Si è svolta anche quest’anno in circa 160 città nel mondo la “Million Marijuana March”, un corteo che chiede la revisione delle leggi in materia di cannabis, e che si svolge il primo fine settimana di maggio. Quest’anno, la data, andava però a coincidere con il fine settimana del primo maggio, e questo ha un po’ “oscurato” la notizia sui media di diversi Paesi.
New York
Quest’anno, avevano promesso gli organizzatori, sarà una protesta e non una pot-fest, dopo gli scontri con le forze dell’ordine che si erano verificati gli scorsi anni, e gli arresti per possesso e consumo di marijuana. Alla “marcia” di New York, che si è svolta il primo maggio a Manhattan, erano presenti da mille a tremila persone, e si sono verificati “solo” tre arresti da parte della polizia, ed erano relativamente pochi gli agenti che cercavano di arrestare più persone possibili all’interno del corteo. “I nuvoloni del regime repressivo di Rudolph Giuliani, dice Dana Beal, organizzatore storico della marcia e membro di Cures-Not-Wars, sono andati verso il mare”. “E’ andata, secondo Robbie Robertson della Norml di New York, meglio dello scorso anno. Stavolta abbiamo pubblicizzato l’evento come una manifestazione politica e non come un’occasione per fumare. Anche la polizia si è complimentata per avere ripetuto questo concetto ai partecipanti”. Infine, è da registrare il rammarico di Steve Bloom, editore di “High Times”, rivista antiproibizionista, perchè: “Sarebbe stato meglio se ci fossero stati più partecipanti, vista anche la qualità degli oratori e di chi si è succeduto sul palco”. Sono intervenuti alla manifestazione militanti per la legalizzazione e per la marijuana terapeutica, membri dei Verdi e dei Libertari di New York, ed artisti impegnati in questo senso.
Toronto
Forti della possibilità che il Governo decriminalizzi la sostanza, i manifestanti hanno chiesto che si vada oltre perchè, come ha detto Franklin Skans, uno degli organizzatori: “E’ ora che si arrivi alla legalizzazione. I tempi sono maturi”. Sabato, un migliaio di persone ha sfilato per le vie cittadine e alcuni, intervistati da televisioni locali, hanno dichiarato la loro normalità come padri e madri di famiglia, bravi lavoratori, non ritenendosi assolutamente cittadini ai margini della società o di serie b. Manifestazioni si sono svolte anche a Vancouver e Montreal.
Città del Capo
Di fronte al Parlamento si è svolta la manifestazione di Cape Town, in Sudafrica. I partecipanti hanno chiesto la legalizzazione della sostanza, dalla quale si potrebbero ricavare, grazie ad un uso migliore, il petrolio e la carta, e potrebbe essere utilizzata nel settore sanitario, edile ed agricolo. “Non si tratta solo del fumo, ma del consumo che questa pianta ha da centinaia di anni. Non possiamo ignorarne l’utilità, solo perchè associata alla tossicodipendenza”, ha dichiarato Andre du Plessis, organizzatore e veterano delle battaglie pro-cannabis. Due partecipanti hanno consegnato una petizione, dal titolo alla polizia lì’ presente perchè la consegnassero ai parlamentari, ma è stata rifiutata con la motivazione che il Parlamento è chiuso durante il fine settimana.
Stoccolma
E’ da rilevare l’appoggio e la presenza della LIA (Lega Internazionale Antiproibizionista) con il segretario Marco Perduca alla prima edizione della Marcia, a Stoccolma. Per oltre cinque anni le autorità del Paese scandinavo hanno vietato la manifestazione per motivi di ordine pubblico.
Nimbin, Australia
Importanti richieste sono state avanzate nella marcia tenutasi, sabato primo maggio, a Nimbin nel Nuovo Galles del Sud, dal candidato Verde per il Senato dello Stato del Queensland, Drew Hutton. A nome del partito ha chiesto una legislazione uniforme in tutti gli Stati australiani. “E’ tempo che il primo ministro sappia che la tolleranza zero è stata un fallimento. In ogni Stato australiano dovrebbero essere permesse la coltivazione, il possesso e l’acquisto di piccole quantità di marijuana. Eliminando la criminalizzazione si risolverebbero molti problemi. I fumatori non avrebbero contatti con il mondo criminale e i giovani non avrebbero, a loro carico, imputazioni penali”.
Rio de Janeiro
La città carioca ha visto sfilare solo 60 persone, contro le 500 di due anni fa, la prima volta che nella città si teneva questa manifestazione. Lungo la Praia de Ipanema con cartelli e striscioni, i pochi manifestanti chiedevano al Governo la legalizzazione della marijuana e il diritto di piantare l’erba. Lo psicologo Luiz Paulo Guanabara spiegava cosi’ la “bassa” affluenza: “Credo che il movimento sia stato svuotato perchè oggi il consumatore viene accusato di finanziare la violenza del narcotraffico, e questo ha inibito molte persone, che non vogliono esporsi. Ma secondo questa tesi mangiare da McDonald’s finanzia la guerra in Iraq e il terrorismo internazionale”. L’Ong coordinata da Guanabara Psicotropicus aveva infatti iniziato ad organizzare la marcia qualche mese fa, poi si è fermata in seguito alla violenza del narcotraffico e alle vicende della favela La Rocinha, una vera e propria guerra tra bande per la gestione del narcotraffico della favela più redditizia di Rio de Janeiro in questo affare. “Questa è stata una passeggiata spontanea”, ha concluso Guanabara.
Dunedin, Nuova Zelanda
Erano circa un centinaio i manifestanti per il J-Day (joint day) come è stato ribattezzato. La “manifestazione” consisteva nel mettersi a fumare “a scopo dimostrativo”. “Oggi, ha detto il portavoce Julian Crawford vogliamo affermare che chi fuma la cannabis non deve essere rinchiuso in culture semiclandestine, ma deve essere libero di farlo apertamente. Siamo qui a lottare contro il proibizionismo che vediamo come una legge ingiusta e che per lo più non funziona”.