi impegni e mi fornisce marijuana troppo 
    leggera. Quando ciò accade, sono costretto a fumare così tanto che mi fanno 
    male i polmoni. Per il resto non ho mai avuto inconvenienti 
  gravi.2.7.2 L'utilità della marijuana nella 
  cura dei dolori e di altri sintomi conseguenti alla chirurgia cerebrale è 
  descritta da Karen Ross nella seguente testimonianza:
  
    
  
Due giorni 
    dopo l'operazione lessi un articolo del Boston Globe sugli impieghi in 
    medicina della marijuana, in particolar modo per le persone sottoposte a 
    cure contro il cancro come le radiazioni e la chemioterapia. Ero stata una 
    consumatrice moderata di marijuana prima della mia gravissima malattia, e 
    presi quell'articolo in seria considerazione, visto che mi accingevo a 
    sottopormi a una terapia con radiazioni.
Dopo l'intervento mi era 
    stato prescritto il desametasone, un farmaco antinfiammatorio, per il 
    rigonfiamento del cervello, e lo Zantac [ranitidina] per proteggere lo 
    stomaco dagli effetti del desametasone. Nel giro di pochi giorni dal mio 
    ritorno a casa cominciai ad avere forti crisi di ansia. Alle volte pensavo 
    che sarei impazzita. A fasi alterne, mi sentivo come se il petto mi dovesse 
    esplodere o essere schiacciato. Il mio udito era così sensibile che riuscivo 
    a sentire le bollicine in una lattina di soda. I miei discorsi erano confusi 
    e indistinti, e inoltre mischiavo tra di loro suoni diversi in modo che le 
    parole della gente sembravano dei mormorii a meno che non stessero parlando 
    direttamente con me. Spesso, per poter seguire un discorso, dovevo basarmi 
    sul movimento delle labbra del mio interlocutore. Contro questi disturbi il 
    dottore mi diede da prendere lo Xanax [alprazolam], un tranquillante, e 
    l'Elavil [amitriptilina], un antidepressivo. I farmaci mi furono di qualche 
    aiuto, ma ancora non stavo bene.
La mia famiglia mi procurò un po' di 
    marijuana e cominciai a usarla assieme a Xanax ed Elavil. Ero solita fare al 
    massimo due "tiri" un paio di volte al giorno. Trovavo che la marijuana mi 
    rilassasse e mi permettesse di concentrare l'attenzione, così che mi sentivo 
    meno ansiosa e riuscivo a riposare più facilmente. Inoltre attenuava la 
    pressione che mi sentivo nella testa meglio di quanto non facesse il 
    desametasone. Non provai mai lo "sballo". Mi trovavo già in uno stato di 
    sovraeccitazione emotiva e fisica, e la marijuana mi portava a velocità di 
    crociera, regolare e costante. Col tempo fui in grado di ridurre il mio 
    consumo di Xanax e di smettere completamente di prendere l'Elavil. Sei 
    settimane dopo l'intervento chirurgico cominciai la cura con le radiazioni e 
    continuai a sottopormi a essa per cinque giorni alla settimana, per sei 
    settimane. Prima e dopo ogni seduta fumavo marijuana. Mi permetteva di 
    dormire durante la cura ed eliminava la sensazione di costrizione e 
    formicolìo che ero solita sentirmi dopo nella testa.
Il desametasone 
    mi fece guadagnare più di venticinque chili. Inoltre si manifestarono 
    debolezza dei muscoli, particolarmente nelle ginocchia, insonnia, sbalzi di 
    umore, alterazioni della personalità, perdita di potassio e crescita dei 
    peli facciali. Quando la somministrazione di desametasone venne finalmente 
    interrotta, sei settimane dopo la fine della cura con le radiazioni, persi 
    buona parte del peso in eccesso e riguadagnai la maggior parte della mia 
    forza fisica. Anche il mio modo di parlare diventò più chiaro (ancora oggi 
    ho scarsa sopportazione per i rumori e devo ancora leggere i movimenti delle 
    labbra per seguire una conversazione).
