COMMENTO AL DL 36/2014.

I commi 24 ter e 24 quater dell’art. 1 del DL 20 marzo 2014 n. 36 (in G.U. n. 67 del 21 marzo 2014) incidono sulla struttura del combinato disposto dagli artt. 73 e 75 del DPR 309/90, in quanto mirano (in special modo la nuova edizione dell’art. 75) a definire e tratteggiare i confini entro i quali vada ravvisata l’operatività del concetto di uso esclusivamente personale, nonché le modalità attraverso le quali tale scriminante possa effettivamente produrre effetti in relazioni a casi di detenzione che può essere generica oppure qualificata (importazione od esportazione, acquisto o, comunque, ricezione).
Anche l’intervento ulteriormente modificativo che si rivolge all’art. 73 comma 5° merita attenzione, anche se, pare di poter affermare, si tratta di un’occasione perduta.

1. PRIME CONSIDERAZIONI DI NATURA METODOLOGICA E NOVITA’ SEMANTICHE.
1.1 LA RIABILITAZIONE DELLA NOZIONE DI USO ESCLUSIVAMENTE PERSONALE E LA SUA NUOVA FORMULAZIONE DI TESTO.

Un primo elemento caratterizzante il DL 36/14 è dato dal definitivo collocamento del concetto di “uso esclusivamente personale” (che viene espressamente recuperato, dopo l’abrogazione del comma 1 bis dell’art. 73, da parte della sentenza 32 della Corte Costituzionale) nel corpo dell’art. 75.
Si è dato corso, quindi, ad una duplice scelta normativa, che suscita perplessità.
Da un lato, viene ribadita la formula “uso esclusivamente personale”, la quale contiene anche l’avverbio “esclusivamente”, che già ha formato oggetto di critiche per la usa assoluta superfluità.
Dall’altro, viene dato luogo allo spostamento del concetto scriminante, dalla sua sede naturale – la norma incriminatrice per eccellenza, l’art. 73 (dove era collocato al comma 1 bis) – al testo dell’art. 75, che, invece, disciplina il sistema della sanzioni amministrative.
In relazione all’istituto in esame si deve, inoltre, osservare che il DL 36/14, all’art. 1 comma 24 quater, reintroduce e riproduce una serie di paradigmi (già presenti nella dizione del comma 1 bis dell’art. 73) che il giudice può discrezionalmente utilizzare per pervenire alla decisione concernente la destinazione dell’uso personale dello stupefacente .
Rimane il fatto che, allo stato, manca ancora una precisa definizione dei cd. “limiti massimi” di sostanza stupefacente (la QUANTITA’ MASSIMA DETENIBILE), introdotti a suo tempo con il DM 11 aprile 2006.
Per colmare detto lacuna (che riverbera pesanti effetti anche in relazione al concetto di ingente quantità, così come modellato nel 2012 dalle SSU) il legislatore ha dovuto prevedere l'emanazione, da parte del Ministro della salute di concerto con il Ministro della giustizia, dei relativi decreti che, come detto, erano già previsti dall'art. 73 co. 1-bis lett. a), abrogato con la sentenza n. 32/2014.
Or bene, al di là della sostanziale riabilitazione di canoni ermeneutici, la cui codificazione era, peraltro, naturale conseguenza della esperienza quotidiana forense, deve essere rilevato il nuovo e radicale mutamento di impostazione che connota la normativa.
Si opera, infatti, una vera rivoluzione di lessico e di indirizzo.
Il legislatore muove, infatti, (abbandonandola), da una pregressa concezione, in base alla quale l’“uso esclusivamente personale” poteva essere ravvisato, solo in via residuale, dopo la formulazione di un giudizio negativo, cioè di esclusione – in capo all’agente – delle attività penalmente punibili , e perviene, così, all’enunciazione di un principio che, pur identico nel fine e nella sostanza, all’opposto, ribalta, però, i termini di valutazione e giudizio.
Ciò avviene, tramite l’esclusione preliminare di ogni tipo di riferimento sanzionatorio e l’adozione di una struttura lessicale che indica espressamente i paradigmi interpretativi che il giudice possa usare – nell’ambito dell’esercizio della propria discrezionalità -.
I canoni valutativi vengono, così, proposti quale metro strumentale e positivo di decisione in ordine alla eventuale sussistenza dell’esimente.
E’ questa, dunque, l’unica innovazione che possa rimanere immune da critiche, perché essa introduce una definizione in luogo di una non-definizione qual’era l’uso esclusivamente personale nella L. 49/2006.


