Sono partito con pochi soldi, pochi vestiti, un cane e poche nozioni sul Paese dove stavo andando. Sono partito per cercare un posto che fosse più adatto a me.
Ho salutato mia madre e la mia ragazza e sono partito dalla Sardegna con l’ultimo aereo disponibile per Roma. Dopo una notte all’aeroporto di Fiumicino, passata su una poltroncina scomodissima tra mille dubbi e incertezze, all’imbarco per S.Josè, ecco la prima sorpresa: il cane deve pagare $900 (novecento), nonostante l’agente che mi ha venduto il biglietto avesse risposto alle mie continue richieste sempre allo stesso modo: Il cane paga circa $30. Non aveva capito(lui) che erano $30 al Kilo, e poichè stiamo parlando di un Pit Bull di 30 Kg, è facile fare la moltiplicazione. Quindi sono salito in aereo con in tasca un terzo dei soldi che avevo alla partenza ($1500) e dopo un viaggio di 14 ore fatto con l’angoscia di avere pochissimi soldi in tasca e non poter contare su nessuno, sono arrivato a destinazione: Aeropuerto Juan Santamaria, S.Josè, Costa Rica!
Appena uscito dall’atmosfera asettica dell’aeroporto, ho sentito subito di essere lontano anni luce da tutte le certezze che avevo fino ad allora, e dopo aver fatto fare un giro al cane, che era chiuso in una gabbia da 16 ore, ho trovato un tale di nome Santiago, tassista abusivo che per 5 dollari americani, mi ha portato in un hotel di sua conoscenza dove accettano cani. Devo dire che la prima impressione che ho avuto della città, attraverso i vetri del Taxi, è stata pessima: era notte e tutte le strade erano al buio, tranne poche vie principali; immondezza ovunque, barboni sui marciapiedi. L’albergo si chiama Hotel Sura, ma l’indirizzo…
Sugli indirizzi in Costarica vale la pena di aprire una parentesi: le vie non hanno nomi, ma numeri: Calles e Avenidas, come le chiamano loro a seconda che vadano da nord a sud oppure da est a ovest (verticali e orizzontali sulla pianta della città),sono numerate, e fin qui niente di strano:come negli USA.; il vero problema è che non esistono i numeri civici, e questo crea all’incauto viaggiatore europeo che chiede informazioni, non poche perplessità ,infatti le indicazioni vengono date più o meno così: partendo da un punto di riferimento “importante”(per intenderci, una chiesa, una farmacia,un cartellone pubblicitario particolarmente appariscente), diranno quante centinaia di metri devi percorrere prima di girare ( attenzione: “cien metros”, non vuol dire 100 metri, ma un isolato, quindi 200 m. =due isolati e 50 m.=circa metà isolato). Inizialmente è quasi disperante, ma ci si fa l’abitudine! Comunque,tra una cosa e l’altra erano 3 gg. che non dormivo,e la notte in hotel è stata un toccasana, anche per il mio ottimismo, che il giorno dopo era enormemente aumentato! Girando per le strade della capitale, mi sono sentito immerso nell’atmosfera del posto e l’idea di un “pueblo” del centroamerica, troppo in fretta divenuto città, è senza dubbio confermata da quello che si vede in giro. Il mercato centrale è un’esplosione di voci, colori, profumi, i venditori che urlano, centinaia di bancarelle con mercanzie di ogni tipo, dalla frutta ai lettori DVD di provenienza per lo meno dubbia. Nella piazza più centrale, i lustrascarpe e i venditori di biglietti della locale lotteria (più simile al Bingo americano, che alla nostra idea di lotteria), si avvicendano a proporti i loro servizi, ma senza mai essere troppo invadenti. Ed è proprio in quella piazza che mi sono reso conto di essere digiuno da quasi un giorno. Ancora frastornato dal viaggio e dal fuso orario, ho deciso di fare il punto della situazione, e seduto al tavolino di una Soda(i tipici ristorantini locali che servono cibo a poco prezzo), con la mia inseparabile ed utilissima guida Lonley Planet, ho preso la prima decisione in terra Costaricana: avevo deciso di raggiungere Playa Tamarindo, sulla costa ovest, dove sapevo di poter trovare alcuni sardi trapiantati anni fa, che forse avrebbero potuto darmi qualche dritta.