Per tutto quel periodo avevo 
    continuato a fare uso di marijuana. Alla fine tornai a lavorare a part time, 
    ma poco dopo la marijuana diventò irreperibile. I miei mal di testa, la 
    pressione in eccesso nella testa e negli occhi, l'intorpidimento facciale, 
    le crisi di ansia e i discorsi indistinti ritornarono. Un esame del cervello 
    non mostrò mutamenti nel tumore. Quando riuscii ad acquistare un po' di 
    marijuana e a fumarla, tutti i sintomi scomparvero nel giro di un giorno. Un 
    paio di mesi dopo la marijuana tornò a essere irreperibile e i sintomi 
    ritornarono, puntuali come orologi. A quel punto ero sicura del 
    perché.
I miei amici riuscirono a trovare un po' di marijuana e a 
    rimettermi in pista. Cominciai a comprarne un po' di qua, un po' di là, 
    giusto per essere sicura che non mi sarei più fatta trovare senza. Al medico 
    che aveva impostato la terapia di prima attuazione, dissi che prendevo 
    marijuana per il mal di testa, la pressione alta e la difficoltà nel 
    parlare. Mi disse che non poteva passarci sopra, soprattutto perché era 
    illegale, ma non cercò di fermarmi. Ormai ero in grado di affrontare i miei 
    mal di testa con l'uso regolare di Tylenol, Xanax e marijuana. In media, un 
    solo spinello mi durava dai tre ai quattro giorni. Certi giorni non fumavo 
    affatto.
Dieci mesi più tardi rimasi ancora una volta senza 
    marijuana, e i mal di testa e l'ansia ritornarono. Cominciai a prendere 
    Tylenol e codeina insieme. Ero impegnata a imballare in vista di un trasloco 
    dopo dodici anni che vivevo nella mia vecchia casa, e pensavo che lo stress 
    da trasloco potesse avere qualcosa a che fare con i miei problemi. Lo dissi 
    al mio oncologo e lui suggerì un ulteriore esame del cervello, che non 
    rivelò mutamenti.
In seguito, mi incontrai con il mio neurologo. A 
    quel punto i dolori e l'eccesso di pressione nella testa stavano diventando 
    più fastidiosi e i miei discorsi erano più sconnessi. Il neurologo concluse 
    che soffrivo di crisi epilettiche e mi prescrisse il Dilantin 
    [difenilidantoina, un anticonvulsivante], che non ebbe effetto. Peggiorai 
    soltanto. Mi causava insonnia, confusione mentale e perdita di 
    coordinazione. Cominciavo a essere frustrata e arrabbiata.
Telefonai 
    al neurologo e lui mi prescrisse ancora il desametasone. Neanche quello ebbe 
    effetto. Lui diceva che avevo già ricevuto il massimo di radiazione 
    tollerabile. Su questo tipo di tumore la chemioterapia non ha effetto, e non 
    era detto che un ulteriore intervento chirurgico sarebbe stato efficace. Mio 
    marito e io lasciammo il suo studio sentendoci come se avessimo avuto 
    novanta chili di mattoni sulle spalle. Due giorni dopo alcuni amici mi 
    fecero visita e portarono della marijuana. Feci due tiri. Dieci minuti più 
    tardi la pressione in eccesso che avvertivo all'interno degli occhi era 
    scomparsa, non avevo più mal di testa, l'intorpidimento facciale se n'era 
    andato e il mio modo di parlare era tornato normale.
Quattro giorni 
    dopo la visita dal neurologo, mio marito e io tornammo dall'oncologo. Disse 
    che avrebbe potuto sottopormi ad altre sedute di radiazioni, dato che era 
    disponibile una tecnologia più avanzata, e che alla chirurgia si poteva 
    sempre ricorrere come a una risorsa estrema. Fummo alleggeriti di un po' del 
    peso che ci portavamo sulle spalle. Il dottore si accorse che le mie 
    condizioni erano migliorate, e io gli raccontai della marijuana. Replicò: 
    "Non ho intenzione di dirle di non farlo, e non ho intenzione di dirle di 
    farlo, ma se funziona - ed è evidente che funziona - chi sono io per avere 
    qualcosa in contrario?".
