CHIETI. Condannato. Ancora un giudizio di colpevolezza nei confronti di Fabrizio Pellegrini, l’artista teatino affetto da diversi disturbi muscolo-scheletrici, più volte condannato per autocoltivazione casalinga di cannabis.
Mentre anche in Abruzzo è stata presentata la proposta di legge per la cannabis terapeutica la storia di Fabrizio continua ad essere costellata da sentenze giudiziarie e conseguenze penali e civili.
Due anni di reclusione, 5.000 euro di multa, pagamento delle spese processuali, sospensione della patente di guida per un anno.
Questo l’ultimo verdetto emesso dal giudice giovedì scorso. In tribunale sono approdati due separati procedimenti, che però sono stati considerati ‘continuazione di reato’ e unificati in un unico processo, conclusosi appunto con la sentenza di colpevolezza.
Una condanna che riporta alla ribalta un caso in cui l’aspetto ‘giudiziario’ si sovrappone, e spesso antepone, a quello ‘umano’.
UNA CURA PER DIPINGERE E SUONARE
La storia di Fabrizio Pellegrini, pianista e attore teatino, inizia nel 2008 quando viere arrestato dagli agenti della Squadra mobile di Chieti che avevano trovato, sul suo balcone, alcune piante di cannabis indica. L’accusa nei suoi confronti è possesso ai fini di spaccio, e a nulla valgono le sue proteste perché lui, in realtà, la droga non la usa per ‘sballarsi’ né la spaccia, ma la assume per curarsi. Fabrizio soffre infatti di fibromialgia, ma anche di altri disturbi muscolo-scheletrici e su base ansiosa.
Con la prescrizione del suo medico aveva ottenuto la fornitura dalla Asl della Cannabis medicinale standardizzata, importata dall’Olanda, solo una volta, ma non aveva potuto pagare la successiva fornitura, né la Asl aveva voluto accollarsi le spese. Aveva però potuto rendersi conto dei benefici che traeva dall’assunzione: la cannabis gli permetteva di alleviare i sintomi della fibromialgia che da un po’ di tempo gli rendeva difficile svolgere le sue attività artistico-lavorative: suonare il pianoforte e dipingere.
A quel punto si è trovato a dover fare una scelta per continuare ad accedere a quella che per lui è solo una medicina: rivolgersi al mercato nero o autocoltivarsi la propria medicina.
Fabrizio ha scelto la seconda strada. Non vuole finanziare la criminalità organizzata, non vuole correre il rischio di assumere sostanze adulterate di bassa qualità e non ha comunque la possibilità economica di sostenere i costi del mercato illegale. Decide così di coltivare qualche piantina di canapa indiana in vasetti che posiziona nel suo balcone.
Lo fa con la massima trasparenza, sicuro di essere dalla parte della legge: ha sentito parlare di assunzione per scopi terapeutici e sa che quello è il suo caso.
Ma non è così per il tribunale teatino. Così Fabrizio viene arrestato e condannato. Da allora, nel corso di 13 anni, più volte gli si aprono davanti le porte delle aule di tribunale. Per lui ogni volta una condanna (finora tutte in primo grado), ogni volta un’umiliazione, ogni volta lo stupore di una sentenza di colpevolezza «solo perché cerco di curarmi».
Tutto questo nonostante nel nostro paese il Thc, unico principio attivo psicotropo della cannabis, sia inserito nella tabella 2b dei farmaci stupefacenti, e quindi legalmente prescrivibile.
In teoria tale prescrizione è l’unico requisito richiesto per ottenere l’importazione della medicina dall’Olanda. Ma nel caso di Fabrizio i costi proibitivi e la negazione della sua Asl di farsi carico della spesa non gli permettono di proseguire la cura.
LA SENTENZA: CONDANNATO PERCHE’ SI VUOLE CURARE
La sentenza di giovedì scorso – l’ultima di una lunga serie – si è dunque conclusa con una nuova condanna per Fabrizio.
Due anni di reclusione, 5.000 euro di multa, pagamento delle spese processuali, sospensione della patente di guida per un anno. Non male, soprattutto per un paziente che si trova sotto processo proprio a causa della sua impossibilità di pagare i 300 euro mensili per il farmaco legale, e che ora ne deve versare 5mila, oltre a pagare le spese del processo.
Nel corso del processo il giudice Geremia Spiniello ha ricordato che Fabrizio è tuttora incensurato, mentre il Pm ha ammesso che, come già dimostrato dai molti referti medici agli atti e dalle relazioni dei periti della difesa, Fabrizio può fare della cannabis un uso terapeutico.
