Negli Stati Uniti, mentre la politica si divide sulla legalizzazione della marijuana, l’economia ha già messo le mani sul business che può derivare dalla commercializzazione di questo stupefacente. Tra i big del tabacco, infatti, e non solo, è già scattata la corsa per accaparrarsi il copyright di marchi commerciali legati all’eventuale produzione e vendita di prodotti a base di cannabis. Visto che oltreoceano il fatto che questa droga sia ancora illegale per la normativa federale non costituisce un ostacolo alla registrazione di nomi e loghi.
Una scelta, quella delle grandi multinazionali, giustificata dal fatto che già oggi attorno all’utilizzo per soli fini medici della marijuana è nata un’industria che è stata valutata in circa 1,9 miliardi di dollari. Così, dal momento che sempre più pazienti cercano cure alternative e si orientano spesso verso forme di somministrazione alternativa di marijuana e derivati, l’ufficio brevettuale statunitense si è visto recentemente recapitare una serie di domande relative alla possibilità di registrazione di ricette e prodotti contenenti la sostanza illegale. Incluse quelle più bizzarre come, per esempio, la ricetta di una cheescake alla cannabis.
In realtà, mentre per esempio in Europa ci sono specifiche eccezioni legate all’ordine e alla sanità pubblica, nella normativa statunitense, come dicevamo, non ci sono esplicite proibizioni di questo tipo per la registrazione attraverso proprietà intellettuale. Vi è solo un generico obbligo di indicazione della data di commercializzazione del prodotto associato a quel marchio. Una questione che però non è del tutto chiara dal punto di vista del diritto della proprietà intellettuale e che tuttavia può portare problemi solo in seguito alla denuncia di un operatore terzo e sempre che l’avente diritto non abbia provveduto ad utilizzare il marchio per altri prodotti perfettamente legali.
Anche per questo già nel 2010 l’Ufficio marchio e brevetti statunitense aveva inserito (temporaneamente) tra le categorie merceologiche legate alla registrazione di un marchio una con il titolo: “Sostante derivate da piante per scopi medici e in particolare la marijuana medica”.
Così, qualcuno ha già cercato di accaparrarsi i diritti esclusivi sul nome Purplekush (una variante della marijuana) e soprattutto le grandi aziende del tabacco stanno facendo lo stesso con nomi simili. Tuttavia, se effettivamente la cannabis dovesse diventare un prodotto commerciale e dunque circolare liberamente, allora questi brand rischierebbero di risultare generici, come lo sarebbe un fiore commercializzato con il marchio “margherita”.
D’altra parte, se ciò non dovesse avvenire, con la liberalizzazione del commercio della cannabis (anche solo limitato alle applicazioni mediche) allora i piccoli produttori si troverebbero già a partire in netto svantaggio rispetto ai grandi produttori, in possesso della capacità industriali e dei diritti di esclusiva sui nomi e i simboli che più facilmente vengono associati a quel tipo di prodotto.
Fonte: west-info.eu