Lasciammo che le cose andassero così. 
    Decisi di smettere di prendere tutte le medicine che mi erano state 
    prescritte (Dilantin, desametasone e Tylenol con codeina) non solo 
    perché non erano efficaci ma soprattutto perché ero preoccupata per gli 
    effetti collaterali. La marijuana non aveva nessun effetto collaterale di 
    cui io mi potessi accorgere. La mattina dopo la visita dall'oncologo, 
    chiamai ancora il mio neurologo. Era soddisfatto perché il mio modo di 
    parlare era ritornato quello di una persona normale e perché sembravo più 
    vivace. Gli dissi che tutti quei miglioramenti non avevano nulla a che fare 
    con i farmaci che lui mi aveva prescritto, e che io non avevo più intenzione 
    di prendere. Mi rispose come mi aspettavo, dicendo che non era d'accordo e 
    che la marijuana era illegale. Proseguì: "Se questa è la sua decisione non 
    c'è nulla che io possa fare per fermarla". Mio marito e io lo incontrammo 
    ancora un paio di settimane dopo e io gli raccontai un'altra volta tutta la 
    storia. Lui fu molto critico e sprezzante. Mi disse che non avrei dovuto 
    guidare e che la marijuana è dannosa per la memoria a breve termine. Si 
    comportava come se io passassi tutto il mio tempo a sballarmi. Cercai di 
    spiegargli che fumavo solo al mattino o alla sera o quando i miei disturbi 
    erano particolarmente forti, e che non provavo nessun genere di "sballo", 
    Penso che abbia reagito in quel modo perché ero io, e non lui, ad avere il 
    controllo sulla mia cura.
Abbiamo deciso di trovarci un altro dottore 
    che non sia così inflessibile, di vedute ristrette e pessimista e che, 
    oltretutto, sia meglio informato sulla nuova tecnologia delle radiazioni. 
    Voglio vivere ogni mia giornata con speranza, felicità, e con tutto il 
    piacere che la vita può offrirmi. So che i miei problemi sono lungi 
    dall'essere finiti e probabilmente non finiranno mai, ma so anche che sono 
    preparata a gestire la mia vita e la mia cura, e rifiuto di essere trattata 
    come se non lo fossi. Continuerò a mantenermi in salute a modo mio con 
    l'aiuto della marijuana.
    Come trentaduenne madre di tre 
  bambini piccoli, ha riscontrato che la cannabis non compromette le sue facoltà 
  allo stesso modo in cui le compromettevano le forti dosi di oppiacei: "Per 
  qualche ragione, la marijuana rilassa il sistema nervoso e mi permette di 
  lavorare mentalmente a un livello normale. Quando prendo il Darvocet o il 
  Tylenol divento una persona diversa. Mi sveglio sentendomi drogata, vado a 
  dormire sentendo mi drogata, mi muovo come una persona drogata. Mi lascio 
  dietro pezzi di famiglia perché sono talmente sconvolta dai farmaci che non 
  sono in grado di fare quello che dovrei, nemmeno starmene seduta a parlare con 
  i miei figli o a leggergli una storia. Come madre non ho tempo da perdere con 
  i miei bambini per colpa di uno stato mentale indotto dai farmaci". Questa 
  donna fa eco a quanto era già noto nel XIX secolo, e cioè che la cannabis, 
  sebbene non attenui il dolore altrettanto efficacemente quanto gli oppiacei, 
  ha meno effetti collaterali seri e non crea il rischio della dipendenza.
2.8 Emicrania
    In genere gli attacchi sono 
  ricorrenti. In un soggetto predisposto, essi possono essere cagionati dallo 
  stress, da certi alimenti e da certi tipi di stimolazione sensoriale (luce 
  intensa, forti rumori, odori penetranti). La malattia si manifesta in genere 
  prima dei venti anni di età e raramente dopo i cinquanta. Circa il 20% della 
  popolazione ha avuto almeno un attacco di emicrania; le donne hanno una 
  probabilità tripla di soffrire di emicrania rispetto agli 
  uomini.