Le premesse sembravano insomma delle migliori, ma subito dopo il Pm Marika Ponziani ha ricordato che l’unica possibilità ammessa per approvvigionarsi di stupefacenti a fini di cura è il canale d’accesso “istituzionale” su prescrizione medica (quello che, appunto, Fabrizio non riesce a pagare per i costi elevati e perché la Asl non si fa carico delle spese).
L’avvocato Marco Di Paolo ha argomentato la sua richiesta di assoluzione, accennando alla personalità e ai motivi ‘morali’ per cui Fabrizio, artista senza reddito, rifiutava di delinquere per pagarsi il Bedrocan o rifornirsi al mercato nero, come confermato dalle testimonianze dei rappresentanti delle varie forze dell’ordine, che nei vari procedimenti hanno tutte indagato su di lui accertando che non è dedito ad attività illecite di alcun tipo.
Riguardo la coltivazione casalinga, caratterizzata da necessità oltre che dalla totale assenza di offensività verso terzi, Di Paolo si è appellato tra l’altro all’articolo 32 (tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività) della Costituzione oltre che agli articoli 51 (la fruizione di un diritto, come è quello alla salute, rende non punibile il reato commesso per esercitarlo) e 54 (stato di necessità) del Codice penale.
Il Gip ed il giudice Spiniello, che a sua volta ha accolto le richieste dell’accusa condannando Fabrizio, si sono voluti mostrare a loro modo ‘benevoli’ nei confronti del Pellegrini, forse perché impressionati dalla mole di referti medici e dalle articolate relazioni tecnica e medica illustrate, nel corso della precedente udienza, da Giampaolo Grassi, primo ricercatore dell’unico ente in Italia autorizzato alla ricerca in agricoltura sulle diverse varietà di cannabis, e dal dottor Nunzio Santalucia, uno dei maggiori studiosi nazionali sull’utilizzo della cannabis nelle varie patologie.
Infatti, la condanna a due anni è una pena minima per reati che avrebbero consentito al giudice di comminare in una sola mattina a Fabrizio dai 12 anni (6+6) ai 40 anni (20+20) di carcere, cioè le pene minima e massima attualmente previste dal nostro ordinamento per la coltivazione e/o detenzione di cannabis in quantità superiore a qualche grammo.
IL PROCESSO SI SPOSTA A L’AQUILA
Il prossimo capitolo della storia infinita di Fabrizio sarà il processo in secondo grado di giudizio, sempre per autocoltivazione, presso la Corte d’appello de L’Aquila. In appello ci si potrà basare solo su quanto emerso in primo grado e non si potranno più produrre nuove testimonianze, referti e perizie, la difesa sarà quindi oggettivamente più difficile.
AD AVEZZANO LA ASL COMPRA LA CANNABIS PER UN MALATO DI SCLEROSI MULTIPLA
La storia di Fabrizio Pellegrini non è l’unica, in Abruzzo, di utilizzo della cannabis a fini terapeutici. Un caso analogo riguarda un 43enne di Avezzano, malato di sclerosi multipla allo stadio avanzato, che come Fabrizio ha deciso di alleviare le sue sofferenze ricorrendo all’assunzione di cannabis. Nel suo caso, però, i giudici gli hanno dato ragione, tanto che un anno fa il tribunale di Avezzano ha dato il via libera alla somministrazione di marijuana gratuita per uso terapeutico.
Il giudice del lavoro Elisabetta Pierazzi ha infatti ordinato all’Azienda sanitaria locale di procurare e consegnare al 43enne il farmaco a base di cannabis prodotto fuori dall’Italia e dimostratosi l’unico efficace ad alleviarne le sofferenze.
LA SOLIDARIETA’ CORRE SUL WEB
La storia di Fabrizio, come quella dell’uomo di Avezzano e di tantissimi altri cittadini italiani che stanno lottando per la loro salute, ha animato anche il dibattito sul web, e fatto partire la gara della solidarietà.
Storie, testimonianze e iniziative sono condivise sul sito web pazienticannabis.org, mentre molti altri articoli – per esempio questo – tengono i riflettori puntati su vicende giudiziarie e aspetti giuridici, per mantenere alta l’attenzione nei confronti di persone che, oltre a dover fare i conti tutti i giorni con sofferenze e dolori provocati da malattie gravissime, rischiano anche la prigione per cercare di soddisfare il loro diritto a curarsi.