La Fini-Giovanardi contestata in un processo a piccoli spacciatori: approvata senza che ci fossero requisiti d’urgenza. La legge nasce dalla conversione di un decreto sui Giochi invernali di Torino, in cui furono inseriti 2 articoli sui reati di droga.
Il ricorso: la questione di costituzionalità riguarda l’assenza di motivi di urgenza e il fatto che quel testo disciplinava un’altra materia
ROMA — Una ordinaria e apparentemente banale vicenda di piccolo spaccio di marijuana approda alla Corte costituzionale, e rischia di mettere in crisi una delle leggi più applicate nei tribunali d’Italia: la Fini-Giovanardi sugli stupefacenti. Nei giorni scorsi una sentenza della Cassazione ne ha fatto cadere un pezzo dichiarando che il «consumo di gruppo» non è reato; ora un’ordinanza della terza sezione della Corte d’appello di Roma l’ha inviata alla Consulta, chiedendo che sia dichiarata incostituzionale.
Le norme contestate, sostengono i giudici, sono inserite in una legge che convertì un decreto in cui il governo disciplinava tutt’altra materia; e soprattutto il Parlamento approfittò di due aggiustamenti in tema di droga per riscrivere l’intera normativa, con ben 36 articoli nuovi di zecca. Dunque il testo sarebbe in contrasto con la costituzione «sotto il duplice profilo della incoerenza della norma rispetto all’originario contenuto del decreto legge e del difetto del requisito dell’urgenza». In più, la Fini-Giovanardi violerebbe la Carta del ’48 dal momento che «sanziona con la medesima pena due comportamenti notevolmente diversi come l’importare, detenere o spacciare droghe cosiddette leggere oppure pesanti»; previsione che contrasta sia con il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sia con l’articolo 117 che obbliga il legislatore ad agire «nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario», nel quale è prevista, per l’appunto, la distinzione dei reati connessi alle due diverse categorie di stupefacenti.
Tutto nasce dalla storia di due ragazze romane — C.G. e V.R. — arrestate nel 2007 mentre, secondo l’accusa, «stavano confezionando dosi di marijuana usando degli involucri di carta stagnola», appoggiate al sedile di un motorino. I carabinieri sequestrarono 4 grammi e mezzo di sostanza, pari a 27 dosi, e una singola dose di eroina: un decimo di grammo. Il tribunale le condannò a cinque mesi e venti giorni di carcere, in base alla legge n. 49 del 2006. Cioè la Fini-Giovanardi.
Nel processo di secondo grado l’avvocato difensore Andrea Matteo Forte, facendo proprie le argomentazioni elaborate dall’associazione Fuoriluogo in tema di droghe e diritti, ha sollevato l’eccezione d’incostituzionalità di quella legge. Che in realtà è l’atto di conversione di un decreto varato dal governo nel 2005 per affrontare tutt’altro argomento: «Misure urgenti per garantire la sicurezza e i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali». All’ultimo momento, in quel provvedimento furono infilati due articoli per adeguare le norme sulla possibilità di concedere misure alternative ai condannati per reati di droga. Al titolo del decreto fu quindi aggiunto: «Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi». Ma nel 2006, in sede di conversione, deputati e senatori presero spunto da quei due articoli per modificare tutta la materia. Rimodulando, fra l’altro, le sanzioni previste per la detenzione e lo spaccio di stupefacenti.
Su questa procedura, ritiene la Corte d’appello che ha accolto la tesi dell’avvocato, pesa un forte dubbio di costituzionalità. Soprattutto alla luce della sentenza numero 22 del 2012 della Consulta, che dichiarò illegittima la parte del decreto «Milleproroghe 2010» in cui furono introdotte alcune norme sulla Protezione civile. Secondo i giudici costituzionali i requisiti di necessità e urgenza imposti per varare un decreto escludono la possibilità che nella legge di conversione vengano inseriti «emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario». Forti di questo principio, i giudici di Roma sottolineano ora come nel caso della Fini-Giovanardi «appare evidente il difetto di coerenza interna tra le norme che costituivano il nucleo originario del provvedimento adottato dal governo e tale ultima norma». Il nuovo testo partorito dal Parlamento introduce infatti «un nuovo sistema di sanzioni in relazione a condotte aventi ad oggetto stupefacenti», che «nulla ha a che vedere sia con lo svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino, sia con i benefici previsti in favore di tossicodipendenti ed alcol dipendenti».
Le norme antidroga del 2006 che modificarono quelle del 1990, aggiunge la Corte d’appello, appaiono «sprovviste del requisito dell’urgenza previsto dalla Costituzione; non si vede quale urgenza vi fosse nel riformare un sistema sanzionatorio in vigore da 16 anni e in ordine al quale nessun evento improvviso e straordinario poneva l’esigenza di una modifica per decreto». Così la legge è finita all’attenzione della Consulta. Ed è prevedibile che, in attesa del verdetto costituzionale, altri giudici prendano spunto da questa iniziativa per contestare la Fini-Giovanardi davanti al «giudice delle leggi».
Giovanni Bianconi – fonte: Corriere della Sera