    Ci sono diversi tipi di emicrania. 
  Nell'emicrania comune il dolore è solitamente pulsante e spesso, ma non 
  sempre, localizzato su un lato della testa. Spesso è accompagnato da nausea o 
  vomito e viene esacerbato da qualsiasi movimento o rumore. Nell'emicrania 
  classica o cefalea, che al confronto è rara, l'attacco comincia con dei 
  disturbi alla vista (tra i quali cecità parziale e lampi luminosi nel campo 
  visivo) e talvolta con vertigini, debolezza su un lato del corpo, tintinnio 
  nelle orecchie, sete, sonnolenza, o con la sensazione di una minaccia 
  incombente. Questi disturbi neurologici sono seguiti da un forte dolore 
  limitato a un lato della testa con ipersensibilità alla luce e, spesso, nausea 
  e vomito. L'emicrania classica può anche risultare complicata da prurito, 
  intorpidimento, debolezza o paralisi in varie parti del corpo. Un altro tipo 
  di mal di testa probabilmente connesso all'emicrania è la cefalea a grappolo o 
  cefalea notturna parossistica, che è più comune tra gli uomini che non tra le 
  donne. Qui il dolore si concentra attorno a un occhio; è costante anziché 
  pulsante, e in genere riesce a risvegliare dal sonno chi ne soffre. Tende a 
  ricorrere nelle ore notturne per settimane o anche per mesi, per poi 
  scomparire per mesi o addirittura per anni.
    Le 
  emicranie sono probabilmente provocate da una dilatazione dei vasi sanguigni 
  nel cervello. Possono cominciare a manifestarsi a causa di un disturbo 
  neurologico o di più generali scompensi nella regolazione metabolica. È stato 
  dimostrato che il tasso di serotonina (un neurotrasmettitore) cala durante un 
  attacco.
    I farmaci possono essere impiegati sia 
  per ridurre la durata degli attacchi di emicrania, sia per prevenire la loro 
  ricorrenza a lungo termine. I prodotti chimici ricavati dal fungo della segale 
  cornuta, che cresce alle spese della segale e di altre Graminacee, sono assai 
  efficaci nell'arrestare un attacco nei suoi stadi iniziali; i derivati della 
  segale cornuta inibiscono gli effetti della serotonina. Una volta che il mal 
  di testa si sia completamente stabilizzato, si possono usare degli oppiacei 
  (in genere codeina o meperidina) per attenuare il dolore. Alcuni farmaci 
  prescritti per la prevenzione dell 'emicrania cronica sono il metisergide (che 
  ha affinità con i derivati della segale cornuta), i beta-bloccanti, i 
  calcio-antagonisti, la cloropromazina (Thorazine(r)) e lo steroide prednisone. 
  Il 10-20% dei malati non trae beneficio da questi farmaci, e una percentuale 
  ben più alta ottiene un sollievo incompleto o risente di gravi effetti 
  collaterali.
    Come abbiamo osservato, la 
  cannabis era tenuta in grande considerazione come rimedio contro l'emicrania 
  nel XIX secolo, eppure l'argomento è quasi completamente ignorato dalla 
  letteratura medica del XX secolo. 2.8.1 Carol Miller, una malata di emicrania 
  classica, descrive la sua esperienza come segue:
  
    
  
Dopo che questa situazione si era 
    ripetuta diverse volte, mia madre mi portò dal nostro medico, amico intimo 
    di famiglia e vicino di casa, dal quale mi facevo visitare molto spesso 
    perché avevo un sacco di allergie. Lui e mia madre si trovarono d'accordo 
    sull'idea che i mal di testa fossero causati dalla recente morte della mia 
    sorellina, così lui non mi prescrisse niente contro la nausea e il dolore. 
    Nonostante i mal di testa continuassero con una certa regolarità, fu 
    soltanto in college che mi venne diagnosticata l'emicrania e che ricevetti 
    le prime cure. All'infermeria del college mi diedero l'Ecotrin [aspirina 
    rivestita], che mi fu di qualche aiuto per il mal di testa ma non per gli 
    effetti ottici o per la nausea. Mi fece venire anche un tremendo bruciore di 
    stomaco.