IN VIAGGIO VERSO TAMARINDO
La stazione dei pullman di San Josè da cui parte il bus per Tamarindo (nota come Coca Cola Bus Terminal, per via di un enorme cartellone pubblicitario della famosa bevanda che troneggia di fronte all’ingresso), è un autentico casino: un solo sportello che vende i biglietti, un sacco di autobus coi motori accesi che riempiono l’aria di un soffocante smog nero, e tantissima gente: gli immancabili venditori di biglietti della lotteria, improbabili facchini, sfaccendati di vari genere, mendicanti e persino una tipa che, con un apparecchio antidiluviano, offriva di misurare la pressione sul posto! La mia conoscenza dello spagnolo era ancora molto limitata e con un pessimo accento, cosa che , unita al caos generale, mi ha reso molto difficoltoso far capire al bigliettaio dove volevo andare e soprattutto che avevo l’esigenza di far salire a bordo un cane, cosa che ho scoperto essere vietata da un decreto del “Ministerio para la Salud”; ma evidentemente la carta sulla quale il divieto è scritto, valeva meno, per l’autista, di quella dei 5 dollari che gli ho allungato: morale, il cane ha viaggiato con me (fa sempre piacere notare che i vecchi metodi funzionano ancora!). Dopo aver passato oltre un’ora intrappolato nel traffico assurdamente caotico di S.Josè, siamo finalmente usciti dalla città e ho finalmente cominciato a vedere il posto dove ero arrivato: la capitale sorge a circa 1200m. sul livello del mare, e la strada che abbiamo preso scendeva dai monti, quindi il panorama appena usciti dal centro abitato era DAVVERO incredibile: un mare di verde che si estende a perdita d’occhio, senza intervalli, che inghiotte tutto, persino la strada, perchè gli alberi creano una volta su di essa , congiungendo i rami più alti. Dopo essermi perso per oltre un’ora in osservazioni naturalistiche, sono tornato sulla terra, ed ho iniziato a chiacchierare, nel mio spagnolo stentato, col mio vicino di posto: un anziano contadino, magro, con la pelle scura, capelli e baffi brizzolati e curatissimi. Non ricordo il suo nome, ma da quello che ho capito aveva un problema ai reni, e ogni settimana doveva andare all’ospedale di S.Josè per una cura particolare, facendosi 4 ore di bus all’andata e 4 al ritorno. Durante le 6 ore di viaggio, abbiamo attraverso una quantità enorme di piccoli villaggi, e in ognuno di essi qualcuno saliva o scendeva dal bus. Intanto, col passare del tempo, iniziavo ad avere caldo (la temperatura in pianura era di circa 30°C, e i sedili di finta pelle non aiutavano di certo) e fame. Ci siamo fermati in una ristorante per camionisti, sulla Carretera Panamericana, la strada più importante del centroamerica, che inizia a Tihuana e finisce al confine tra Panama e la Colombia (non è che finisca in una città: semplicemente si interrompe!) che , per dare un’idea delle strade locali, può essere paragonabile ad una delle nostre strade provinciali, dove sostavano decine di TIR, per lo più carchi di tronchi immensi provenienti dalla foresta pluviale,e destinati alle falegnamerie in USA (!!!). Ho potuto mangiare un panino e sgranchirmi un po’ , far camminare il cane, e poi siamo ripartiti. Intanto il pomeriggio avanzava, da quelle parti il giorno dura sempre più o meno 12 ore, dalle 5:30 AM alle 5:30 PM, con piccole variazioni durante l’anno, e io avrei preferito arrivare a Tamarindo con la luce. Capirete, non avevo idea di dove andare o di come muovermi, farlo al buio era anche peggio! Allora ho iniziato a ripassare nella mia testa tutto quello che avevo mai sentito, letto, visto su Tamarindo: un paese di circa 1000 abitanti, per lo più stranieri, una specie di agglomerato fatto da persone scappate dalle rispettive realtà, per le più disparate ragioni e che si arrangiano a campare come possono: tutti quelli che hanno una casa, affittano letti o camere, chi può ha costruito piccoli “bungalow” intorno al corpo principale della casa e li affitta ( si chiamano Cabinas) e non mancano grossi speculatori, americani ed europei, che hanno costruito grosse strutture di lusso per i Gringos più ricchi: fatto sta che in un paese di circa 1000 anime, ci sono quasi 15.000 posti letto! Alla fine delle mie elucubrazioni era ormai buio ed ero in pullman da circa 6 ore… Iniziavo ad innervosirmi, ero stanco del viaggio e mi aveva assalito di nuovo quel senso di spaesamento, che quando finalmente l’autista mi disse “esta es Tamarindo”, non sapevo più nemmeno se essere felice o scoppiare in un pianto disperato… Comunque, ero arrivato!
