Quando mi hanno chiesto di scrivere un racconto come contributo alla marcia della pace, è tornato alla memoria un fatto accaduto verso i 17 anni. Mi trovavo a Monaco di Baviera, da poco andato via di casa, spinto da un irresistibile desiderio di conoscere il mondo. Passeggiavo felice perche immerso in una profonda sensazione di libertà.
D’improvviso, osservando la mia ombra, vedo che qualcuno si sta avvicinando alle mie spalle con in mano un oggetto luccicante, forse una bottiglia…
Mi sottraggo di scatto e lo sconosciuto, invece che sul capo, mi rompe la bottiglia sulla spalla. Con stupore, mi giro verso di lui che ha ancora in mano il vetro frantumato. Un dolore acuto mi penetra nella spalla. Chiedo stupito, ma con tono affettuoso “Hai bisogno di qualcosa?” (Non riuscirò mai a spiegarmi questa mia reazione) Lo sconosciuto rimane qualche istante interdetto, e, dopo aver buttato il pezzo di vetro, si abbandona in un pianto dirotto. Tra i singhiozzi balbetta “Sì, sì. Forse un cappuccino.”
Diventiamo conoscenti, poi amici e finalmente posso scoprire la ragione del suo gesto. L’uomo si sentiva così confuso, così isolato dal mondo che il solo modo rimasto per entrare in contatto coi propri simili era di aggredirli, magari lottare, avviare una piccola guerra, forse soccombere o finire in prigione pur di far accadere qualcosa, pur di interrompere un sentimento divenuto intollerabile di disperazione.
Da allora sono rimasto convinto che qualsiasi aggressione violenta, anzi, qualsiasi forma di violenza nasca da uno stato di disperazione, di abbandono, di solitudine estrema. Mentre la pace nasce dal rispetto per gli esseri umani, procurando loro una risposta ai bisogni essenziali, una casa, del cibo, un lavoro.
Non è un caso che, dopo l’insensata aggressione degli Stati Uniti all’Iraq, si scopre che gli Stati Uniti si trovano ad attraversare una crisi potente e apparentemente irrisolvibile. Del resto la mia sorellina all’età di sei anni, in una notte in cui gli aerei bombardavano selvaggiamente la nostra città mi aveva spiegato con chiarezza cos’è la guerra.
Io, che di anni ne avevo quattro e mezzo, impaurito dai bagliori e dal fragore delle bombe le avevo appunto chiesto cosa succedeva. “E’ la guerra.” Aveva risposto lei con una carezza chinandosi su di me.
“Cos’è la guerra?”
“Fanno come loro quando litigano…”
“Loro” erano i genitori e litigavano perché non c’era cibo per i sei figli, perché intorno c’erano solo morti e case distrutte.
Per disperazione, appunto.
(fonte: silvanoagosti.com)