Sembra impossibile che nell’era di massima velocità della comunicazione, di una comunicazione che sembra chiara, trasparente, velocissima, possano esistere codici incomprensibili. Parole che sembrano dire qualcosa di sensato, ma che in realtà comunicano tutt’altro.
Qualche giorno fa ho provato a interpretare una lettera cifrata, inviata in carcere al boss casalese Michele Zagaria. In quel testo, con molta probabilità, “sfogliatelle” stavano per tangenti e appalti; “teatro” e “orchestrali” per parlamento e politici. Anche Bernardo Provenzano ha utilizzato codici per i pizzini che inviava e riceveva. Nomi e cognomi venivano indicati attraverso numeri: “…mi sono visto con la persona interessata 512151522 191212154 e siamo rimasti che dopo le feste ci dovevamo incontrare per discutere…”. Gli inquirenti hanno scoperto che la lettera A corrispondeva al numero 4, B a 5, C a 6 e così via.
La criminalità organizzata ha necessità di mantenere i suoi codici, spesso semplici, rudimentali, facili da interpretare: non devono nascondere informazioni, ma impedire che possano diventare la prova di un reato. Quindi, se disambiguando questi codici non possiamo incastrare i criminali, a cosa serve parlarne? Serve. Dietro ogni codice c’è una realtà che non vuole mostrarsi. E che molto spesso nessuno vuole scrutare. Letture criptiche di un’altra Italia rifiutata, che invece è architrave della nostra quotidianità.
Analizzando i codici propri del mondo della prostituzione, per esempio, possiamo capire quanto sia cambiato il mercato della droga. Come sempre accade nelle fasi di crisi economica, il consumo di cocaina sta dilagando nel nostro Paese. Potrebbe sembrare incoerente, persino contraddittorio, ma è proprio in queste tempeste che i progetti a lungo termine perdono senso e il poco denaro che sfugge alle necessità viene bruciato per cancellare ogni preoccupazione.
Con la domanda di coca che cresce, le reti di spaccio hanno bisogno di canali più sicuri, diversi dalla strada. Ecco perché le prostitute vengono utilizzate per diffondere coca. Nelle grandi città soprattutto del Centro-Nord, il racket della prostituzione, sia etero che gay, è gestito dalle organizzazioni romene: le mafie italiane da decenni non si sporcano le mani con le lucciole, ma tassano chi se ne occupa. Il meccanismo è rodato: vai con la prostituta e prendi coca. Nessuna fatica a cercare il pusher, nessun rischio di essere fermato in un giardinetto dalla polizia. Ed è qui che entrano in gioco i codici. Un esperimento semplice è quello di capire cosa si celi dietro le inserzioni delle squillo. “Bella ragazza. Per 250 rose fa tutto. Ambiente climatizzato”. Oppure “Per 200 rose. Una coppa di champagne. Baci”. Le rose sono il prezzo in euro; “ambiente climatizzato” e “coppa di champagne” invece sono l’optional che accompagna il sesso: la cocaina. Proprio utilizzando queste ragazze per lo spaccio, la malavita romena si è fatta largo in un settore che le mafie italiane le avevano precluso: il narcotraffico. Ed ecco che l’universo della prostituzione si palesa per quello che sta diventando, ovvero la nuova rete della droga.
Volersene occupare non significa chiudere gli occhi su altre priorità, ma portare luce su argomenti che in Italia sono coperti da silenzio assoluto. Prostituzione, spaccio e consumo di droghe sono considerati spazzatura da relegare alle carceri e non ai pubblici dibattiti. Oggi una prostituta può svelare molti più particolari sulle reti della coca rispetto a uno spacciatore di Scampia. E con una telefonata a uno dei numeri che appaiono sui siti di accompagnatrici, vai oltre lo specchio, entri in labirinti di codici e proposte e non capisci come sia stato possibile aver avuto tutto davanti senza essertene mai accorto. Sembrano dettagli da cronaca nera, narrazioni da suburra. Ma non è così. Parole e strutture si stanno trasformando. Soprattutto in questo momento, mentre la crisi rivoluziona il sistema dell’economia e la vita di tutti, guardare in queste ferite è spesso più necessario che comprendere gli andamenti dello spread.
Fonte: Espresso.repubblica.it