Una volta il dolore era così forte che mi fecero 
    un'iniezione di Demerol [un oppiaceo sintetico], che spazzò via il dolore 
    pressoché completamente, ma mi lasciò in uno stato di delirio. Alle volte 
    prendevo uno sciroppo al gusto di banana (probabilmente codeina) che mi 
    faceva venire molto sonno. Ricordo che era difficile farcela nel periodo 
    degli esami di fine anno perché ero davvero sconvolta. Oltre tutto quella 
    era la stagione in cui la mia asma peggiorava notevolmente.
Dopo la 
    laurea, mentre lavoravo all'Università dell Indiana, fui visitata da un 
    medico privato che mi prescrisse il Mudrane [un'associazione di farmaci che 
    comprende efedrina e fenobarbitale], avvertendomi che dava assuefazione. 
    Smisi di prenderlo perché mi sembrava che riducesse la mia pressione a 
    valori così bassi che riuscivo a malapena a lavorare. Dopo che mi fui 
    trasferita a San Francisco mi diedero da prendere il Darvon [propossifene, 
    un altro oppiaceo], ma me ne servii solo per poco tempo perché mi faceva 
    venire l'esantema.
Per un certo tempo avevo preso l'aspirina insieme 
    alla codeina, ma trovavo che questa combinazione di farmaci mi rendesse 
    terribilmente stitica. Quando rimasi incinta del mio primo bambino, ero 
    molto preoccupata per le mie cure. Un amico mi disse che non c'era una 
    medicina che potessi prendere senza correre rischi, e mi suggerì di 
    ricorrere alle erbe. Stavo studiando erboristeria e mi preparavo a un parto 
    naturale, perciò questo suggerimento mi sembrò giusto. Provai lo 
    scullap, un tè leggero di valeriana e camomilla, e poi la lavanda. I 
    tè avevano un effetto calmante e il ritmo di vita più lento, dopo che avevo 
    lasciato il mio lavoro, mi fecero bene: le emicranie diventarono 
    rare.
Diversi anni dopo le emicranie ritornarono, e mio marito mi 
    disse che aveva letto che la marijuana andava bene per il mal di testa. Ero 
    sbalordita. Due tiri e un breve riposo allontanarono completamente la nausea 
    e il mal di testa. Non appena mi accorgevo di quel particolare tremolio nel 
    campo visivo che mi preannunciava un'emicrania in arrivo, potevo fumare un 
    po' di cannabis e schiacciare un breve pisolino: l'emicrania non si 
    manifestava affatto. In genere ero pronta a tornare al lavoro nel giro di 
    mezz' ora. Mi dava uno straordinario senso di potere avere finalmente un 
    tale controllo sulle mie emicranie.
Nei diciotto anni che sono 
    passati da quando ho cominciato a fare uso di cannabis per alleviare 
    l'emicrania, mi sono fatta sorprendere diverse volte senza la mia erba 
    quando ero lontana da casa. Una volta provai a prendere il Tylenol e mi 
    accorsi che era abbastanza efficace contro il dolore, ma per niente contro 
    la nausea e gli effetti ottici. Anche le mie figlie maggiori (che ora hanno 
    diciassette e ventun anni) sono soggette a emicranie occasionali, che hanno 
    cominciato a manifestarsi con le prime mestruazioni. Entrambe traggono uno 
    straordinario sollievo dall'erba della cannabis. Mia madre soffre di forti 
    mal di testa, ma non ha mai fatto uso di cannabis perché è illegale. Se la 
    passa veramente male con i medicinali che le hanno prescritto: ha problemi 
    di nausea, stitichezza, pressione alta. Le dico spesso che quando la 
    marijuana sarà legale, e lei la userà per la prima volta e si renderà conto 
    di quanto ha sofferto inutilmente per tutti questi anni, allora si 
    arrabbierà sul serio.