1.2 LA COLLOCAZIONE DELLA NOZIONE DI USO ESCLUSIVAMENTE PERSONALE NEL TESTO DELL’ART. 75; PERPLESSITA’. LE CONDOTTE SCRIMINATE.

Il legislatore, pur ribadendo – senza particolare convinzione (e forse obtorto collo) – la sola depenalizzazione del consumo personale di sostanze stupefacenti, opta, poi, per una scelta che eleva il comma 1 dell’art. 75 a paradigma centrale ed a volano interpretativo del giudizio di applicabilità della scriminante dell’uso personale rispetto ai casi specifici.
Questa nuova impostazione strutturale e sistematica non pare, però, convincente.
Risulta, infatti, assai singolare che l’eventuale riconoscimento della liceità penale di una serie di condotte tassativamente individuate (ed altrimenti sanzionate), condizione che dipende dalla loro effettiva correlazione al fine del consumo personale e giudizio che investe la struttura precettiva della norma incriminatrice (l’art. 73), debba, invece, venire desunto per relationem et aliunde.
La unità strutturale del sistema governato dal DPR 309/90, il quale individua la condotte ritenute penalmente illecite e, in pari tempo, esclude, tassativamente, da tale novero alcune altre (detenzione, importazione, esportazione, acquisto e ricezione) viene, così, illogicamente ripartita su più norme tra loro autonome, venendosi a provocare una vera frammentazione.
La ricordata traslazione del concetto di “uso esclusivamente personale” dall’art. 73 all’art. 75, appare un segno evidente di rafforzamento della logica che ispira la previsione del sistema delle sanzioni amministrative.
Certamente più razionale e più utile, sul piano esegetico, sarebbe stata la scelta di costruire una unica norma, (con la rimeditazione della trama dell’art. 73), scegliendo di ricomprendere in tale ambito – allo stesso tempo - sia il riferimento sanzionatorio, che quello esimente e riservando all’art. 75 un ruolo di testo collegato naturalmente consequenziale, la cui applicazione apparisse di natura residuale e sussidiaria rispetto al giudizio che il giudice formuli riguardo alla effettiva sussistenza, nel caso concreto, dell’uso personale.
L’indirizzo ideologicamente proibizionista, che sostiene il complesso normativo del DL 36/14 è ravvisabile anche in virtù dell’uso dell’avverbio “illecitamente” abbinato alle successive condotte indicate, il quale non lascia dubbio alcuno in ordine alla circostanza che, pur rimanendo estranee al contesto penalistico, le varie ipotesi comportamentali, regolate dall’art. 75, sono sempre oggetto di un giudizio di disvalore, che le qualifica come illecito amministrativo (assoggettandole alle relative sanzioni ed escludendo qualsiasi timida idea di depenalizzazione).
Si deve , inoltre, rilevare che la norma introdotta con il comma 1 bis dell’art. 75 non muta il numero e le tipologie di condotte che vengono scriminate dalla destinazione all’ uso esclusivamente personale, rispetto al regime precedentemente vigente.
Nessuna sorpresa, dunque, sul mancato inserimento in tale contesto della coltivazione, giacchè esso sarebbe stato un atto di troppo grande rottura ed evoluzione, rispetto alla imperante e ridotta visione proibizionista, quello di considerare l’opportunità di cogliere l’assist fornito dalla giurisprudenza più illuminata (Cfr. Cass. Sezione Sesta n. 12612/13 18 marzo 2013) che ha posto l’accento sul tema dell’offensività globale e concreta in relazione alla condotta coltivativa.
Dunque, la questione coltivazione rimane impregiudicata e sarà ancora oggetto dei vibrati contrasti che l’hanno connotata negli ultimi anni.
Semmai, si deve osservare che la riproposizione della locuzione “riceve a qualsiasi titolo”, quale norma di chiusura e sintesi rispetto alle altre precedenti e più specifiche condotte, ripresenta i dubbi di genericità, peraltro, già evidenziati all’atto della promulgazione della L. 49/2006.
Si può solo ritenere che con l’espressione in oggetto, il legislatore ha inteso elaborare una disposizione che copra situazioni nelle quali la dazione materiale della sostanza avvenga con modalità e causali differenti da quelle tipiche dell’acquisto.
Vale a dire che la perifrasi è concepita per abbracciare tutte quelle ipotesi di passaggio dello stupefacente da un soggetto ad un altro, che si perfezionino gratuitamente o per liberalità.