IL VIAGGIO CONTINUA
Pioveva, mentre scendevo dal bus, e faceva un caldo atroce. Appena sceso, sono stato letteralmente aggredito dalle zanzare, in più ero sudato, stanco… Insomma, una situazione fantozziana! Comunque ero nel centro di Tamarindo la strada finiva li dopodichè, solo sentieri sterrati. Mi sono guardato intorno, e mi sono sentito subito fuori posto, ero ancora vestito da Europeo, pantaloni, T-shirt a maniche lunghe, anfibi mentre intorno a me solo gente a torso nudo, costumi variopinti, parei, scalzi o al massimo con infradito. Avevo bisogno di trovare un posto dove stare, e allora ho deciso di cercare il residence di un ragazzo che avevo conosciuto tempo prima, in Italia, di nome Paolo, trasferitosi a Tamarindo 5 anni fa. Una specie di tassista mi si è fatto incontro e sono riuscito a fargli capire chi cercavo: per 5 dollari mi ci avrebbe portato lui; ho caricato la mia roba in macchina, e ci siamo inoltrati in una stradina fangosa e non illuminata; dopo circa 200 metri, si è fermato, mi ha guardato e ha detto:” Aqui està Paolo”. Ladro Bastardo. 5 dollari per 200 metri, nemmeno a New York. Comunque, il residence sembrava carino (anche se dopo il viggio che avevo fatto, anche una caverna mi sarebbe andata bene), si chiama “Domus Kahuna” , composto da 6 appartamenti e un giardino enorme pieno di alberi di banane ed altri non meglio identificati. Pioveva ancora, ero fradicio, e sono entrato, chiamando Paolo a gran voce, ma l’unica risposta mi è arrivata da un ragazzo biondo, che ho poi scoperto chiamarsi Benjamin ed essere figlio di un banchiere delle isole Cayman, che si è affacciato a una delle finestre del residence, che in inglese mi ha detto che Paolo era fuori! E ti pareva… Mi ha invitato ad entrare a casa sua, ma la fidanzata aveva un gatto, e questo al mio cane non sarebbe piaciuto! Ho cercato riparo sotto una tettoia,e mi sono seduto ad aspettare! Devo essermi addormentato, perchè mi ha svegliato un furioso ringhiare di cani: Paolo era tornato e con lui la sua ragazza, Michela, e il suo cane, Leo, un dogo argentino bellissimo che stazza almeno 60 Kg, e che non era troppo soddisfatto di trovare intrusi a 2 e 4 zampe nel suo giardino. In un modo o nell’altro, sono arrivato in quello che sarebbe stato il mio appartamento per un mese, per 350 $, e sono riuscito a fare una doccia, cambiarmi, e andare a mangiare qualcosa! Tutto questo mi ha restituito un po’ di fiducia nel mondo, e nella strada dal ristorante a casa, sentivo qualcosa di familiare nell’aria… Ma ero troppo stanco e ancora frastornato per capire cosa! Sono andato a letto, sprofondando in sonno di piombo. A un certo punto, un baccano simile a quello di un martello pneumatico mi ha svegliato di soprassalto: il sole era già sorto ma guardando l’ora mi sono accorto che non erano nemmeno le 6. Dovevo ancora abituarmi ai tropici! Intanto fuori il rumore continuava, mi sono affacciato e ho visto che sull’albero di fronte alla mia finestra, 5 scimmie urlatrici avevano deciso di darmi il benvenuto… Mi sono vestito (costume e infradito) e ho deciso di andare a vedere l’oceano; ho così avuto modo di vedere Tamarindo di giorno: bellissima. Casette di legno, basse e circondate dalla foresta, fuori dalle quali erano amache , tavole da surf, biciclette, e in giro un sacco di gente sorridente, abbronzata, cordiale: tutti mi salutavano e io rispondevo, anche se non conoscevo nessuno! Doveva essere un sogno… E nell’aria sempre quel qualcosa di familiare, ma adesso lo riconoscevo: odore di Ganja, ovunque… E infatti, a ben guardare, tante delle persone che vedevo avevano il loro joint in bocca, o in mano. Si, dovevo essere ancora addormentato! L’oceano è incredibile… Impressiona anche chi, come me è nato e cresciuto a poche centinaia di metri dal mare, ma non si può descrivere: in cielo, una moltitudine di pellicani, che inseguono i branchi di pesce e ogni tanto si tuffano in picchiata a mangiare, e tra la spiaggia e il villaggio, le palme da cocco formano un paravento naturale….. Anche se era presto, faceva caldo e ho fatto il bagno: allora mi sono reso che era tutto vero! L’acqua è talmente calda che le prime volte da quasi fastidio: sembra pipì! Dopo essere stato un po’ in spiaggia , ho conosciuto dei ragazzi del posto, che mi hanno dato qualche dritta su dove comprare una tavola da Surf, dove mangiare, ecc. Arrivato di nuovo a casa, ho trovato Paolo e gli ho chiesto dove potessi rimediare un po’ d’erba, e i prezzi. Qui il discorso si complica: A quelle latitudini , la sativa cresce spontanea, basta seminare, tornare dopo 6 mesi e raccogliere, ma siccome viene impollinata, perchè non è seguita, si riempie di semi e non è fortissima; La sinsemilla c’è, ma costa più cara. La prima costa circa 6,50 $ l’oncia (28 gr. circa) e la seconda 250 $ l’oncia! Dopo venti minuti avevo in tasca un’oncia di ottima erba locale, pagata pochissimo e migliore di qualunque erba fumata in Italia!
