Il dibattito, anche scientifico, sugli allucinogeni è ancora oggi viziato da moralismi isterici e pregiudizi che hanno portato la ricerca ben lontana dalla necessaria obiettività. E tutto forse nasce da un malinteso di fondo, che vuole una contrapposizione fra stati modificati naturali (spontanei) e stati modificati artificiali (indotti). La contrapposizione è del tutto impropria, perché non vi è mai una modificazione spontanea, tranne che nei casi di dissociazioni patologiche. Sarebbe più corretto parlare di modificazioni volontarie e modificazioni involontarie: esse possono essere più o meno radicali, più o meno profonde, ma saranno sempre determinate da un fattore esogeno o induttore: una sostanza chimica o vegetale, una certa postura, un passo di danza, un ritmo musicale, un comando ipnotico, e via dicendo. Nel momento in cui operiamo una distinzione fra naturale e artificiale siamo vittime di un pregiudizio sociale; è solo l’immaginario sociale che ci fa distinguere fra “naturale” e “artificiale”, dove–guarda caso- il “naturale” è quello culturalmente ammesso o imposto. Per un cristiano è “naturale” elevare il proprio spirito con ore e ore di ininterrotta preghiera, mentre è “aberrante” farlo con la Canapa indiana. Per un Huichol è del tutto “naturale” mangiare il peyote, mentre forse vedrebbe altamente “artificiale” dedicarsi a pratiche yogiche.
Purtroppo il moralismo non ha prodotto soltanto studiosi che sottovalutano il ruolo delle piante allucinogene nell’ideologia di molti popoli e come strumento (forse il più antico di tutti) per raggiungere stati “altri”: ha prodotto anche studiosi e ricercatori che sopravvalutano questo loro ruolo, attribuendo ad esse “proprietà” che non hanno e che non possono avere, quasi fossero entità metafisiche dotate di esistenza loro propria. Se non vi è motivo di dubitare della loro stretta associazione con la mitologia di molti popoli, è altrettanto vero che l’efficacia di tale ruolo dipende in gran parte da meccanismi psicobiologici e da un terreno socioculturale adatto. Come sottolineava a suo tempo Levi-Strauss, gli allucinogeni non producono un tipo ben determinato di effetto in base alla loro farmacodinamica, ma solo quel tipo di effetto previsto dal gruppo, per ragioni sia consce che inconsce. In altre parole: gli allucinogeni non celano alcun messaggio intrinseco e alcun contenuto loro proprio, essendo null’altro che gli innescatori (e amplificatori) di un discorso latente. Sono soltanto –per quanto importantissimi- null’altro che strumenti induttori di stati modificati di coscienza, la cui funzione dev’essere il punto centrale di qualsiasi seria analisi.
Ma torniamo agli stati modificati di coscienza e al loro significato. Abbiamo criticato la posizione di che vede in esse null’altro che manifestazioni psicopatologiche: su questa posizione non torneremo più. Altri vedono invece in essi delle manifestazioni del “divino”, e negli induttori di questi stati “altri” degli strumenti ierofanici. Dove sta la verità? O meglio ancora, dove sta il “buon senso”? Per un Indiano mazatec il dubbio non si pone: i funghi allucinogeni sono “esseri viventi” che parlano attraverso la bocca dello sciamano. Analogamente per un Huichol il peyote E’ il Fuoco, e l’esperienza che produce permette di comunicare con gli Antenati. Il dubbio non sussiste neppure per una donna maghrebina, che interpreta la propria trance di possessione come una reale “monta” da parte degli spiriti. E così il contadino del Salento di cinquant’anni fa era fermamente convinto che l’insieme dei sintomi curati ritualmente con musica, danza e colori, fosse dovuto al morso (pizzica) della tarantola (taranta). In tutti questi casi siamo nel campo delle credenze tradizionali, che formano sì il corpus culturale e simbolico di una particolare tradizione, ma che non possono certo essere considerate, da chiunque abbia un minimo di buon senso, “spiegazioni” oggettivamente accettabili.
Purtroppo però molte persone, anche Ricercatori, continuano –impermeabili alle più elementari regole di logica- a confondere “credenze tradizionali” con “esperienze psichiche” rivelandosi così molto più credulone di quanto non siano le gerarchie della stessa Chiesa cattolica, le quali sono ben consapevoli di tale differenza se, prima di ammettere l’autenticità di una visione o di un’esperienza mistica, consultano équipe di psichiatri. E questo anche se la visione o l’esperienza mistica è pienamente conforme agli stereotipi del dogma cristiano. Fatto ancor più significativo è che anche le società tradizionali sembrano riconoscere l’eccezionalità di una determinata esperienza, nonché l’eccezionalità del mito stesso. Ad esempio, se un Huichol volesse confermare con la propria esperienza di aver udito un cactus cantare nel deserto, sono convinto che lo sciamano lo sottoporrebbe a un rito di purificazione. Ogni sacerdote cattolico è convinto della verginità della madre di Cristo, ne insegna il dogma e si aspetta che i fedeli lo facciano proprio. Ma se un parrocchiano andasse a dire al suo confessore che il dogma è vero perché lui stesso è stato in Paradiso e ha sottoposto la Madonna ad una visita ginecologica accertandone la verginità, non ho il minimo dubbio che il sacerdote in questione accompagnerebbe seduta stante il fedele al più vicino Centro di Igiene Mentale….