2.9 Prurigine2.9.1 Don Spear racconta la storia riportata di 
  seguito:
  
I medici dell'ospedale militare in Germania mi 
  diagnosticarono una neurodermite atopica. Provai tutti i medicinali, le pomate 
  e i preparati a disposizione, ma nessuno fece effetto. Avevo le mani e le 
  braccia lacere a causa della pelle spaccata, che si squamava, e del continuo 
  grattare. Andai in cancrena e i dottori presero in considerazione l'idea di 
  amputarmi entrambe le braccia fino al gomito. In uno sforzo estremo di evitare 
  l'amputazione, mi fasciarono completamente gli avambracci in modo che non li 
  potessi grattare; inoltre mi diedero da prendere dosi massicce di antibiotici 
  e del nuovo "farmaco delle meraviglie", il cortisone. Per il prurito, che 
  quasi mi faceva impazzire, i medici mi prescrissero tranquillanti e sedativi. 
  Le braccia furono salvate, ma io non potevo più tollerare altro cortisone. 
  Nonostante i migliori sforzi dell'esercito, la mia malattia cutanea era 
  incontrollabile. Nel gennaio del1956 fui congedato con una disabilità connessa 
  al 50% con il servizio. Nei dieci anni successivi provai quasi ogni medicinale 
  e farmaco ufficiale a disposizione: forti dosi di Librium, Valium e altri 
  tranquillanti che inducono dipendenza, creme e pomate di cortisone, bagni e 
  preparati a base di catrame di carbone. Nessuno mi diede sollievo a lungo 
  termine. Diverse volte fui ricoverato in ospedale per infezioni causate 
  dall'irresistibile prurito e della pelle spaccata.
Poiché la mia 
  malattia cutanea mi sfigurava, era difficile trovare lavoro. I datori di 
  lavoro non mi assumevano e gli altri dipendenti non volevano lavorare con me. 
  Finalmente fui assunto dalla Fisher Body Company, ma ebbi ripetutamente 
  bisogno di lunghi periodi di congedo per malattia. Dopo dieci anni la 
  compagnia calcolò che mi ero fatto sei anni di malattia e mi licenziò. 
  Cercando lavoro per mantenere mia moglie e quattro bambini, mi resi conto una 
  volta di più che molte persone non avevano nessuna intenzione di assumermi. La 
  mia malattia cutanea persisteva. Mi svegliavo spesso alla notte per scoprire 
  che del sangue era trasudato dalla cute sul cuscino. Il prurito era così 
  intenso e insopportabile che usavo la carta vetrata direttamente sulla pelle 
  per trovare sollievo. Il mio matrimonio andò in malora e diventai molto schivo 
  e timoroso.
Nella primavera del 1973, un mio amico che aveva combattuto 
  in Vietnam mi raccontò di aver fumato marijuana quando era là e di averla 
  trovata gradevole. lo ero riluttante a provare, non solo perché era illegale 
  ma anche perché non mi piace fare uso di droghe di qualsiasi genere. Avevo 
  abbandonato da molto tempo l'alcol e il tabacco, e la mia esperienza con i 
  farmaci mi aveva reso ancor più cauto. Provengo da un retroterra culturale 
  rigoroso e moralista, nel quale l'uso di droghe non riscuote certo 
  approvazione. Un fine settimana, a una corsa automobilistica, mi decisi 
  finalmente a fare un paio di tiri dalla sigaretta di marijuana
del mio 
  amico. È possibile che abbia fatto un paio di tiri anche da un 'altra 
  sigaretta il giorno dopo. Non avevo notato niente di insolito dopo aver 
  fumato, nessun effetto sulla mente. li martedì o il mercoledì della settimana 
  seguente mi accorsi che una zona particolarmente malridotta della mia pelle 
  appariva molto meno arrossata e infiammata. Mi venne in mente che il prurito 
  non mi tormentava da diversi giorni. Mi chiesi se la marijuana potesse avere 
  qualcosa a che fare con l'inaspettato miglioramento, ma non diedi molto 
  credito all'idea.
li fine settimana successivo il mio amico e io 
  andammo a un'altra corsa d'auto, e ancora una volta lui mi offrì la marijuana. 
  li prurito mi era ormai tornato, ma cessò improvvisamente con il primo tiro. 