Bene, bene avevo una casa, avevo la maria, ma mi mancava ancora una cosa FONDAMENTALE: una tavola da surf. Se c’è una cosa che non manca a Tamarindo sono i surf shop, che vendono attrezzatura nuova e usata per tutti i gusti e tutte le tasche. Vista la penuria di denaro, ho optato per una tavola da 6′ 3” ( 6 piedi e 3 pollici), quindi non troppo piccola, di una marca locale, usata ma in ottimo stato, pagata 85 dollari, e acquistata in un negozio che si chiama Tamarindo Adventuras. Adesso avevo davvero tutto il minimo indispenabile per godermi il Paradiso dove ero capitato.
Ragazzi, se siete surfisti potete capirmi, altrimenti fidatevi di me: dopo una giornata di surf, sole e onde fantastiche, starsene sdraiati su un’amaca con una birra gelata e una canna in mano è la cosa più bella che esista, in più il caldo e i profumi della vegetazione tropicale completavano un insieme indescrivibile, ma davvero indimenticabile.
Ma non tutto era rose e fiori: la bastonata presa all’Aeroporto di Roma aveva pesantemente intaccato le mie finanze, e perciò avevo bisogno di 2 cose: un lavoro, subito, ed una sistemazione più economica, in capo ad un mese.
Decisi di affrontare i problemi in ordine cronologico, perciò eccomi in cerca di lavoro. Su consiglio di Michela (la ragazza di Paolo) ho iniziato dai ristoranti, qui è necessaria una precisazione; in costarica il salario per una prestazione d’opera non specializzata (operaio, cameriere…) è inferiore ad un dollaro l’ora, diciamo quindi circa 65/75 centesimi di euro l’ora, che moltiplicati per 5 o 6 ore al giorno, comunque fanno una miseria; si, è vero che la vita costa poco, ma tra vivere e sopravvivere ce ne passa.
Allora, fare il cameriere è l’unico modo per incrementare in modo consistente il salari, per via delle mance. La maggior parte dei turisti sono “gringos”, ovvero americani, e per abitudine lasciano sempre circa il 20% del conto come mancia: immaginate cosa vuol dire per uno che guadagna poco meno di 5 dollari a sera, avere di mance circa 20-30$ a serata: una pacchia! Purtroppo, mi sono reso conto che non ero il solo a pensarla così, non si trovava un posto come “mesero”, cameriere, nemmeno a voler lavorare solo per le mance. Gli altri impieghi che mi sono capitati non mi piacevano: guardiano notturno in un villaggio turistico a Playa Grande (volevano darmi anche la pistola… No,no non fa per me), manovale in un cantiere che doveva costruire l’ennesimo resort per americani ricchi e grassi… Nemmeno questo mi andava.
Allora mi sono improvvisato pescatore: con un pesciolino artificiale e 20 metri di lenza, c’è la possibilità di pescare un bel pò di pesce, in questa maniera: ci si mette nell’acqua fino alla vita, e si seguono gli uccelli marini che mangiano vicino alla riva: questi uccelli seguono i branchi di piccoli pesci simili alle sardine, di cui si nutrono anche pesci più grossi , simili a tonnetti di circa 1Kg l’uno: basta buttare l’esca in mezzo al branco di pesciolini, e il gioco è fatto; è molto faticoso, ma quasi ogni giorno tiravo fuori tra i 5 e i 10 Kg di pesce che poi vendevo ai ristoranti (gli stessi dove avevo chiesto lavoro): insomma, per i primi tempi, mi sono arrangiato così; Naturalmente, alternavo pesca e surf, a seconda della marea e della mia voglia; l’erba, invece, era una costante. (Toto)