Le società tradizionali, indipendentemente dalla loro specifica maniera di ricercare l’esperienza di coscienza modificata, posseggono meccanismi sociali destinati proprio a controllare queste esperienze psichiche, per impedire che si trasformino in fughe patologiche. Anche se molti credono di sapere già tutto sugli stati modificati di coscienza, sul loro ruolo e sul loro rapporto con le funzioni vitali dell’individuo, in realtà siamo appena agli inizi dell’esplorazione di questo vasto campo di ricerca, così come solo ora stiamo incominciando a capire il fatto che anche nelle nostre ore di veglia la mente oscilla costantemente “avanti e indietro”, tra momenti di attenzione al mondo esterno e momenti in cui siamo assorti in noi stessi. Questi stati alterni di coscienza hanno uno strettissimo rapporto con la trance e con gli stati indotti da sostanze psicoattive. Lo stato di coscienza che viviamo quando siamo assorti in noi stessi può ovviamente averi vari gradi di intensità, di profondità; naturalmente lo stato modificato piuttosto elevato che si ottiene, ad esempio con l’LSD, non è della stessa qualità di un sogno ad occhi aperti, ma i processi neurochimici in atto nel cervello sono, con ogni probabilità, molto simili.
Proviamo a ridurre ai termini essenziali la complessa reazione chimica che avviene quando una sostanza chimica, ad esempio sempre l’LSD, raggiunge il cervello. La sostanza è parente stretta degli indoli che si incontrano naturalmente nel cervello, e sembra agisca su di esso bloccandolo per un certo periodo di tempo in una condizione di coscienza non comune, modificata, appunto. Il risultato viene ottenuto probabilmente mediante l’esclusione temporanea di certe aree cerebrali e di certe reazioni chimiche proprie della coscienza che abitualmente chiamiamo normale. Attenzione però: “normale” e “modificato” sono concetti in qualche modo arbitrari, non certo assoluti. Apro una breve parentesi, tornando per un attimo ad un altro malinteso di fondo, simile a quello a cui ho accennato prima. Fino a pochi anni fa invece che di stati modificati di coscienza si parlava di stati alterati di coscienza. Io credo che dipendesse principalmente da una cattiva traduzione del termine anglossassone alterated. Non ho pudori a confessare che anch’io in lavori di qualche anno fa ho erroneamente usato questo termine. Alterated non possiede lo stesso significato che ha il termine italiano alterato, bensì una connotazione di “diverso”, “cambiato”, “modificato”, appunto. Parlo di questo non per evidenziare una non indifferente pigrizia interpretativa degli studiosi italiani, neppure per accusare di incapacità molti traduttori, persone che forse non hanno la minima conoscenza degli argomenti che stanno traducendo, per i quali la traduzione di un romanzo è del tutto analoga alla traduzione di un testo di psicologia, quella di un ricettario di cucina a quella di un saggio di etnologia.
Tutto ciò ci porterebbe troppo lontano dagli scopi delle mie riflessioni, e oltretutto non servirebbe a far chiarezza sugli stati di coscienza. Quello che mi preme evidenziare è come la traduzione di alterated in alterato porta con sé un equivoco pericolosissimo sia dal punto di vista teorico che etico. Il termine alterato presuppone arbitrariamente – sia a livello scientifico che a livello morale – l’esistenza di una coscienza lucida precedente, che rappresenterebbe la REGOLA, la NORMA, e che si può alterare così come si può alterare la purezza di un lago alpino in seguito a fattori inquinanti. Ma queste “alterazioni”, che alcuni sono addirittura riusciti ad etichettarli come stati secondari, non sono per nulla modificazioni patologiche o secondarie. Al contrario è la coscienza lucida (o Io cosciente) ad essere seconda, una specie di coscienza mutilata e asservita alle esigenze della realtà esterna. La coscienza cosiddetta modificata è una coscienza allo stato primario, una coscienza anteriore, originaria. Ma dal momento che il processo evolutivo -sia filogenetico che ontogenetico- ha portato nuove stratificazioni, dal momento che questa coscienza arcaica è tenuta sotto controllo dal Principio di Realtà, essa apparirà come modificata, esplodente o spezzata, divisa, ogni qualvolta venga ritrovata e riportata alla superficie.
Gilberto Camilla – Presidente della SISSC
Pubblicato su Dolce Vita n°4 – Aprile/Maggio 2006