  Ero allibito. Dopo che avevo provato per anni ogni farmaco e ogni prodotto 
  disponibile per la pelle senza trame sollievo, il prurito era cessato con un 
  tiro di una sigaretta di marijuana. Nei tre anni successivi continuai a fumare 
  marijuana solo nei fine settimana, senza fare mai più di pochi tiri alla 
  volta. Le condizioni della mia pelle migliorarono in modo sbalorditivo. 
  Siccome non mi grattavo più, la pelle spaccata guarì. Poi le chiazze rosse 
  cominciarono a sparire e vennero rimpiazzate da pelle normale.
In breve 
  tempo non ero più sfigurato. Trovai un impiego fisso e diventai un lavoratore 
  indefesso. Non dovevo più prendere congedi per malattia.
All'inizio del 
  1977 i miei fratelli maggiori scoprirono che stavo fumando marijuana e lo 
  dissero ai nostri genitori. Anche se avevo passato i quarant'anni, mi 
  preoccupavo molto di non urtare la loro suscettibilità. Spiegai loro la 
  situazione, ma mi resi conto che non erano convinti. A vevano paura che fossi 
  diventato un tossicodipendente. Dissi loro che avrei smesso di fumare 
  marijuana per tre mesi, per vedere cosa succedeva. Non avevo mai sperimentato 
  nessun tipo di inconveniente fisico o mentale, e non trovai difficoltà a 
  smettere. Non mi venne nessun genere di smania, non ebbi né "tremiti" né 
  "sudori". Ma nel giro di tre giorni tutto il corpo mi prudeva. La pelle tra le 
  dita dei piedi e delle mani si irritò e si infiammò. L'infiammazione si estese 
  rapidamente a mani e piedi, per propagarsi a braccia e a gambe, e poi al cuoio 
  capelluto, alla testa e al torace. Nel giro di poche settimane la pelle mi si 
  stava spaccando, mi grattavo in continuazione, e strie di colore rosso scuro 
  cominciavano a comparire su gran parte del mio corpo. Mi stavo sfigurando di 
  nuovo, e di notte trovavo sangue sulle lenzuola. I miei genitori e mio 
  fratello si allarmarono e cercarono di convincermi a riprendere a fumare la 
  marijuana. Ero riluttante, perché non mi piaceva essere considerato un 
  tossicodipendente. Alla fine, compresi che la mia famiglia non si preoccupava 
  del fatto che la marijuana fosse illegale. Erano interessati soltanto ai suoi 
  effetti sulla mia pelle.
Ricominciai a fumare nei fine settimana. 
  Stavolta ci volle quasi un anno prima che la pelle ritornasse alla normalità. 
  Ho continuato a fumare marijuana per i dieci anni seguenti (fino al febbraio 
  del 1987) e i miei disturbi cutanei sono rimasti sotto controllo. Ho mantenuto 
  uno stato di servizio esemplare e non ho mai fumato in orario lavorativo. Nel 
  febbraio del 1987 , venni a sapere che la mia ditta intendeva effettuare delle 
  analisi delle urine su un certo numero di dipendenti scelti a caso. Chiesi 
  aiuto ai rappresentanti del mio sindacato, e nel frattempo mi interessai 
  presso i medici della Veterans' Administration perché mi aiutassero a 
  procurarmi la marijuana legalmente. Loro mi indirizzarono all'unità di 
  riabilitazione dalle droghe della VA, dove mi fu detto che non avevo problemi 
  di droga. In pratica, i medici stabilirono che io mi limitavo a fare uso di 
  quella droga a scopo terapeutico. Mi incoraggiarono a continuare a fumare 
  marijuana. Ma la minaccia di un'analisi delle urine e della possibile perdita 
  del posto di lavoro mi avevano turbato profondamente. Confuso, non sapendo 
  cosa fare, smisi di fumare. La mia malattia cutanea tornò a manifestarsi quasi 
  immediatamente.
