Sei mesi di reclusione, col beneficio della sospensione condizionale e della non menzione della pena sulla fedina penale, per aver diffuso informazioni sulla coltivazione e le proprietà della cannabis. E’ la condanna inflitta con rito abbreviato dal gup Paola Artusi a Luca Marola, noto attivista locale dei Radicali Italiani nonché gestore del “Canapaio Ducale”. Una sentenza di cui ancora non si conoscono le motivazioni, ma che di certo è destinata a sollevare dibattito nel mondo dell’antiproibizionismo.
Luca Marola, infatti, da anni gestisce due botteghe in Oltretorrente (una in piazzale Picelli e una in via D’Azeglio) che offrono tutto il necessario per la coltivazione di cannabis (compresi i semi), oltre a promuovere informazioni sui molteplici utilizzi della canapa indiana. Ad oggi la legge italiana vieta la detenzione di piante se il livello di Thc (principio attivo di hashish e marijuana) supera certi limiti. La giurisprudenza ha però stabilito che l’attività di queste botteghe, sparse in tutta Italia, è lecita.
Marola è finito nei guai perché gestisce anche il sito del Canapaio, nel quale si trovano informazioni sui prodotti venduti nei negozi ed è possibile effettuare ordini online. Il pm Paola Dal Monte ha indagato Marola per istigazione pubblica al consumo di sostanze stupefacenti, un reato previsto nell’articolo del codice penale riguardante lo spaccio. Il magistrato aveva anche ottenuto il sequestro del sito, poi dissequestrato dal Riesame , che lo ha ritenuto uno strumento di libera manifestazione del pensiero.
Il procedimento penale è andato avanti, però, e oggi si è chiuso con una sentenza di condanna. Ma non per istigazione al consumo di sostanze illecite. Il giudice ha infatti derubricato il reato a istigazione a delinquere generica (articolo 414 del codice penale). Non sono ancora note le motivazioni del provvedimento. Quello che è certo, invece, è il ricorso in appello.
“La sentenza a sezioni unite della Cassazione del 12 ottobre 2012 stabilisce che quello che viene contestato a me, come ad altre persone in tutta Italia, non configura reato – spiega Marola – il mio avvocato, così come il pm, ha chiesto che ne venisse tenuto conto. A rigor di logica, dovevo essere assolto. Invece, qui c’è stata una degradazione a reato generico. Si può raccontare come una barzelletta. Ma ci sono diversi procedimenti simili, altri tribunali si sono pronunciati diversamente. Quando andremo in appello sicuramente la giurisprudenza sarà più cristallizzata. Dimostreremo che non c’è reato”.
L’avvocato Paolo Paglia, codifensore insieme a Ferdinando Piccinini, spiega qual è stata la linea difensiva: “La nostra tesi è che non vi sia ipotesi di reato, perché il fatto di esporre le qualità di un determinato prodotto, o delle modalità di coltivazione in termini scientifici, non istiga a commettere nulla di illecito. Paradossalmente si potrebbe dire che chi espone o vende coltelli induce qualcuno all’aggressione, o lo stesso per le fiction che mostrano le tecniche di uccisione degli assassini”.
di Maria Chiara Perri
Fonte: Parma.repubblica.it