Dopo poche settimane era già grave e peggiorava 
  rapidamente. I miei genitori, mio fratello, alcuni buoni amici e addirittura i 
  miei rappresentati sindacali mi incoraggiarono a ricominciare a fumare 
  marijuana. L'alternativa era obbedire alla legge e vivere con una malattia 
  cutanea deturpante che avrebbe potuto, a causa delle infezioni conseguenti, 
  uccidermi. Mi presi un congedo per malattia e cominciai a coltivare la 
  marijuana per conto mio.
Nel dicembre del 1989 un vicino di casa lo 
  andò a dire alla polizia. Fui arrestato e condannato. La sanzione consisteva 
  in una grossa multa, in quattro mesi di arresti domiciliari e due anni di 
  libertà condizionata. Il giudice disse che tutte le accuse a mio carico 
  sarebbero venute a cadere se avessi ottenuto una prescrizione legale. Ma ho 
  dovuto smettere di fumare a causa delle analisi delle urine al lavoro. Da 
  quando ho smesso di nuovo (dicembre 1989) il prurito è stato pressoché 
  costante, e la pelle si spacca ripetutamente e perde fluidi in corrispondenza 
  di piedi, mani, cuoio capelluto, gambe, torace e persino del 
  pene.
La marijuana è l'unica sostanza che previene sia le lesioni 
  cutanee, sia l'insopportabile prurito. Se la marijuana fosse legale, riuscirei 
  a controllare questa malattia infernale. La marijuana potrebbe essere di aiuto 
  per altre migliaia di persone con simili problemi alla pelle, ma su questo non 
  si fa ricerca perché la marijuana è una droga proibita e ai medici non 
  piacciono le controversie politiche.
2.10 Dolori mestruali e doglie2.10.1 La seguente testimonianza descrive 
  entrambi gli impieghi, come anche l'effetto benefico sulla nausea durante la 
  gravidanza:
  
    
  
Ho avuto il mio primo bambino 
    nel 1972, quando avevo soltanto diciassette anni. I dottori mi fecero 
    un'iniezione per farmi dormire e quando mi svegliai mi ritrovai con un 
    bambino letargico. Passammo tre giorni in ospedale. Nel 1979, quando ho 
    avuto il mio secondo figlio, avevo seguito dei corsi di parto naturale; 
    inoltre avevo fumato marijuana mentre ero diretta all'ospedale. La marijuana 
    mi rilassò ben bene e in questo modo alleviò parte del dolore, ma il suo 
    effetto durò soltanto un'ora e mezza circa. Quella volta rimasi in ospedale 
    soltanto per venti ore, e mi sorprese vedere quanto il mio secondo figlio 
    fosse più sveglio e affamato a paragone del mio primo, povero bambino 
    drogato. 
Nel 1991 rimasi ancora incinta. Al settimo mese mi venne la 
    nausea, soffrii di bruciori di stomaco, e cominciai a vomitare dalle due 
    alle quattro volte al giorno: abbastanza per non aumentare per niente di 
    peso. Il dottore stabilì che la causa di tutto questo era la pressione che 
    la bambina esercitava sulla valvola in cima allo stomaco. Cominciai a fumare 
    marijuana prima dei pasti, arrivando in questo modo a vomitare soltanto due 
    volte alla settimana. La bambina pesava quasi quattro chili alla nascita. Mi 
    domando quanto sarebbe stata piccola se non avessi fatto uso della mia 
    medicina antinausea preferita.
In quell'occasione, il giorno del 
    parto rimasi a casa e fumai marijuana per le prime sette ore del travaglio. 
    Partorii meno di tre ore dopo essere arrivata all'ospedale e il dolore non 
    rappresentò un problema finché l'effetto della marijuana non svanì, subito 
    prima che partorissi. Quella volta non fui sorpresa del fatto che la bambina 
    fosse sveglia e affamata. Tornammo a casa sei ore dopo il parto; passai in 
    ospedale meno di nove ore, così che il mio ricovero risultò più breve di un 
    giorno.